“Io allo stadio attuale non sono candidato premier di nessuna coalizione”. C’è tutta la tattica, l’equilibrismo e la tensione a tenersi ogni porta aperta in questa frase che Mario Monti consegna, sul finire di conferenza stampa, alle orecchie degli italiani. C’è insomma tutto il Mario Monti che già avevamo imparato a conoscere in particolare in questo anno di governo, retto su una serie di inevitabili e complesse mediazioni. Così, Mario Monti si dice pronto alla premiership ma ad una serie di condizioni che solo lui potrà valutare esistenti e anche, invero, che dovrà rendere più chiare. Dire che non negherà la benedizione, e anzi potrà dare la propria guida a chi “coerentemente e credibilmente” sosterrà la sua agenda vuole dire, al momento, tutto e niente e rinvia in ogni caso al prossimo futuro lo scioglimento di ogni riserva.
Solo che, a due mesi dalle elezioni, il futuro è semplicemente adesso: e non si capisce proprio come in due mesi striminziti quella credibilità e coerenza delle forze politiche che dovrebbero sostenere il suo progetto riformatore possano diventare solide e nette. Non si capisce, in sostanza, come possa cambiare il quadro consolidate (e preoccupante) che conosciamo. Tralasciano il Pdl, che Monti ha sostanzialmente bollato come irrecuperabile alla causa, il presidnete del Consiglio non può razionalmente pensare che il Pd di Fassina, lo stesso Pd che marginalizza Piero Ichino, possa diventare coerente e credibile nel sostegno alla agenda Monti, che non è quella di questo Pd. Ma il problema più grave, forse, sta proprio in quel centro di cespuglietti e partitini che sono stati i primi a volere Monti in campo e alla propria guida. È evidente, al di là di ogni affinità, che quel sostegno dei Casini, dei Fini, dei Montezemolo, nasce da un disperato bisogno di esistere, mentre nella costituency di questi promesse, in carriera da trent’anni, molte delle parole d’ordine del montismo faranno fatica a trovare davvero posto, come più volte abbiamo raccontato su questo giornale. Insomma, non sembra credibile che della sua agenda resti traccia profonda passando per tutti questi tatticismi.
Il modo per imporre davvero la sua agenda, per metterla nel cuore del dibattito politico italiano, Mario Monti ce l’aveva, e forse ce l’ha ancora. Ed è quello di mettersi a capo di una “lista Monti” che faccia di quell’agenda – lanciata erga omnes, per tutti, come ha detto Monti più volte – il suo programma, e di quei criteri di credibilità e rigore la linea guida per la costruzione di candidature ed eventuali alleanze. Certo, per questa operazione serve il coraggio di chi sa che perdere è molto più probabile che vincere – mentre a Eugenio Scalfari Monti pare aver detto esattamente il contrario, dicendo che ci si candida solo per vincere. Serve insomma che quella borghesia italiana di cui Monti è indubbiamente il rappresentante di punta si assuma – cosa nuova, in questo paese – il ruolo di guida, certo, ma anche il rischio di esporsi alla competizione elettorale, e alla contendibilità che è il sale della democrazia. Rischiando di perdere, certo, ma anche di arrivare a un consenso più ampio di quello che questo piccolo centro italiano gli garantirebbe come base.
Si sente spesso, nel paese normale, la voce di insospettabili supporter del premier, della sua aria di austera serietà, della sua aurea di disinteresse per sé e di attenzione all’interesse comune. Un paese pensante, perché è vero che gli italiani non sono stupidi e gli riconoscono i grandi meriti che Monti ha, al di là dei sacrifici che ha loro rischiesto. Ma proprio quella voce, per diventare consenso, richiede che Mario Monti mostri il coraggio di una rottura con questa tattica attendista. Gli chiede insomma il coraggio dei leader che guidano il percorso politico verso lidi nuovi. Oggi abbiamo visto una dignitosa difesa del proprio lavoro e di un futuro che sia coerente con quella agenda, ma non ancora il coraggio che serve per diventare un leader politico, e non solo un politico. Monti potrà smentirci, solo che il tempo, dopo oggi, è ancora meno, e il sentiero sempre più stretto.