Ricolfi: «Montezemolo? Può puntare al 25%»

Ricolfi: «Montezemolo? Può puntare al 25%»

Luca di Montezemolo potrà essere un protagonista della vita politica e aggregare i voti di chi rifiuta il governo-marmellata della sinistra di Vasto. A una condizione: anziché rivolgersi all’universo moderato e costruire un blocco conservatore cementato dall’anticomunismo e fondato sulle relazioni con i poteri tradizionali, dovrà promuovere una grande sfida riformatrice di rottura radicale all’insegna della rivoluzione liberale e liberista. Altrimenti si ripeterà quanto accaduto con Silvio Berlusconi, che aveva promesso una prospettiva reaganiana e ha finito per galleggiare tra Confindustria, sindacati e Chiesa”. Luca Ricolfi, sociologo di fama internazionale e attento studioso degli orientamenti profondi in atto nell’opinione pubblica, mette in luce i problemi aperti e i nodi da sciogliere nel progetto politico a cui il presidente di Italia Futura lavora da tempo in vista di una discesa in campo ormai imminente.

Montezemolo diventerà il federatore del Pdl e del Terzo Polo o darà vita a una forza autonoma alternativa ai partiti tradizionali?
Non lo so, e non so se abbia già deciso come entrare in politica. Molto dipenderà dalla legge elettorale e dalla presentabilità degli “avanzi” del centrodestra. È probabile che alle prossime elezioni ci sarà una lista Montezemolo, ben distinta dalle altre forze. La possibilità che questa formazione corra da sola o si allei con ciò che resta dello schieramento moderato è legata a un’ipotesi: se il centrodestra dovesse presentarsi ancora con il volto di Bossi-Berlusconi-Casini, difficilmente il presidente della Ferrari accetterà l’abbraccio mortale di simili personaggi. Un’alleanza con partiti ispirati dal Senatùr e dal Cavaliere, infatti, creerebbe discredito e pregiudicherebbe il successo della sua lista. Quanto a un eventuale accordo con Casini, il problema sarebbe innanzitutto di immagine: difficile far passare un’idea di rottura e di cambiamento stringendo un patto con una personalità intimamente “democristiana” come il numero uno dell’Udc.

Il progetto di Montezemolo sarà improntato alla realizzazione di una rivoluzione liberale e liberista portata avanti da un movimento laico e riformatore, o proporrà un messaggio “moderato” imperniato sul legame con Confindustria, sindacati, Chiesa, Quirinale?
A giudicare dal ruolo assunto nella fondazione Italia Futura da Nicola Rossi, estensore del suo programma economico, ritengo che il motivo ispiratore della sua sfida sarà proprio la rivoluzione liberale e liberista. Tuttavia il profilo ideale del “partito di Montezemolo” rappresenta un punto ancora poco chiaro. Alcune volte sento parlare della necessità di attirare gli elettori “moderati”, in altri momenti mi capita di ascoltare appelli a favore di riforme coraggiose. Non è la stessa cosa. Anzi, per certi versi sono due obiettivi opposti. I moderati sono conservatori, i riformisti sono radicali. Montezemolo dovrà decidere se si vuole rivolgere soprattutto ai primi o ai secondi.

In una ricerca pubblicata sul Sole 24 Ore, Roberto D’Alimonte evidenzia la presenza di un 30 per cento di elettori che vuole la riduzione della spesa pubblica e della pressione fiscale. Montezemolo può avere colto il valore di quel vuoto politico ancora privo di risposte?
Penso di sì. Forse sarebbe meglio dire: lo spero. Perché il rischio è che, alla fine, tutto finisca come con Berlusconi. Si promette la rivoluzione liberale e poi si finisce per barcamenarsi fra i poteri forti: Chiesa, sindacati, Confindustria.

Quel 30 per cento di cittadini si dichiara pronto a votare una lista autonoma guidata da Mario Monti. Montezemolo ha deciso di anticipare un’eventuale discesa in campo del suo avversario più insidioso?
Non so se il presidente della Ferrari tema la concorrenza del capo del governo. A mio parere il 30 per cento di Monti non è lo stesso 30 per cento di Montezemolo. Vi è un’intersezione fra i due elettorati, perché sia l’uno che l’altro sono in grado di produrre l’effetto plasil, il farmaco che fa passare nausea e mal di mare. Per il fatto di non insultare nessuno, essere gentili, conoscere le lingue, avere studiato, non aver militato in nessun partito, entrambi sono in grado di attirare milioni di voti, i voti dell’Italia benpensante. Tuttavia esiste una differenza, che stranamente nessuno nota. Monti è un ex liberale che da quando è al governo ha portato avanti una politica ancora meno liberale di quelle di Tremonti e Berlusconi. Montezemolo è un uomo d’azienda che promette di fare ciò che il Cavaliere non ha saputo fare, ossia liberare l’Italia dallo statalismo e dalle tasse. L’ex numero uno della Fiat però ha sempre parlato con grande prudenza, senza esplicitare fino in fondo le conseguenze di una politica coerentemente liberale: più posti di lavoro ma anche meno spesa pubblica. Mentre Monti, finora, è riuscito abilmente a occultare il suo effettivo profilo politico, profondamente statalista e consociativo, visto che ha puntato quasi tutte le sue carte sull’aumento del gettito e sulla pace sociale.

È realistico ipotizzare un consenso superiore al 20 per cento per il partito di Montezemolo?
Quella cifra è plausibile. Non ho dati recenti, ma a naso direi che Montezemolo può puntare al 25 per cento, grazie a un consenso fondamentalmente trasversale. A condizione che nel 2013 non vi siano troppe liste simili alla sua. La formazione animata dall’ex presidente della Fiat, infatti, non può sfuggire alla ferrea legge dello share elettorale: il numero di voti di un partito non è solo direttamente proporzionale al suo gradimento, ma è anche inversamente proporzionale alla quantità di liste che offrono promesse simili.

In un’indagine pubblicata nel 2008 sulla rivista Polena Lei osservava come fosse il Pd di Veltroni a perdere più voti a favore di un “partito di Montezemolo”. È così ancora oggi, o il partito di Bersani rappresenta l’antitesi ideologica di Italia Futura?
Da allora le cose sono molto cambiate. Nel 2007, grazie al confuso immobilismo del governo Prodi, la sinistra era più in difficoltà della destra. Oggi è il contrario. La destra, con la sua incapacità di cambiare classe dirigente, è così autolesionista che diventerà la sorgente principale del voto a Montezemolo.

L’impronta laica e liberale di Italia Futura potrebbe ostacolare la conquista di consensi nell’area cattolica del Terzo Polo?
Senz’altro. Specie se il partito di Montezemolo dovesse dire alcune verità sul Mezzogiorno, riserva di clientele per i partiti di matrice cattolica. Tuttavia ritengo più probabile che, sul Sud, il movimento finirà per far prevalere la prudenza.

Una discesa in campo del presidente del Cavallino potrebbe essere percepita dagli elettori del centrodestra come una riedizione del ‘94 berlusconiano?
Sì, ma solo da una parte non numerosa di quel mondo. Una delle ragioni del fallimento del progetto del “partito liberale di massa” risiede nel fatto che, nel 1994, il voto per Berlusconi fu soprattutto un voto contro la sinistra, più che una scelta consapevole per una svolta liberale nella politica economica italiana. Altrimenti gli elettori di Berlusconi si sarebbero fatti sentire di più, in questi due decenni.

Quale legge elettorale converrebbe di più a Montezemolo?
Il doppio turno uninominale maggioritario, a meno che il suo scopo sia solo quello di esistere in Parlamento. Grazie al doppio turno di collegio la sua lista, se riuscisse ad arrivare seconda alla prima tornata, nel voto decisivo potrebbe raccogliere i suffragi di tutti coloro che non desiderano riconsegnare l’Italia a un governo-marmellata come sarebbe quello che sta preparando la “sinistra di Vasto”, con Bersani, Di Pietro, Vendola e gli inevitabili cespugli. Per realizzare un’operazione del genere è però indispensabile convincere l’opinione pubblica che le forze riunite intorno a Montezemolo non sono un’armata Brancaleone accomunata dall’anticomunismo o dall’ostilità verso la sinistra.

L’Italia del futuro sarà dominata dal bipolarismo tra Montezemolo e Grillo?
Non credo granché al fenomeno Grillo. Anche se per ora i grillini sono più di sinistra che di destra, alla resa dei conti non faranno troppi danni alle forze progressiste, non più di quelli che riusciranno a provocare al campo conservatore. L’elettore di sinistra tipico, infatti, non è una persona di mente libera, che considera il voto una scelta come un’altra. L’elettore di sinistra tipico mugugna contro i partiti della sinistra per tutta la legislatura, si indigna e si arrabbia, sacramenta e giura di non votarli più, ma poi immancabilmente li sceglie. L’altro ieri contro il pericolo del fascismo, ieri contro il tiranno Berlusconi, domani chissà. Per questo Grillo mi sembra più pericoloso per la destra che per la sinistra. Al momento buono, le Cinque Stelle potrebbero attirare l’elettorato qualunquista naturalmente incline a votare a destra, ma potrebbero non farcela a sedurre l’elettorato di sinistra, molto più stabile e conformista. 

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