La filiera delle persone che nel corso del tempo si sono sbarazzate di Andrea Pirlo, credendolo ora troppo acerbo ora inesorabilmente decotto – due estremi di una comune scelleratezza – comprende nomi eccellentissimi che vanno dal presidentino Massimo Moratti al presidentissimo Silvio Berlusconi (perdonate la differente accezione del termine «presidente» ma qui, come dice Formigoni, «non si gioca alla lippa» e si contano le coppe). Entrambi sono riusciti nell’impresa titanica di rimpiangere il regista bresciano, l’uno, il presidentino, per un numero di anni così sterminato da rappresentare un caso unico al mondo, l’altro, il presidentissimo, per un tempo così breve e intenso (uno scudetto con la Juve e già una semifinale all’Europeo) da costituire una base sufficiente per darsi autorevolmente del pirla.
Non tutti gli sbagli, però, sono di peso eguale e non sempre, o almeno non solo, dipendono esclusivamente dal numero uno della società. Se nel caso di Massimo Moratti questo pare abbastanza certo – inutile qui enumerare le vagonate di giocatori cacciati dall’Inter e poi diventati fenomeni altrove (esempio maximo Seedorf, unico calciatore al mondo ad aver vinto la Champions con tre maglie diverse, Ajax, Real e Milan), nella vicenda del povero Cavaliere dovremmo invece attribuire la scelta di privarsi di Pirlo al suo disfacimento politico. Nel senso che la scorsa stagione, la scelta di abbandonare il ragazzo che aveva fatto grande quel Milan non fu sua, ma di quel livornese troppo permaloso di Max Allegri, il quale completamente digiuno di quel che dovrebbe essere una grande società di calcio, pensò – tapino – di poter imporre a Galliani le proprie testardaggini, una delle quali, appunto, aveva come obiettivo l’allontanamento di Pirlo.
C’è una regola d’oro, nel calcio. La prima. L’allenatore deve stare al suo posto, non parlare di acquisti e cessioni, non deve proprio metterci becco. Deve semplicemente «subire» i giocatori che gli compra la società e allenarli al meglio. Stop. A meno che non sia il manager, che è altra cosa. A meno che non sia Ferguson, a meno che non sia Mourinho, uomini che «fanno» una società.
Uno dei più grandi passati dalle nostre parti è stato Nils Liedholm, il quale non consigliava mai giocatori da comprare, anche semplicemente per un fatto egoistico. Ragionava, il Barone, su quella deriva dell’animo umano che porta immediatamente i tifosi e la stampa a scaricare le eventuali manchevolezze tecniche di un atleta sulla persona che magari l’ha caldamente consigliato. Non voleva rogne, per questo si prendeva i giocatori e non se ne lamentava. Sapeva che ne avrebbe cavato il massimo, avendone riconosciuti i meriti. Per questo era molto amato dai presidenti, che grazie a lui triplicavano il valore dei giocatori (Zeman è un po’ questo?).
Ma per tornare a Pirlo e a quell’arrogantello senza qualità di Massimiliano Allegri (sarebbe stato licenziato a fine stagione, senza quel contratto troppo oneroso fino al 2014). Alla fine del suo primo anno in rossonero, un certo Arrigo Sacchi si presentò in sede con una lista, la Sacchi’s list. In quel foglietto, il tecnico di Fusignano aveva messo i suoi «sgradimenti», i giocatori, cioè, ch’egli riteneva inadatti al Milan e che dunque pretendeva venissero ceduti perché non aderivano perfettamente al suo progetto. Quando Berlusconi, allora vivo, vegeto e operativo, venne informato da Galliani, fece un saltone sulla sedia: il primo nome era Van Basten! Ne seguivano altri, anch’essi di peso (per esempio Tassotti e Massaro) ma certamente nessuno come il fenomeno olandese. Sacchi, che è stato un grandissimo, tecnico irrepetibile, motivò quella scelta con il fatto – per lui intollerabile – che Marco Van Basten non tornava a centrocampo.
Berlusconi lo convocò. Gli disse che era pagato per allenare e non per vendere giocatori. I suoi giocatori, quelli che aveva comprato lui, il Presidente. Gli ribadì che se non fosse stato d’accordo, avrebbe ceduto Sacchi e non Van Basten. Come finì, lo ricordate tutti. Sacchi tornò in campo e sbaragliò il mondo (con Van Basten e altri).
Quel giorno di Allegri, il Cavaliere non c’era più. E Pirlo prese la via di Torino. Per questo, per il bene che gli vogliamo al nostro Presidente, chiediamo retroattivamente il licenziamento di Allegri. O, quanto meno, i danni per aver ceduto un fenomeno.