Laurent Fabius, l’uomo più scomodo dell’era Hollande

Laurent Fabius, l’uomo più scomodo dell’era Hollande

Ha votato contro la costituzione europea. Si è opposto con durezza al ritorno di Parigi nel comando integrato della Nato. E da tecnocrate convertito al gauchisme, coltiva l’idea che la Francia sia destinata a “guidare il mondo progressista” nella lotta contro il “sistema liberale dominante”.

Il nuovo ministro degli Esteri francese Laurent Fabius potrebbe rivelarsi un interlocutore complicato per i partner stranieri, che avrebbero avuto vita più facile con il neo-atlantista ed europeista doc Pierre Moscovici, in lizza fino all’ultimo per il Quai d’Orsay, ma poi chiamato a guidare il ministero dell’Economia.

La necessità di non far saltare i delicati equilibri interni al partito ha premiato Fabius. Dopo l’esclusione di Martine Aubry da Matignon, e il suo rifiuto di accettare un incarico minore, il governo dei riformisti Ayrault, Moscovici e Valls rischiava un eccessivo sbilanciamento a “destra”, che poteva correggere solo un peso massimo come Fabius, grande elettore del Segretario nella sfortunata sfida delle primarie.

Ma l’unico vero “elefante” di un governo guidato da un altro “monsieur normale” potrebbe presto diventare ingombrante per l’Eliseo. Non solo perché, tra i tanti compagni che negli anni hanno sottovalutato François Hollande, era lui il più sprezzante nei confronti del neo-presidente. “Hollande all’Eliseo? Sogniamo!” diceva fino a poco tempo fa Fabius, irridendo le ambizioni del mite burocrate che aveva soprannominato “fragolina di bosco”. Il confronto tra i curricula in parte giustifica l’avventato pronostico. Perché a differenza di François Hollande, che “i socialisti non hanno mai ritenuto degno di fare il ministro” – così lo liquidavano i detrattori – Laurent Fabius è stato l’enfant prodige del mitterrandismo.

Il rifondatore del socialismo francese lo sceglie prima ancora di arrivare all’Eliseo come capo del suo gabinetto, per poi farlo diventare – nell’ottantaquattro, a soli trentasette anni – il più giovane primo ministro della storia della République. E nella sua breve esperienza a Matignon, Fabius si permette anche di avviare una politica estera diversa, più idealista, rispetto a quella presidenziale. Così quando François Mitterrand nel dicembre 1985 riceve il generale Jaruzelski a Parigi, il primo ministro comunica urbi et orbi il suo dissenso.

Difficile immaginare che dopo aver sottolineato la sua autonomia dal presidente e maestro – “lui è lui, io sono io”, spiegava asciutto – Fabius si faccia intimorire dall’Eliseo hollandiano. Tanto più se la spinta verso un riequilibrio dei poteri dopo l’iper-presidenzialismo sarkozista gli consentirà di varcare gli incerti confini del “domaine reservé” che la Quinta Repubblica riconosce al presidente sulla materia.

Non è così evidente però – considerando le sorprendenti virate che hanno segnato la sua carriera – indovinare in che direzione Fabius potrebbe condurre la politica estera francese. Nel suo lungo percorso politico, il ministro ha toccato diverse stazioni intermedie tra liberalismo e socialismo, prima di abbracciare la causa “no global” (o “altermondialiste”, per dirla in francese politicamente corretto). Ed è in vista di “un nuovo mondo possibile” che dice “no” nel 2005 alla carta costituzionale europea, anche se i compagni gli attribuiscono sul medio periodo un progetto più mirato: la speranza di cavalcare l’ondata anti-europeista fino all’Eliseo.

Di fronte alla crisi dell’eurozona, Fabius ancora oggi rivendica quella scelta, ma i suoi più recenti interventi sull’Europa sono nel segno della riconciliazione (a sinistra) con la linea del partito. Il nuovo ministro degli Esteri è favorevole al rafforzamento della governance europea, anche attraverso una profonda riforma della Bce. E sebbene abbia posticipato l’uscita dal capitalismo internazionale, Fabius vorrebbe iniziare il processo di “de-globalizzazione” rafforzando le frontiere europee, evitando al contempo di mettere a repentaglio le “eccezioni” gelosamente conservate dai francesi. Nulla che debba necessariamente entrare in contrasto con la linea dell’Eliseo. A meno che il riformista Hollande non si faccia tentare dalla “rupture” promossa nello spazio europeo dal programma di liberalizzazioni sottoscritto da Mario Monti e David Cameron.

Dal Quai d’Orsay, oltre che dall’Eliseo, dovrebbero arrivare correzioni di rotta anche nel rapporto transatlantico. Il nuovo ministro degli Esteri ha dato battaglia nel 2009 all’Assemblea Nazionale per opporsi al rientro della Francia nel comando militare integrato della Nato. Lo stesso Fabius ha poi fatto sapere che la nuova amministrazione lascerà le cose come stanno, ma il suo nome, spiegava all’inizio di questa settimana Le Monde, è una garanzia del ritorno della linea “gaullo-mitterrandiana” in politica estera dopo la (parziale) rottura di Sarkozy.

La svolta più attesa dovrebbe concretizzarsi già al vertice Nato di domenica e lunedì a Chicago quando, a meno di tardivi ripensamenti indotti dalla pressione americana, Hollande annuncerà agli alleati il ritiro delle forze francesi dall’Afghanistan entro la fine dell’anno. Un’accelerazione unilaterale dei tempi dell’exit strategy destinata a sollevare dubbi a Washington sull’affidabilità del nuovo partner. La tensione potrebbe però essere attenuata dal disgelo, molto gradito agli Stati Uniti, che si preannuncia nei rapporti tra Parigi e Ankara.

Anche sugli altri fronti caldi del Medio Oriente, da Teheran a Damasco, Hollande ripiegherà le ali da falco che Sarkozy amava esporre piazzando sistematicamente la Francia in prima linea. Il contrasto non riguarda solo lo stile presidenziale: le improvvisazioni sarkoziste contrapposte alle sintesi hollandiane. Esprime una diversa concezione dello strumento militare che il post-gollista usava – dopo averlo “scoperto” in Libia – per rafforzare l’influenza della Francia su scala globale.

Il nuovo presidente privilegerà invece la mediazione per ottenere successi diplomatici, affidandosi in primis al Quai d’Orsay di Laurent Fabius. E non si può escludere che Hollande abbia già iniziato a tessere la sua tela senza aspettare il ministro degli Esteri, visto che sabato scorso Michel Rocard, grande vecchio del Ps e vecchio nemico di Laurent Fabius, si è presentato a Teheran per incontrare il capo della diplomazia iraniana Alì Akbar Salehi. Una visita rigorosamente privata, assicurano gli uomini del presidente. Ma è bastata al leader dell’Ump Jean-François Copé per accusare Hollande, prima ancora del suo insediamento, di aver avviato unilateralmente “una politica della mano tesa nei confronti dell’Iran (…) che rompe la solidarietà fin qui esemplare tra europei”.  

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