Post SilvioHarlem in coda per Obama: “Votarlo è ancora più importante”

Harlem in coda per Obama: “Votarlo è ancora più importante”

NEW YORK CITY/HARLEM – «Hey, sei andato a votare?» «Ovvio, naturalmente e tu?». «Io ancora no, c’era troppa coda, ma ci vado più tardi… non posso mancarlo». «Hey men, e tu ci sei andato». «Naturalmente, questa volta è ancora più importante andare a votare ed elleggere Obama a presidente del consiglio». Ad Harlem, nell’ex “Ghetto nero” di Manhattan ripulito un po’ alla volta dalla mano di ferro di Rudolph Giuliani ma anche dall’attivismo e dalle associazioni di cui poco si parla, lontano da qui, il tam tam inizia dalla mattina.

Per le elezioni presidenziali New York City sembra essersi messa il vestito buono. La mattina è tersa, e il freddo della notte lascia il posto a una giornata tiepida. Il quartiere cammina, su e giù lungo le arterie principali che, salendo dalla Manhattan della finanza e dei quartieri di intellettuali e professionisti portano in cima all’isola, dove un ponte collega con il Bronx e nei campetti da basket giovani fenomeni si sfidano in partite infinite. Su Malcom X Avenue, grande corridoio che da sopra il central park attraversa tutto il cuore nero di Manhattan, sono ovunque abbracci, strette di mano e qualcuno non bada alla scaramanzia. «Non ho mai votato, mai, neanche la scorsa volta» dice un afroamericano attorno ai 50. «E voto Obama, questa volta è più importante della scorsa volta». E come mai? «Perché l’altra volta chi ha votato Obama ha fatto vincere un sogno, stavolta bisogna dimostrare che il sogno è realtà, è concretezza, è politica e che le riforme di Obama e la sua sanità pubblica ci piacciono e ce le vogliamo tenere ben strette».

«Ho 21 anni, è la mia prima volta» sorride una ragazza bianca, l’unica bianca che entra ed esce da un’affollatissima sezione elettorale. Neanche il tempo di chiedere per chi ha votato: «Per Obama, naturalmente». Scandisce le parole forti e chiare, alla faccia della riservatezza e del voto e nel capannello di giovani afroamericani che stanno lì, all’altro ingresso, scoppia un piccolo applauso. Più scaramantici, invece, al comitato democratico del quartiere. Niente commenti, niente dati, tanti sorrisi e un ferreo «Passa dopo le 8 di stasera e vediamo». I volontari per Obama sanno bene che il punto di osservazione di New York in generale e di Harlem in particolare non va preso per buono. Qui il presidente uscente è come fosse di casa, e sembra davvero che il sogno incarnato quattro anni fa non possa in alcun caso svanire. Ma la partita si gioca da un’altra parte, e per essere sicuri di poter festa come si deve a Harlem sarà importante tenere il fiato sospeso fino a quando gli stati in bilico – Florida e Ohio su tutti – non emetteranno un verdetto che vale ben oltre i loro confini.

«È una gran cosa sto casino che c’è fuori dai seggi, sai?» racconta un ragazzone afro di un paio di metri per circa 140 chili, lunghi dread e divisa da rapper. «È una gran cosa perché questo quartiere e chi lo abita hanno finalmente capito che votare e votare Obama è importante, che non possiamo accontentarci di aver eletto uno dei nostri una volta, ma dobbiamo dimostrare che continuiamo a credere nella nostra funzione attiva per questo paese», spiega mente passiamo davanti alla vetrina di un’associazione che raccoglie le madri di Harlem impegnate contro la violenza nel quartiere. «No no, io di politica non parlo proprio» dice invece la vulcanica volontaria che lavora all’ingresso della Biblioteca del quartiere, dedicata all’intellettuale mezzo tedesco e mezzo afro Schoenberg, e specializzata in studi afromaericani. Lei, faccia da creola mischiata a cromosomi da centrafrica anche in questo giorno trova le parole per la filosofia: «Il bianco e il nero non esistono, esistono solo la luce e il buio: così la vedo io quindi sognati che abbia qualcosa da dire su questa politica che divida la destra dalla sinistra, e i bianchi dai neri…».

Ma nel quartiere, per tutti, questa è solo la vigilia di una festa, una festa che, ad Harlem, non può che essere anzitutto la festa degli afroamericani che si sono messi in colonna, con calma, salutandosi, dandosi la mano e sorridendosi, per fare la loro parte nel rieleggere Obama. «Per noi però» spiega un giovane del Maryland e attivista di un associazione che promuove la partecipazione democratica dei neri negli Stati Uniti «l’importante è che tutti qui vadano a votare. Votino chi vogliono, siamo del tutto bipartisan, ma l’importante che il voto diventi parte attiva, continua, normale del loro vivere ed essere cittadini. Ho visto le code e i rallentamenti nei seggi… Molto bene, sono i miei problemi preferiti, questi».

Con lui e la sua associazione, in giro per Harlem, ci sono una trentina di ragazzini tra gli 8 e i 12 anni, indossano delle magliette gialle con scritto, sul fronte, “io non posso votare ma…”. Si girano tutti orgogliosi per farti vedere come finisce la frase. Ma… “You Can!”.
Vi ricorda qualcosa? 

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