E pensare che il Nord Italia, a darsi una rappresentanza politica, ci aveva anche provato. Nei suoi momenti di “massimo splendore”, aveva perfino raccontato in giro di esserci riuscito. Per monti e valli aveva diffuso come fosse uno slogan la parola “federalismo”. L’aveva messa in bocca come uno slogan ai piccoli imprenditori, agli operai, ai commercianti, al ceto medio riflessivo e irriflessivo. Preso dalla grandeur di un momento, e dagli abbagli che capitano quando si frequenta troppo a lungo il potere, questo Nord aveva messo su la buffonata del trasferimento dei ministeri nel suo ventre. Nella Monza che fu dei Longobardi, niente meno.
Ecco, queste elezioni amministrative – parziali, ma non prive di un significato profondo – consegnano il Nord a se stesso senza più una vera rappresentanza politica che della parola “Nord” possa fregiarsi come un tratto distintivo. Tosi ha stravinto, direte voi, dice lui e con lui un (incomprensibilmente) trionfante Maroni. Già, ha stravinto Tosi, ma solo perchè è un amministratore locale conosciuto, provato sul campo e in definitiva assai stimato. Ha vinto alla grande con una lista che a Verona portava il suo nome, mentre la “sua” Lega Nord e quel carroccio con Alberto Da Giussano che sguaina la spada navigano attorno a un mediocrissimo 10 per cento. Per il resto, che fine ha fatto la Padania abituata a percentuali bulgare di un tempo? Liquefatta, come neve al sole (delle Alpi, naturalmente). A Monza l’uscente Mariani prende 800 voti in più del candidato grillino, fermandosi così a poco più dell’11 per cento: e il ballottaggio, con il centrosinistra ampiamente favorito, lo guarderà da lontano. Proporzioni analoghe a Como e sonora batosta a Piacenza, la più “lombarda” delle città emiliane dove appena un paio d’anni fa sembrava che l’epica leghista fosse pronta a scrivere nuove pagine di avanzate e conquiste.
E invece niente. Il nordismo politico nella sua versione leghista si ferma qui. Che sia solo una fermata temporanea, o il segno di un crollo non arginabile, lo vedremo. Il sospetto che non ci sia più molto da salvare, in verità, viene guardando fuori dalle urne e nel mitico paese reale, più che non perdendosi in calcoli (comunque impietosi) sulle proporzioni della disfatta. Viene leggendo dei suicidi degli imprenditori e della inevitabile retorica che un po’ li accompagna. Viene attraversando il Nord che sta diventando un cimitero per capannoni vuoti, ma anche un laboratorio interessante di resistenza imprenditoriale e creativa: nell’uno e nell’altro caso, senza che la politica serva a qualcosa di diverso dalla sua lunga abitudine alla pratica burocratica o gabellatoria. La disfatta della Lega, prima delle peripezie albanesi e milanesi del Trota, matura lì: nella pancia del paese che si ritrova assai più vota di prima, dopo vent’anni di parole nuove che sono ovviamente assai invecchiate nel frattempo. Un partito nato per rispondere agli squilibri (veri e percepiti) della bilancia economica e politica del paese, su quegli stessi squilibri alla lunga doveva schiantarsi. E così puntualmente è stato mostrando, tra l’altro, che i tempi di comprensione del Nord sono piuttosto lenti, a dispetto di tanta frenesia produttiva.
Al povero elettore del nord e convintamente nordista, non restano certo molte alternative. La competizione tutta lombarda col modello-Formigoni – non serve memoria di elefanti per ricordare le cronache di queste settimane – lascia solo all’imbarazzo di una scelta tra alternative logore. Il dito medio di Beppe Grillo e il sano (e vitale) spontaneismo di molti suoi militanti non sembrano pronti a raccogliere la maturità, le fatiche e i dolori di un tessuto sociale e produttivo che vuole più concretezza e visione di quella che, in molti casi, ha saputo esprimere in questi due decenni.
Che faranno allora i padani? Si attrezzeranno per un’arte antica, che ben conoscono: quella di fare senza lo Stato e senza la politica. Son sopravvissuti a dominazioni straniere e a un’Italia fatta anche un po’ a loro insaputa, e cresciuta nella loro distrazione. Vivevano meglio dei loro connazionali prima che la Lega Nord fosse, potranno farcela anche dopo. Qualcuno spiegherà loro – come se non lo sapessero – che avere rappresentanza politica e partitica è importante, che la democrazia e la rappresentanza fanno bene anche ai loro interessi. Annuiranno, i padani più consapevoli, e poi ricominceranno a lavorare per salvare aziende, lavoro, famiglie. E – speriamo – guarderanno con meritato scetticismo al prossimo che, in nome della parola “Nord”, chiederà di essere mandato coi nostri voti e a nostre spese sulla strada che porta verso i palazzi di Roma e Milano.