«Sembra una favola, niente a che vedere con la politica e le monellerie del passato del mio futuro sposo». Sentita dal quotidiano Il Mattino al riguardo, le chiama proprio così, “monellerie”, le gesta dell’uomo nero di Piazza Fontana, fondatore del neofascista Ordine Nuovo, terrorista sovversivo con tanto di condanna definitiva a 15 anni sulle spalle: Franco Freda. Lei è Anna K. Valerio, già madre dei loro due bambini. È nata nel 1979, dieci anni dopo l’episodio infame e tragico della bomba che nel pomeriggio del 12 dicembre 1969 squassò la filiale meneghina della Banca Nazionale dell’Agricoltura, uccidendo diciassette persone e ferendone ottanta.
Iniziò allora la “strategia della tensione” e il periodo più buio della nostra storia repubblicana. Freda ripete che la giustizia non l’ha mai condannato per quell’eccidio e tuttavia non si può ignorare la Corte di Cassazione, per la quale la strage di Piazza Fontana fu organizzata da «un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura». I quali però non sono processabili in quanto «irrevocabilmente assolti dalla Corte d’assise d’appello di Bari» che li ha condannati solo per altre bombe sui treni. Al riguardo, Freda sostiene che «entro i limiti umani di un miliziano, la mia milizia politica ha cercato di attuare ciò che il sentimento del mondo in cui mi riconosco suggeriva».
Dopo aver scontato la sua condanna, Freda, classe 1941, avvocato, si è oggi ritirato in provincia. Ad Avellino, precisamente, dove sono le sue origini, e dove ha deciso di sposarsi con rito civile (la data del matrimonio è segreta, non vogliono creare troppo clamore).
Nel massimo silenzio e nella quasi completa invisibilità, nel cuore del capoluogo, in piazza Libertà, Freda gestisce la casa editrice Edizioni di Ar con la quale dà alle stampe testi come il “Mein Kampf” di Adolf Hitler, i “Tre aspetti del problema ebraico” di Julius Evola, “L’anticristiano. Imprecazione sul cristianesimo” di Friedrich Nietzsche. C’è anche una collana erotica: si intitola “Le librette di controra” e a dirigerla è proprio la Valerio, la quale decise di avviare l’intrapresa con un attacco all’erotismo «confessionale e piagnucoloso» di Melissa Panarello, baciata dal successo clamoroso di “Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire”. Il pamphlet si intitolava “Contro la P. Melissa. Elogio e invettiva”, a cui la scrittrice siciliana rispose piccatamente riferendosi all’autrice così: «Anna e Valerio è la sua vera identità, poiché se si guarda bene la foto si ha l’impressione di guardare un viados e non una donna che si ritiene custode suprema dei piaceri e dispiaceri dell’erotismo». Ne seguì una causa, infine i giudici conclusero che Melissa P. non aveva diffamato la Valerio.
La futura signora Freda, originaria di Gemona del Friuli, in provincia di Udine, potrebbe sembrare fuori contesto: il suo bisnonno, anarchico più che comunista, fu il primo sindaco rosso del suo paese, mentre il nonno fu partigiano nella Brigata Garibaldi. Lei sostiene di aver avuto una «predestinazione al contrario», perché «in famiglia erano tutti vincitori, brutalmente, efferatamente antifascisti». E l’incontro con Freda dice fu un colpo di fulmine: «ecco un guerriero, un vero nichilista».
Di lui ogni tanto spuntano fuori sui giornali notizie sparse. Come nel maggio scorso, quando l’ex terrorista scrisse al quotidiano Libero, lamentandosi del fatto che, nel corso delle indagini sulla bomba alla scuola Morvillo Falcone di Brindisi, che costò la vita a Melissa Bassi e ferì altre cinque studentesse, fosse stata perquisita una casa dove lui soggiornò un tempo. Gli inquirenti smentirono. Qualche imbarazzo poi lo provocò poche settimane prima, in aprile, a Gianni Alemanno, costretto ad annullare una presentazione in Campidoglio di un libro della Ar, autorizzata precedentemente dagli uffici comunali «ignorando la matrice ideologica di questa casa editrice, contraria ai principi sanciti dalla Costituzione», spiegò il sindaco di Roma, genero di Pino Rauti, con cui Freda ebbe una lunga frequentazione in passato.
Oggi l’editore neofascista ha deciso di stabilizzare anche col matrimonio la sua vita in provincia. Una provincia apparentemente addormentata, che negli anni Settanta, mentre forniva alla Democrazia Cristiana un pezzo importante di classe dirigente (De Mita, Mancino, Gargani, Agnes…), produceva anche gruppi di fuoco del terrorismo rosso, sotto le insegne delle Formazioni comuniste combattenti. La cellula irpina uccise a Patrica, in provincia di Frosinone, il 10 novembre del 1978, il procuratore della Repubblica Felice Calvosa, ammazzato col suo autista Luciano Rossi, e l’agente di scorta Giuseppe Pagliei. Il gruppo di fuoco era formato da Roberto Capone, figlio di una famiglia della sinistra irpina (suo fratello è oggi nel Pd, fa l’assessore al Bilancio al Comune di Avellino), colpito mortalmente nell’agguato da fuoco amico; la sua fidanzata Maria Rosaria Biondi, figlia di Federico, ex preside, grande personaggio del locale Pci, a cui ha dedicato uno splendido libro (“Andata e ritorno: viaggio nel Pci di un militante di provincia”); e infine, Nicola Valentino, figlio di un ferroviere di Avellino, a un passo dalla laurea in medicina. Biondi e Valentino non hanno mai chiesto benefici di pena né mostrato pentimenti. Anche Valentino come Freda si è avvicinato all’editoria: collabora oggi con Renato Curcio nella casa editrice Sensibile alle Foglie. Per chiudere sulle Fcc, che in Ciociaria sempre quell’anno avevano ucciso anche Carmine De Rosa, maggiore dei carabinieri in congedo e capo dei servizi di sicurezza industriale alla Fiat di Cassino, il gruppo era capeggiato da Paolo Ceriani Sebregondi, figlio dell’aristocrazia romana: dopo un’evasione avventurosa dal carcere di Parma, trovò riparo in Francia. Vive a Parigi, dove insegna alla Sorbona, come ha rivelato il giornalista lucano Paride Leporace in Toghe rosso sangue.
Ma a proposito di terrorismo, non si può non ricordare che l’Irpinia ha purtroppo avuto una delle vittime eccellenti di quei sanguinosi anni, Antonio Ammaturo, capo della squadra mobile di Napoli, medaglia d’oro al valor civile, trucidato dal Br (in tragico sodalizio con la camorra cutoliana) nel capoluogo partenopeo il 15 luglio del 1982.