Dietro al crollo del canottaggio c’è un problema politico

Dietro al crollo del canottaggio c’è un problema politico

C’era una volta il canottaggio italiano. C’era una volta e non c’è più. C’era una volta l’invincibile armata che dopo i successi dei fratelloni Abbagnale era diventata lo spauracchio di tutti. Sotto la guida del direttore tecnico Giuseppe La Mura, medico di professione, allenatore per vocazione conquistò a Sydney 2000 un oro (quattro di coppia con Agostino Abbagnale, Sartori, Galtarossa Raineri), due argenti (quattro senza con Molea, Dei Rossi, Carboncini, Mornati e doppio pesi leggeri con Luini e Pettinari) e un bronzo (doppio pesi leggeri con Calabrese e Sartori). Ad Atene arrivarono altri tre bronzi (doppio, quattro senza e quattro senza pesi leggeri).

Poi il canottaggio italiano ha deciso di prendere un’altra strada, quella delle battaglie politiche. Dal febbraio 2005 la gestione tecnica di De Capua, dall’ottobre 2006 quella di Coppola fino a Pechino. Poi ancora De Capua nel quadriennio fino Londra. Giochi di palazzo, veti incrociati, teste saltate, congiure e promesse non mantenute. Politica più che remoergometro e vogate. Con il risultato che il canottaggio italiano ha perso anno dopo anno di consistenza ottenendo i seguenti risultati: un argento a Pechino nel quattro di coppia (Agamennoni, Venier, Galtarossa, Raineri) e una medaglia di due intrusi a Londra 2012. Già, perché il festeggiatissimo argento del doppio di Alessio Sartori e Romano Battisti è frutto di una preparazione in proprio. Il direttore tecnico De Capua non li ha voluti con la nazionale, non li ha giudicati abbastanza competitivi e loro, assieme all’allenatore Franco Cattaneo hanno costruito tutto da soli.

Cattaneo è un vecchio allievo di La Mura e dei suoi metodi fatti di lavoro, lavoro e solo lavoro. «Perché la qualità, senza la quantità non serve a nulla». Le telefonate con Castellammare di Stabia si sono succedute nell’arco di tutta la preparazione. E i risultati si sono visti. In verità le Olimpiadi di Londra 2012 sono state la rivalutazione del metodo del dottore. Il neozelandese Murray, che nel 2004 arrivò quinto nel quattro senza, oro nel due senza a Londra 2012 ha confidato ai suoi ex colleghi azzurri che questo trionfo olimpico è il frutto di un impegno durissimo, durato otto anni, passati anche a studiare al video lo “stile orizzontale” canonizzato negli anni novanta dall’allenatore degli Abbagnale.

«Ho passato ore e ore ai remi, ogni giorno, prima e dopo il lavoro. Otto anni fa voi italiani spaventavate tutti, nessuno voleva capitare in batteria con voi. Che cosa vi è successo?» Cosa è successo se lo chiede tutto il mondo del canottaggio. Capro espiatorio Beppe De Capua, spezzino mai amato dai canottieri. La Repubblica il 3 agosto scorso ha pubblicato le rivelazioni di un canottiere che ha voluto rimanere anonimo: «Essere a un’Olimpiade è una soddisfazione immensa, ma non ci ripaga dei duecento giorni passati in ritiro in un ambiente da caserma, lontano dalle proprie famiglie, con regole paramilitari. Un esempio? Punire gente di quasi quarant’anni per un ritardo di un minuto, mettendo il coprifuoco a professionisti irreprensibili, che sanno benissimo come gestirsi, significa creare un clima di paura e di stress, che non è certo l’ideale per preparare un appuntamento così importante. Le dimissioni sarebbero il minimo».

Dimissioni no, defenestramento sì, perché De Capua è stato sollevato dall’incarico oggi dalla Federcanottaggio. Ma c’è chi chiede di più. Giuseppe Abbagnale e Davide Tizzano, quattro medaglie d’oro olimpiche in due, vogliono le dimissioni dell’intero consiglio federale che «ha operato sempre con la massima libertà, senza opposizione – dicono – quindi la scelta di De Capua non può vedere pagare soltanto il tecnico ma anche chi lo ha nominato».

Il presidente federale Gandola ha rivoluzionato il modo di concepire la preparazione del canottaggio di vertice con un assetto tecnico orizzontale privo di figure davvero autorevolmente prioritarie con un responsabile per ogni settore (senior, pesi leggeri, donne, junior). Questo, secondo i detrattori di Gandola è stato funzionale all’innalzamento dell’immagine personale dello stesso presidente.

A questo da aggiungersi i metodi di De Capua che non hanno privilegiato la competizione interna non mettendo mai in discussione il “posto in squadra”.

Contro il dt una rivolta interna con l’accusa di codardia rivolta da Rossano Galtarossa un oro, un argento e due bronzi olimpici. Alle accuse alla presidenza federale Gandola risponde: «polemiche tanto sterili quanto, spesso, strumentali». Ma è anche vero che il canottaggio italiano è in forte crisi di identità e Piediluco, culla di tanti campioni, non è più amata come una volta.

In principio fu una maglietta goliardica con su scritto “Piediluco prison”, poi man mano il suo ruolo è andato sempre più scemando di pari passo con l’aumento dell’importanza di altri bacini nazionali forse più graditi agli atleti. Ora si predica un ritorno alle origini che coinvolga, anche a livello decisionale un po’ tutto il territorio nazionale dopo l’esautoramento dei tecnici vicini al dottore. Ma non è facile in una disciplina dove le rinunce sono tantissime ed il sacrificio altissimo. Tutto ciò si contrappone alle innumerevoli offerte che il mondo contemporaneo fornisce ai giovani d’oggi. Si vota a Pisa a novembre. Di fronte, per ora, l’attuale presidente Enrico Gandola, 45 anni, imprenditore di Bellagio, e l’ingegnere romano Marcello Scifoni, 58 anni. Alla finestra il ticket Tizzano-Abbagnale. È la scadenza cruciale per uscire da uno dei momenti peggiori che il canottaggio azzurro abbia mai attraversato.  

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