Fossero rimasti giudiziosamente in cagnesco, i due contendenti, ogni scritto sarebbe stato superfluo, valendo sopra ogni altra considerazione la purezza stilistica dell’insulto, quel «sei un uomo di merda», «non esisti», «sei hai le palle, vieni qui, non scappare», che quel triglione livornese di Allegri aveva voluto dedicare a Pippo Inzaghi, di fronte ad allibiti genitori ai quali, in quel momento, la scelta di affidare i loro rampolli alle giovanili rossoneri dev’essere sembrata un errore capitale.
Poi, però, e la cosa si ripete ormai da anni, il Milan – inteso come Galliani factory – ha pensato bene di rovinare tutto, di “sporcare” la genuinità di un incredibile litigio con la tarantella dell’ipocrisia, con quel mettere l’uno di fronte all’altro (pensate la voglia dei due) al tavolo di una pace così farlocca da riservarla, come chicca dell’anno, soltanto ai rassicuranti aficionados di Milan Channel. Gente che paga e che, almeno, va tranquillizzata. «Scambio di opinioni senza offese», questa la comica (e concordata) versione dei due e della società.
Peccato, perché il Milan avrebbe avuto un’occasione storica per licenziare in tronco, e per giusta causa, uno dei più scarsi allenatori del pianeta, al quale evidentemente fanno difetto le più elementari nozioni di buona creanza, equilibrio, e padronanza di sé. Con una simile sceneggiata, Allegri si è giocato ogni residua speranza, non tanto di continuare la sua avventura in rossonero che è inesorabilmente terminata, quanto di essere considerato all’esterno un tecnico minimamente affidabile.
Ma ciò che appare ormai evidente da tutta questa (ulteriore) storia è la consunzione naturale di un dirigente storico come Adriano Galliani, che non è più in grado di governare la baracca rossonera e che ha smarrito da tempo quello sguardo lungo che ne faceva, anni e anni indietro, uno dei dirigenti più apprezzati del nostro panorama calcistico. Per dire della scelta di tempo dell’amministratore delegato: l’altro giorno ha bloccato il licenziamento di Allegri, che il Cav. aveva opportunamente predisposto, e il medesimo gli ha piantato il casino che sappiamo. Ma bravo.
C’è anche, all’orizzonte, qualcosa di più inquietante. Lo si è letto nelle cronache dell’arcinoto litigio tra Allegri e Inzaghi, ma naturalmente i giornali gli hanno attribuito il peso di una piuma, una riga nascosta dentro un pezzo, tra due virgole, insomma un niente.
Sta di fatto che Galliani, non si sa bene a quale titolo, avrebbe ricevuto i capi tifosi, gli ultrà della curva, i quali (gli) hanno garantito il loro appoggio in questo momento così difficile per la squadra (contro l’Anderlecht, parallellamente alla sfida sul campo, è andato in scena il match sugli spalti tra tifosi liberi e tifosi organizzati). Questi cerimoniali stanchi e molto pelosi sanno davvero di primissima Repubblica, riportano a pratiche di dubbio gusto, introducono elementi sospetti all’interno di un rapporto tra la società e i suoi tifosi più «caldi».
Se è lecito, Galliani: a fronte di cosa, gli ultrà hanno garantito il loro appoggio? E se nulla è stato promesso in cambio, qual è il senso di una convocazione nei locali della società o, comunque, in qualsiasi altro posto possibile?
È troppo tempo che le cose sfuggono di mano al presidente Berlusconi. C’è una prima, inevitabile, riforma da portare a compimento, come una vera e propria architrave istituzionale: la sostituzione di Galliani con un dirigente più fresco, più libero da condizionamenti, più veloce e moderno da immaginare le evoluzioni tecnico-sociali di un mondo come quello del calcio. Si deve ripartire da qui per ritrovare il Milan.