A Viterbo la pioggia diventa una questione politica

A Viterbo la pioggia diventa una questione politica

Speriamo che non piova. Lo scrivono i ragazzi sui diari di Facebook; lo ripetono i grandi mentre sono in fila alle poste; è la mezza preghiera dei vecchi. Se questa sera piove di brutto, come promesso da bollettino meteo, il trasporto della Macchina di Santa Rosa diventa impossibile. Troppo pericoloso. Viene annullato. Rimandato. Magari posticipato a sabato, un prefestivo. Ma non sarebbe più la stessa cosa. E poi ci sono i facchini e le loro famiglie in trance agonistica da un mese; le forze dell’ordine pronte «a spiegamenti massicci per la sicurezza lungo il percorso», chi ha organizzato i festoni in discoteca, chi ha invitato gli amici da Roma. Per la città sarebbe un urlo strozzato in gola.

Di più: il 3 settembre, a Viterbo, un temporale può diventare una questione politica. Il sindaco Giulio Marini (Pdl) giorni fa è stato perentorio: «Basta, mi dimetto dopo Santa Rosa», ha tuonato sfibrato dall’ennesimo blackout della sua maggioranza. Non il quattro settembre – perché c’è l’appendice della fiera – ma il giorno dopo, mercoledì cinque. 

A questo punto occorre entrare nel cuore dell’evento. Anzi dentro la Macchina: una scultura barocca sempre più hi tech alta trenta metri per 3 tonnellate di peso, portata sul groppone da più di cento uomini in un “gran premio” di 1,2 chilometri per le vie del centro storico. Solo cinque le soste consentite per riprendersi un po’ dalla fatica. Si parte alle 21.30 si arriva dopo due ore. Tra discese e salite, vicoli angusti e piazze straripanti di persone. Tra chi si commuove, chi scatta una foto col cellulare e chi si fa il segno della croce. Vedere la torre santa davanti da una finestra come da dietro una transenna in strada è uno spettacolo di luci, fatica, sudore e fede. Unico nel mondo per dimensioni dell’impresa, ecco perché prima o poi arriverà anche la canonizzazione dell’Unesco. 

Il trasporto del «Campanile che cammina», come lo battezzò Orio Vergani, paralizza il capoluogo della Tuscia da sempre. E ne scandisce anche il ritorno al lavoro dopo le ferie. Oggi è Santa Rosa, è il giorno più importante dell’anno. Non si litiga, non si pensa alla crisi da profondo Sud che attanaglia l’economia locale. «Siamo tutti un sentimento», insegnano le nonne ai bambini.

Se poi sei un facchino, uno dei cento eletti nerboruti vestiti di bianco con una striscia rossa alla cinta e una candida bandana in testa, la cosa si fa ancora più seria. Perché fai parte di un’istituzione. Entri in un sodalizio con tanto di presidente e statuto. Sei un intoccabile. Un eroe per la retorica – un po’ provincialotta ma in fin dei conti buonista – sfoderata all’accoglienza dai cronisti locali, a loro modo protagonisti della serata, perché storiografi di questo «miracolo», giusto per usare una della parole chiave più usate nei titoli del giorno dopo. 

Questi uomini dalle spalle larghe superano prove di peso durante l’estate per essere dell’appuntamento. Umanizzano un “miracolo”. Hanno tifosi, parenti e amici pronti a incitarli. In Spagna sarebbero toreri, a Siena fantini. Qui sono i più viterbesi dei viterbesi. Guai a ficcare il naso nelle loro dinamiche interne. Piuttosto sono un modello di forza per i più piccini, tanto che da decenni sfilano pure le mini-macchine dei quartieri, riproduzioni in scala dell’evento, portate a spalla dai mini-facchini le sere subito ridosso del grande giorno. Bambini che sognano il 3 settembre, quello che magari già vive papà come protagonista. 

Alla base di tutto ciò ci sarebbe la religione. Oggi si commemora la traslazione del corpo della piccola Rosa, la giovinetta coraggiosa vissuta a metà del ‘200 che sfidò l’imperatore Federico II sceso a conquistare la città papalina. Un’eroina dal miracolo facile venerata da secoli. E omaggiata appunto con il Trasporto: da porta Romana fino alla basilica a lei dedicata. 

Tutto iniziò con un baldacchino. Poi, si sa, l’uomo non pone mai limiti alle proprie ambizioni. Specie se sono protese verso il cielo. E così la Macchina ha preso quintali e guadagnato metri, sfuggendo ogni anno che passa dal cono religioso per andare oltre, diventando una festa sentimental-pop. Anche se il vescovo prima che i facchini si mettano al lavoro (al grido «sotto col ciuffo e fermi») dà loro la benedizione in articulo mortis. Con il peso non si scherza. La storia, d’altronde, parla di cadute, percorsi non terminati e tragedie sfiorate. Anche perché a spingere i cavalieri eponimi ci sono ali di folla in tripudio. 

La Macchina ogni 5 anni, con tanto di gara puntualmente contestata, cambia modello: dal 2009 sfila Fiore del Cielo ideata dall’architetto Arturo Vittori, fratello dell’astronauta Roberto. E quindi «sembra un missile», per i denigratori del oppure «è un’opera d’arte» giusto per seguire il classico dibattito tra esteti.

Ma anche la politica non sta a guardare, anzi. Il 3 è la sera del vestito buono per gli amministratori locali. Dal sindaco all’ultimo dei consiglieri comunali. Non ci sono colori o correnti. Però c’è una prova del fuoco che dà il termometro del gradimento: sindaco e giunta in testa a braccetto precedono i facchini fino a Porta Romana dove avviene il sollevate e fermi. Per un attimo così la passerella diventa un vaffa day, altro che Grillo. Ma la Macchina val bene anche una pernacchia, per chi governa la città. E’ comunque un bagno di folla, rigenerante. 

Specie quest’anno con la crisi politica – di sistema – che ha attanagliato la maggioranza di centrodestra seduta sugli scranni di Palazzo dei Priori. Gruppi e gruppetti nel Pdl, più esponenti della Lega federalista (che pensano di stare nell’Alto Lazio padano) e federali de La Destra hanno messo con le spalle al muro Giulio Marini, sindaco al primo mandato, berluscones della prima ora, già deputato, senatore e presidente della Provincia. 

Motivo del contendere ufficiale: i costi troppo elevati di una super giunta composta da dieci assessori, tra cui uno con la delega all’aeroporto (siete mai atterrati a Viterbo?) e il fatto di non riuscire ad abbassare l’Imu sulla seconda casa. Così tra populismo e conti in epoca di tagli ci si sono messi anche i calcoli elettorali: nel 2013 insieme alle politiche si voterà anche per le comunali. Strategie e ricatti, rese dei conti e accordi fanno parte della pre-partita. Il risiko balcanico di annunci e proclami di guerra si trascina da fine agosto. Quando Marini stanco ha dichiarato: «Dopo Santa Rosa mi dimetto da sindaco: non ci sono più le condizioni».

Poi la situazione è precipitata ancora di più. La settimana scorsa il bilancio preventivo del Comune non è stato approvato. Maggioranza a pezzi, primo cittadino tradito: giusto per usare parole da titoli a nove colonne. Una grana che ha fatto pensare in primis al commissariamento dell’ente e cioè allo scioglimento del consiglio. Ma poi è arrivata la linea dettata dalla Prefettura secondo l’interpretazione della legge: per approvare il bilancio c’è tempo fino a tutto ottobre, zompata quella data si va a casa. Fino ad allora il sindaco rimane in carica. A meno che non getti la spugna come preannunciato appunto per dopo Santa. Ma forse era una sparata, visto che gli sherpa stanno già lavorando per ricucire i rapporti. Come andrà a finire? Passata la festa, gabbato lo santo? Ma forse più semplicemente l’importante è che stasera non piova. Anche perché i facchini sono pronti a tutto pur di portare a termine la missione: «Solo un diluvio ci potrà fermare». 

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