I celiaci sono l’1% della popolazione, ed è boom dei cibi senza glutine

I celiaci sono l’1% della popolazione, ed è boom dei cibi senza glutine

Secondo le statistiche, in Italia l’1% della popolazione è affetta da celiachia. Solo una piccola parte, però, di questa percentuale è stata diagnosticata: le patologie certificate infatti sono circa 135mila. Nonostante ciò, il mercato dei prodotti alimentari di cibo gluten free vale 237 milioni di euro all’anno e il commercio avvantaggia sempre più le farmacie rispetto alla grande distribuzione. Lo Stato sembra particolarmente sensibile a questo tema, attuando un programma di erogazione di buoni spesa per i malati dignosticati. Parliamo dell’universo del cibo senza glutine con Caterina Pilo, direttore generale di Aic (Associazione italiana celiachia).

Dottoressa Pilo, cos’è la celiachia e come si manifesta?
La celiachia è una patologia cronica da cui non si guarisce, una patologia multifattoriale di componente anche genetica, autoimmune che ha nella dieta senza glutine l’unica terapia ad oggi conosciuta. La storia di questa malattia non parte da lontano, solo di recente infatti si ha una conoscenza approfondita di essa, anche se non molto diffusa, e bisogna ricordare che prima della Seconda guerra mondiale di celiachia si poteva anche morire. Fino a qualche anno fa, veniva considerata una patologia pediatrica, che aveva un quadro classico di sintomatologia con alcuni sintomi intestinali che riducevano il celiaco in uno stato di magrezza evidente. Oggi questo quadro è abbondantemente superato e con gli anni la diagnosi di celiachia ha arricchito i contorni e le definizioni. In realtà, ora si sa che ci sono celiaci obesi e in più la diagnosi stessa interviene anche nella terza età. Alcuni studi affermano infatti che questi soggetti non sono sfuggiti alla celiachia in giovane età, ma hanno riscontrato il manifestarsi della patologia proprio in età avanzata. Ci sono poi tutta una serie di pazienti che sono del tutto asintomatici: ciò capita spesso a quei genitori che vengono diagnosticati dopo la diagnosi del figlio, perché si prescrive un’indagine nei parenti di primo grado, dove l’incidenza della malattia è superiore ai dati noti del 10%. Anche dal punto di vista normativo la storia è molto cambiata perché la celiachia è tuttora, con un evidente difetto di definizione, inserita tra le malattie rare.

Qual è la stima dei celiaci in Italia?
Innanzitutto partiamo dal fatto che fino a qualche anno fa la celiachia veniva considerata una malattia europea, tanto che gli Stati Uniti neanche  se ne occupavano. Solo di recente la gastroenterologia sulla celiachia si è sviluppata in America. Detto questo, se vogliamo fotografare la situazione dei celiaci in Italia, ad oggi le indagini epidemiologiche fatte hanno prodotto dei risultati che sono uguali in tutto il mondo. Il rapporto è di 1 a 100: questa è l’incidenza attesa sulla popolazione. In Italia quindi possiamo dire che i celiaci stimati sono 600.000. Tuttavia in questo momento i celiaci diagnosticati nel nostro paese, secondo i dati dello scorso anno, sono 135.800. La punta di un iceberg: una parte emersa è minima, con un sommerso fatto di diagnosi errate che hanno escluso la celiachia, da celiachia asintomatica, e, soprattutto, da mancate diagnosi.

A dispetto di questi dati,  il mercato dei prodotti alimentari senza glutine sembra prosperare. E come mai la distribuzione degli alimenti è ancora per la maggior parte appannaggio del circuito farmaceutico?
Il mercato della celiachia è un aspetto non trascurabile. Il commercio del senza glutine in Italia vale 237 milioni di euro all’anno, che non sono pochi. Questo comprende tutto il consumo del senza glutine che viene distribuito, a livello nazionale, ancora intorno al 76% attraverso il circuito farmaceutico, mentre il restante 24% tramite la grande distribuzione. Ci sono poi le varianti regionali: in Toscana ad esempio il canale di distribuzione è diviso al 50% poiché c’è un considerevole sviluppo della grande distribuzione. Con il decreto Veronesi che aveva fissato i tetti di spesa come oggi li intendiamo, veniva anche esposto il quadro giuridico per liberalizzare la distribuzione. Perché lo sviluppo della farmacia? Perché avendo noi l’erogazione gratuita, condizione non comune in nessun altro Paese del mondo – dove invece ci sono altre forme di assistenza in denaro oppure la possibilità di detrarre i prodotti – il canale più semplice ovviamente è quello del rimborso delle Asl alle farmacie. Questo sistema si è interamente sviluppato fino agli inizi degli anni Duemila. Con l’apertura della norma si è messa in moto la macchina della grande distribuzione anche se in maniera un po’ lenta e poco omogenea sul territorio nazionale. Ancora adesso sono circa metà le regioni che hanno attivato l’erogazione gratuita anche in grande distribuzione. La Toscana partì per prima, seguita da Emilia Romagna, Piemonte, Liguria, Veneto. In questo campo le difficoltà non sono poche.

Ecco, appunto: quali difficoltà si riscontrano nella grande distribuzione?
Partiamo da un concetto: vi è una trasformazione dei soggetti affetti dalla patologia, che da pazienti diventano consumatori. Che non pagano i prodotti. La grande distribuzione a questo non è abituata. Le difficoltà di questo settore nascono intanto dal fatto che si deve intravedere un interesse a commercializzare tali prodotti sia in termini materiali e di profitto, ma anche in termini di servizio al consumatore. Poi c’è un problema legato alla questione finanziaria, per cui la grande distribuzione solitamente è abituata a pagare i grandi fornitori a 360 giorni con il sistema del consumatore che paga in contanti. Ovvio che il celiaco va a scombinare un po’ tutto questo meccanismo, perché il rimborso alla grande distribuzione avviene dalla Asl e in più il consumatore celiaco di fatto non paga. Ne consegue che c’è stato bisogno di mettere in atto dei meccanismi informatici che hanno avuto tempi di sviluppo differenti nelle diverse regioni italiane.

Come si configura lo scenario delle aziende produttrici e del loro continuo proliferare sul mercato? Sappiamo che ci sono aziende che producono solo cibo per celiaci: è una questione di ricavi o cos’altro?
Sì ci sono aziende che producono solo cibo per celiaci, aziende nate e sviluppate sul prodotto senza glutine che esistono più o meno da quando esiste la nostra associazione (1979, ndr). Le aziende che si occupano di questi tipi di prodotti oggi sono tantissime e questo proliferare è dovuto anche a un fenomeno che si è sviluppato di recente, cioè quello dell’accesso al prodotto senza glutine, da parte di molte famiglie, per motivi estranei alla celiachia. Si stima che ci siano almeno 600.000 famiglie che almeno una volta all’anno hanno acquistato un prodotto senza glutine senza che ci sia la patologia di mezzo. Questa è una fetta di mercato che un po’ ci preoccupa, perché c’è il rischio che si perda di vista la definizione di celiachia. Un fenomeno che può essere ricondotto alla cosiddetta gluten sensibility, ovvero – secondo la definizione scientifica – la sensibilità al glutine non celiaca. Nonostante non si sappia ancora bene cosa sia né quale sia la diagnosi (il che rende difficile il conteggio dei soggetti in cui essa si manifesta) si registra un consistente aumento di casi di questo tipo. Si tratta di una patologia secondo cui il paziente, accusando malesseri che possono essere ricondotti alla celiachia, effettua una autodiagnosi, si riconosce in quella sintomatologia e comincia ad acquistare prodotti privi di glutine. A tutto ciò si va ad aggiungere poi il fattore della moda del mangiare cibi senza glutine lanciata dalla starlette o dallo sportivo di turno…

Come si comportano le istituzioni nei confronti dei celiaci?
In Italia c’è un panorama di grande tutela e garanzia nei confronti della celiachia. Intanto, il decreto delle malattie rare ha fatto sì che nascessero centri di riferimento e ospedali con reparti di celiachia specializzati. Inoltre, se uno specialista ha un sospetto diagnostico di celiachia nei confronti di un paziente, lui e i parenti di primo grado hanno diritto all’esenzione del costo degli esami. Si tratta di un provvedimento che tutela i pazienti affetti da malattie rare. Tutto ciò per quanto riguarda l’accesso alla diagnosi. Sul fronte della terapia, dal 1982 in Italia c’è l’erogazione gratuita degli alimenti al celiaco diagnosticato. Quindi, a seguito di un certo protocollo di diagnosi, il paziente viene dichiarato celiaco e con quella diagnosi ha diritto a un tetto di spesa per avere gli alimenti senza glutine. Non denaro ma valore in prodotti. Secondo il decreto Veronesi, che li ha introdotti nella versione ancora in vigore, ci sono diverse fasce di età. Ma, di fatto, un uomo adulto ha diritto a 140 euro di prodotti senza glutine. La donna, nella stessa fascia di età, a 99-100 euro. Questa la situazione, a livello nazionale. Poi, a livello regionale, ci sono delle differenze. 

Considerando i costi elevati con cui i prodotti vengono venduti nelle farmacie, può ritenersi sufficiente la cifra che lo Stato eroga nei confronti dei malati certificati? 
Le dico qual è stata la logica del decreto Veronesi, che è condivisibile in termine di metodo. I tetti sono costruiti sulla base del fabbisogno calorico del singolo soggetto. Il valore di riferimento è stato costruito – sulla base del fabbisogno calorico delle quote Larn – considerando il dato sull’accesso ai carboidrati che è circa del 55% del fabbisogno complessivo. Si è inteso che i celiaci dovessero avere dal prodotto senza glutine il 35% di quel fabbisogno, perché tutto il resto può venire da prodotti naturalmente senza glutine come riso e patate. Pesce, carne e verdura servono invece a soddisfare gli altri bisogni nutrizionali. Il 35% era quello che doveva essere coperto col prodotto dietetico. E quindi ci siamo in termini di alimenti. Era stato fatto un paniere di prodotti in commercio, realizzando una media del costo dei prodotti stessi. L’obiezione semmai è che dal 2001 a oggi il costo dei prodotti ha subito un incremento circa del 18%. È anche vero, però, che ci troviamo in un momento delicato per la Sanità pubblica, motivo per cui è necessario aprire un negoziato. Noi scegliamo l’utilizzo del celiaco avendo comunque ben presente il contesto generale. I risultati in quest’ottica sono ad esempio riscontrabili nel recente provvedimento della Toscana (regione che ha dato il via all’erogazione dei buoni spesa in base al fabbisogno calorico diminuendone sensibilmente l’importo, ndr) che apprezziamo molto, ma anche in un recente provvedimento del Veneto, che invece non abbiamo apprezzato per niente e che stiamo combattendo. C’è, insomma, una considerevole autonomia da regione a regione, ma questo riguarda in generale la disciplina in materia sanitaria.

C’è un processo di informazione preventiva adeguata in Italia?
L’Italia è considerata una dei paradisi della celiachia in Europa e nel mondo. Non solo per i servizi che vengono offerti, ma anche in termini scientifici abbiamo la fortuna di aver dato alla comunità scientifica internazionale tra i maggiori nomi nel panorama della ricerca sulla celiachia. Da questo punto di vista, quindi, siamo abbastanza all’avanguardia. Tuttavia, il problema è che c’è ancora molto da fare.

In rete tra blog e forum si discute della possibile realizzazione di un vaccino o di una pillola che possano contrastare o attutire la malattia. È un’ipotesi possibile o è pura utopia?
Il discorso è molto ampio e in genere i fronti sono due, dato che la pillola e il vaccino sono due cose molto differenti. La pillola era un prodotto a cui si è pensato in termini di protezione dalla possibile assunzione da glutine (incidentale o volontaria): quindi una protezione dell’intestino per assumere glutine. Il vaccino, invece, doveva intervenire per inibire le funzioni al palesarsi della celiachia. Sono due filoni di ricerca ancora aperti. Abbiamo seguito con molta attenzione fino a qualche anno fa i trial della pillola che veniva seguito da un centro di medicina negli Stati Uniti e come succede spesso nella scienza medica è andato bene fino a un po’ e poi si è arenato poiché i trial non avevano dato le risposte attese. Nel frattempo cerchiamo di scoprire altri aspetti e, come sostengono i nostri ricercatori, essendo una patologia autoimmune la ricerca sulla celiachia permette di scoprire cose utili anche per altre malattie. Il legame tra la celiachia e altre malattie autoimmuni è un campo interessante da scoprire così come lo sono le complicanze. Sul fronte dei risultati conseguiti siamo purtroppo ancora un po’ indietro. E per ora l’unica soluzione sono i cibi senza glutine.

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