Oggi non si parla d’altro. Le «Cayman» sono in bella vista sui giornali online e offline da tutto il giorno. Sono diventate il “punto politico”, un punto di snodo importante nella corsa che porta alle primarie. Due giorni fa, a Milano, Matteo Renzi ha incontrato un pezzo di società civile e finanza milanese. Ad invitare e organizzare, Davide Serra, fondatore di Algebris, fondo con sede – appunto – alle Cayman.
A dare il là alla polemica, proprio il giorno dell’arrivo di Renzi a Milano, è un breve articolo del Corriere della Sera che spiega senza se e senza ma che le Cayman sono “paradisi fiscali”. Luoghi cioè dove si va non per pagare pochissime tasse o – nella accezione condivisa – per non pagarle proprio, e comunque per tenere al riparo dagli occhi dei vari regolatori ricavi, ricchezza, affari, eccetera. È proprio così?
Alcuni “operatori” – forti di una tradizione opaca in via di smantellamento, soprattutto dopo l’11 settembre e la stretta sul riciclaggio internazionale – hanno utilizzato questi luoghi come luoghi di passaggio per capitali riciclati. Altri operatori – i fondi istituzionali, come quello di Davide Serra – li eleggono per condizioni fiscali vantaggiose (per il fondo, non per la persona fisica che paga le tasse dove è residente), ma soprattutto per la chiarezza regolatoria che offrono alle varie controparti e agli operatori stessi. In ogni caso, a differenza che in passato, esistono e operano anche lì norme e organismi di vigilanza, e le normative internazionali spingono questi luoghi verso una progressiva normalizzazione.
Mano a mano che hanno dovuto spogliarsi dell’opacità che li rendeva estremamente attrattivi fino a qualche anno fa, hanno però continuato ad offrire una legge chiara per litigare se qualcosa va storto, facendo perno sulle inefficienze di tanti sistemi giudiziari per continuare ad attrarre capitali. Ovviamente si parla di “luoghi” in cui transitano un fiume di milioni: posti insomma dove operano soggetti che fanno girare gosse somme. Come? Investendo a breve termine, investendo a lungo termine, in maniera puramente speculativa o no: la realtà, al solito, è complessa. Negli ultimi anni, poi, le maglie della vigilanza sono diventate più fitte anche lì e, per quanto riguarda la tassazione, il sottoscrittore italiano, sugli utili, paga il 20% proprio come se comprasse azioni quotate a Piazza Affari. La sostanza, insomma, è che la Cayman sono un luogo naturale per fare business finanziari, per metterci un fondo hedge perché hanno strutturato una legislazione capace di attrarre capitali e di renderli velocemente spostabili e gestibili come richiede la finanza contemporanea. Ed è del tutto normale, e ovviamente pienamente leggittimo, che Davide Serra abbia lì il suo fondo.
Solo che la parola Cayman, e il solo immaginare un “paradiso fiscale”, affianco a una discesa in campo in politica, aprono spazi che sono voragini di debolezza comunicativa se non si hanno – chiarissime – le idee su come gestire l’evoluzione precisa della comunicazione. Sarà per la carenza di cultura liberale e finanziaria, e per i retaggi di un antico disprezzo per chi ha guadagnato tanto. Sarà anche per la pessima fama che la finanza e chi vi opera professionalmente si è fatto negli ultimi anni. Sarà perchè pensare a chi fa girare miliardi come fossero noccioline non ha mai creato particolare simpatia, figuriamoci adesso che c’è la crisi.
E insomma, in questo contesto sociale e in questo perimetro mediatico, se si organizza una serata sotto l’egida di un fondo che sta alle Cayman, bisogna ovviamente essere attrezzati a quella che, ovviamente, diventerà subito dopo una campagna mediatica. In altre parole, bisogna sapere esattamente cosa succederà dopo, ed essere decisi ad aprire un fronte culturale vero, solido, e preciso. Bisogna aspettarsi che qualcuno, su queste Cayman, ci si butti, ci ricami e attacchi. Bisogna essere anche pronti, se convinti, a difendere la scelta di quella vicinanza – Davide Serra è un businessman che fa il suo lavoro – e a spiegare che alle Cayman non uccidono i bambini ma hanno leggi vantaggiose. Bisogna essere pronti a spiegare, perfino, che non si va là per non pagare le tasse ma – chessò – per testimoniare con dati, fatti, numeri, che la finanza serve e chi la fa non è brutto e cattivo.
Certo, ci vogliono strategia, lungimiranza e un discreto coraggio, coi tempi che corrono. Un coraggio che, se non ben calcolato, diventa azzardo rischioso, mentre si avvicinano comunque le primarie del centrosinistra. Perchè bisogna sapere esattamente in che contesto ci si muove, e anche avere una strategia lunga per quella che è una battaglia “pro business” che si combatte sul passo e sulla misura lunga dell’informazione e della trasparenza di intenti e di relazioni.
Purtroppo per Renzi, la serata patrocinata da Serra, ha avuto un effetto di boomerang politico perchè del tutto non gestita nel suo impatto. Con Bersani che spara a zero, senza dire una parola di più, sul fatto che “chi sta alle Cayman” non deve dare troppi consigli in giro. Con L’Unità che pizzica un Giorgio Gori visibilmente imbarazzato, che spiega che si era imbucato giusto per “vedere Matteo”, che non incontrava da alcuni giorni, e rifiutandosi di commentare la sede alle Cayman dei fondi di Davide Serra, spiegando che “non sa se è vero quel che si dice”. Con i giornali schierati con Bersani – sembra il caso di Repubblica – che addirittura spiega, con Massimo Giannini, che siamo passato dal “Caimano alle Cayman”. Niente meno.
Certo, l’episodio segna una debàcle politica, una battaglia persa che può fare male al Renzi che (lo abbiamo scritto più volte, su queste pagine) su muoveva velocemente e bene mentre il brontosauro Pd di Bersani faceva fatica a scartare di pochi gradi. Naturalmente, a Renzi, restano lunghe settimane in cui recuperare terreno e invertire nuovamente la rotta. Ma certo la botta c’è ed è evidente, e speriamo che non indebolisca, una volta di più, una battaglia culturale giusta. Se avere sede alle Cayman, o alle Bermuda, risponde semplicemente a criteri di razionalistà economica e giuridica, perché non spiegarlo apertamente? Perché non rivendicare che si va là a fare business, invece che stare in Italia, per ragioni di chiarezza normativa, di assenza di burocrazia asfissiante, e così via? Perché non spiegare, ad esempio, che non sarebbe male se quelli come Davide Serra fossero aiutati ad attrarre capitali in Italia, invece che alle Cayman? Perché non dire apertamente che si lavorerà con questo obiettivo? A pensarci, sono anche punti di contatto naturale tra Renzi e molti che potrebbero guardare a lui con attenzione e simpatia. Tra questi, quanti hanno storto il naso, trovandosi con le Cayman in faccia senza che nessuno gli avesse spiegato perché, e senza che nessuna strategia fosse pronta mentre arrivava una prevedibilissima propaganda?