La democrazia per l’Islam egiziano: “Se vincono i militari le elezioni sono false”

La democrazia per l’Islam egiziano: “Se vincono i militari le elezioni sono false”

IL CAIRO – «Abbiamo vinto», esultano i Fratelli Musulmani già nelle prime ore del mattino nella loro sede, una lussuosa villa a due passi da Piazza Tahrir. Sono le 6 quando il quartier generale di Mohamed Morsi, candidato della Fratellanza, inizia i festeggiamenti e pubblica un comunicato stampa dal titolo «Il Dottor Mohamed Morsi è il nuovo Presidente dell’Egitto». Poi ancora: «Dichiarazione di vittoria: Morsi ha conquistato il 52%, Shafik il 48».

Nonostante l’esultanza della Fratellanza, ancora non ci sono dati ufficiali. Nel quartiere generale di Shafiq, ex primo ministro di Mubarak. «È troppo presto per giudicare, aspettiamo dati accreditati. Non appena avremo una quadro chiaro del Paese, ci pronunceremo, non prima. Il risultato dichiarato dei Fratelli Musulmani è prematuro», esclama un responsabile dell’ufficio stampa. «Alle 19 di oggi, lunedì, faremo una conferenza stampa e renderemo noti i nostri dati». 

Secondo un noto quotidiano egiziano, Al Ahram, l’affluenza è stata più alta al secondo turno e l’ufficializzazione definitiva verrà data giovedì. Inoltre lo Scaf, il Consiglio Supremo delle Forze Armate, ha pubblicato ieri un ulteriore emendamento nella “dichiarazione costituzionale” che estende il potere politico dei militari fino a quando non si avrà la nuova Costituzione. 

L’ultimo giorno del ballottaggio si è svolto senza scontri e manifestazioni. Un giovane studente di ingegneria all’Università del Cairo, in fila fuori da uno dei seggi nel quartiere benestante di Zamalek, commenta l’annuncio della Corte Costituzionale, avvenuto due giorni prima del ballottaggio: «In tanti hanno parlato di un colpo di Stato dei militari, paragonandolo a quello algerino del 1991. Non è così. Le situazioni e modalità sono molte diverse. Lì i militari cancellarono il risultato delle elezioni parlamentari subito dopo l’ ufficializzazione dei risultati, senza dare troppo spiegazioni. Quello è stato un colpo di Stato a tutti gli effetti. Qui lo Scaf, Consiglio Supremo delle Forze Armate, e i Fratelli Musulmani hanno collaborato fino a quando ha fatto comodo a entrambi. Poi, nel momento in cui gli interessi hanno cominciato a divergere nella spartizione della torta, sono nati i primi conflitti. Prima e subito dopo le elezioni parlamentari in Egitto, le due Forze in questione avevano collaborato e si erano venute in contro. Alla base di questa legge elettorale c’è un accordo stipulato da entrambi, nonostante lo Scaf già da tempo aveva manifestato la sua contrarietà. I problemi son subentrati dopo, quando la Fratellanza ha voluto anche il suo candidato ufficiale alle presidenziali. Per quanto mi riguarda, non mi piace né l’uno né l’altro candidato. Votiamo il meno peggio, non abbiamo altre scelte, purtroppo».

La Corte Costituzionale Egiziana ha annunciato il 14 giugno la parziale incostituzionalità della legge elettorale che rende, dunque, l’intero Parlamento illegittimo e quindi verrà sciolto. Ha stabilito, inoltre, che gli articoli che riguardano l’attribuzione dei seggi uninominali (un terzo del totale) sono contrari alla Carta fondamentale attualmente in vigore. Il sistema uninominale riguarda in realtà solo un terzo dei 508 seggi, mentre il rimanente viene attribuito mediante un sistema di liste.

Il giovane cairota dimostra una conoscenza approfondita del suo Paese: ha seguito tutti i passaggi politici interni e incalza: «La legge elettorale è illegale. Su questo non ci sono dubbi, mi lascia perplesso la tempestività che sicuramente è stata ben calcolata. Ma sul merito della questione, penso ci sia poco da fare: è illegittima». Ha le idee molto chiare: «Questo, ripeto, non è un colpo di Stato; Scaf e Fratellanza sono due poteri forti, giocano le loro carte come meglio possono, alcune alla luce del sole altre sottobanco. Ma l’obiettivo è il medesimo: la spartizione del potere. Non dimentichiamoci che prima delle elezioni Parlamentari, lo Scaf e il Partito di Libertà e Giustizia non erano per niente in contrasto. Entrambi volevano fare il prima possibile le elezioni e hanno voltato entrambi le spalle alla Rivoluzione».

La sede del candidato dei Fratelli Musulmani, Mohamed Moursi, è una villa lussuosa al centro del Cairo, vicino al Ministero dell’Interno. Al primo piano il suo staff scrive comunicati, parla con i giornalisti locali e organizza incontri con la stampa internazionale. Non hanno dubbi sull’esito delle elezioni: «Se perdiamo le elezioni vuol dire che sono false, e manifesteremo il nostro dissenso in tutti i modi. Sappiamo dalle statistiche che più del 50% della popolazione vuole Morsi. Se il risultato non sarà questo, è falso e modificato», dice a Linkiesta Narmeen Moammad, la responsabile media del centro. Insomma, stando alla loro lettura, se le elezioni vedranno Morsi vincitore, allora sono aperte e democratiche. Se invece vincerà Shafiq, sono false e contro i cittadini. Quella dei Fratelli musulmani sembra una democrazia a senso unico.

«Siamo certi che Shafiq stia giocando sporco – continua Nermeen Moammad – abbiamo rivelato molte irregolarità e chiediamo ai nostri elettori di segnalarcele». Anche la Fratellanza, secondo le organizzazioni che monitorano le elezioni, ha commesso numerose e ripetute irregolarità «Non ci risulta, non c’è giunta voce», risponde Narmeen Moammad.

Infine, alla domanda sul perché Morsi, sospettando del gioco sporco dello Scaf, abbia preso ugualmente parte a questa partita elettorale, la risposta è ambigua «Lo Scaf sta cominciando a fare i suoi sporchi trucchi, ma Morsi andrà avanti. Se Morsi avesse lasciato prima, lo scenario del voto sarebbe stato Shafiq contro Shafiq e avrebbe vinto Shafiq. Non possiamo permetterlo». Poi, nervosa, aggiunge: «Non risponderò ad altre domande, il tempo è scaduto, ci sono altri giornalisti fuori. L’intervista è finita». Fuori dal suo ufficio non ci sono altri giornalisti.

Il presidente della Suprema Commissione Elettorale, Hatem Bgato, su quest’ultimo punto, è stato chiaro: nel caso Shafiq fosse stato escluso dalla corsa per le presidenziali (per volontà della Corte Costituzionale), le elezioni si sarebbero dovute tenere nuovamente. Se Morsi avesse lasciato la corsa per le presidenziali, allora Shafiq avrebbe corso da solo. E sarebbe stato come un referendum. Per vincere avrebbe dovuto ottenere il 50% dei voti più uno. E se non avesse raggiunto questa percentuale, le elezioni si sarebbero tenute nuovamente.

Una cosa è certa: il cammino del popolo egiziano verso la tanto declamata “democrazia’ è appena iniziato e sarà un percorso molto lungo.