Che tristezza la cremina intellettuale nell’affaire Carofiglio-Ostuni

Che tristezza la cremina intellettuale nell’affaire Carofiglio-Ostuni

Quando ieri a Roma in piazza del Collegio Romano ho visto la cremina dei nostri scrittori e critici letterari che si faceva sostanzialmente uomo-sandwich per solidarizzare con il povero Ostuni, editor di Ponte alle Grazie, querelato per danni (un bel 50mila) dal magistrato-scrittore-deputatopiddino Gianrico Carofiglio, mi è caduto addosso quel filo di inevitabile depressione che avvolge regolarmente le questioncelle onaniste della sinistra. Le quali riescono a rovinare anche gli aspetti più luminosi di vicende spiacevoli, nel caso nostro la totale illiberalità di questo signor magistrato-scrittore-deputatopiddino che invece di incrociare le spade all’alba e nel bosco con il medesimo Ostuni, dal quale si riteneva offeso, o di rimandarlo a quel tal paese sempre via Facebook, ha deciso di battere le vie dei tribunali, offrendo il suo onesto contributo al disfacimento della già vetusta macchina giudiziaria.

Pensavo, in tutta serenità, che la cremina letteraria si riunisse con un intento alto e nobile, che poi doveva esser quello di prendere distanze e misure da entrambi, l’uno – appunto – perché totalmente illiberale, l’altro – questione non meno rilevante – perché uomo rancoroso e non disinteressato. Lo scambio assassino, infatti, partiva dall’eccitazione nervosa dell’Ostuni medesimo che sull’onda di una sconfitta al Premio Strega (Ponte alle Grazie portava Emanuele Trevi) sparava a palle incatenate sul primo e sul terzo arrivato, Piperno e, appunto, Carofiglio.

Non trovo parole migliori, per commentare l’episodio, di quelle di Walter M., lettore (immagino appassionato) di LK che oggi ci scrive: «Io a Ostuni una cosa non gliela perdono: ma come si fa scrivere frasi come “un esempio proto tipico di midcult residuale” (a proposito di Piperno). No, davvero non se ne può più della goffa arroganza di questa generazione “intellettuale” che rimastica in fretta categorie critiche e risputa sentenze con la sicumera di un liceale milanese. Carofiglio è fuori di senno, ma la sua reazione da educanda oltraggiata pare speculare all’atteggiamento di questa banda sbracata di intellettuali – più o meno giovani ma sempre vittimisti e aggressivi – che a parole schifano la “Pagliacciata” dello Strega, ma poi si cavano gli occhi come modelle anoressiche se non vincono il titolo di Miss».

La terribilità dell’ultima immagine, modelle anoressiche che si cavano gli occhi, mi ha fatto capire, sino all’ultima goccia, in che mondo siamo capitati. E allora, deve avere proprio ragione Valerio Magrelli quando richiama su Repubblica ciò che pensava Victor Hugo: «Gli unici odii sono letterari. Al loro confronto, quelli politici non valgono niente». (Magrelli sostiene che l’azione di Carofiglio «costituisce un precedente estremamente pericoloso», ma su Ostuni non è meno tenero: «Deontologicamente inaccettabile rispetto al suo ruolo di “parte in gioco” in un premio letterario»).

Ciò che è accaduto tra Ostuni e Carofiglio è, plasticamente, l’immagine di quest’ultima Italia, l’Italia degli ultimi vent’anni. Da una parte la protervia del Potere (ricordate D’Alema che querelò Forattini per una sua vignetta?), che spinge uno scrittore-magitrato-deputatopiddino a rifiutare il confronto delle idee (peraltro espresse molto, molto, maldestramente e certamente offensive, ma quando si fa parte delle istituzioni ci vuole una saldezza maggiore, egregio Carofiglio), dall’altra l’espressione più piena di un rancore e per di più interessato. Con la pretesa inaccettabile – vero Ostuni? – di trasformarsi, con un colpo di bacchetta magica, da parte in causa in giudice terzo sulle cose del mondo.

Che in tutto questo pasticciaccio, la cremina si sia schierata con Ostuni, invece che bastonare sia di qua sia di là, la dice lunga sul livello dello scontro.

Ps. per completezza dell’informazione, questo è ciò che su Facebook ha scritto Ostuni sulla fatica di Carofiglio: «Un libro letterariamente inesistente, scritto con i piedi da uno scribacchino mestierante, senza un’idea, senza un’ombra di “responsabilità dello stile”, per dirla con Roland Barthes».
 

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