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Formigoni impari dal Trota e si dimetta

“Renzo Bossi si è dimesso. Bene così”. La pistola fumante , ai giorni nostri, sta in un tweet. La firma sotto all’ovvietà che avete appena letto l’aveva messo, pochi minuti dopo le dimissioni da consigliere regionale del Trota, il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. Se la coerenza vale qualcosa – mentre esplode l’ennesimo scandalo nella cerchia stretta del potere che il suo quasi ventennio ha costruito – a Formigoni non restano molte alternative: deve dimettersi.

Il suo governo regionale lombardo, iniziato nel 1995, si è sempre raccontato come un gioverno dell’efficienza e della funzionalità. E per larghi tratti, è doveroso essere onesti, lo è stato. È il suo grande potere, efficientemente esercitato ha sempre avuto un campo di particolare attenzione: la sanità.

Arriva oggi un nuovo scandalo che ha per epicentro proprio la sanità lombarda. In realtà, più che uno scandalo nuovo, stiamo parlando dell’evoluzione di un lungo filone. Riguarda Piero Daccò e Antonio Simone, due uomini forti di Cl e del sistema sanitario lombardo. Due conoscenze di lunga data del presidente Formigoni, che – secondo le indagini e una bella inchiesta pubblicata da L’Espresso – si sono arricchiti in modo illecito ai danni dei cittadini lombardi. Simone è un leader storico del movimento di Cl di cui Formigoni ha rappresentato l’avamposto politico, mentre Daccò – anche lui ciellino – pagava delle belle vacanze a Formigoni. Proveranno i pm quanto in processo le loro accuse? Vedremo, ovviamente.

Quel che già sappiamo, tuttavia, è che la Regione Lombardia, la Giunta e la maggioranza in Consiglio regionale sono sempre più nel centro dell’occhio del ciclone. Giudiziario, e politico. La Sanità ha aperto molti filoni di indagini; poi c’è l’Aler che ha portato nel registro degli indagati Romano La Russa (spalla fedele di Formigoni e di Ligresti nel sistema di potere lombardo); e poi un pulviscolo di inchieste, inchiestine, patteggiamenti e scandaletti tutti fioriti all’ombra del Celeste.

La questione non è giudiziaria, ma eminentemente politica. Può un governatore essere ancora credibile se all’interno del suo sistema di potere nascono e crescono continue ragioni per inchieste e scandali? No. Può un governatore presentarsi come colui che auspica la pulizia, in politica, e poi nel suo listino candida Nicole Minetti giustificandosi, off the records, che a quanto ne sapeva lui era solo una ballerina di Colorado Caffè? No. Ma Formigoni, direte, non è indagato. Già. Neanche Renzo Bossi lo era. Eppure alle sue dimissioni abbiamo detto che erano un bene. Lo abbiamo pensato tutti, e Formigoni lo ha pure messo per iscritto.

Adesso tocca a lui, perchè la coerenza vale più di un tweet.  

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