“Iran, la mafia militar finanziaria al potere non dura”

Parla Abulhassan Banisadr, primo presidente della Repubblica Islamica dell’Iran

Primo presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, Abulhassan Banisadr è stato attore e testimone di uno dei più importanti eventi del Ventesimo secolo: la Rivoluzione iraniana, appunto. Eletto nel 1980 con più del 70% dei voti, l’anno dopo entrò in rotta di collisione con la Guida Suprema Khomeini, e fu posto sotto accusa dal parlamento iraniano. Da allora in esilio a Parigi, Banisadr ha pubblicato libri e innumerevoli articoli, e alle presidenziali iraniane del 2009 ha criticato con durezza i brogli elettorali, causa delle massicce proteste popolari. Profondamente convinto della necessità di democrazia e giustizia sociale per l’Iran, Banisadr parla a Linkiesta del presente e del passato del suo Paese. Del perenne conflitto tra il presidente e la Guida Suprema, «inevitabile» in un sistema politico che definisce «contro natura»; delle sanzioni della comunità internazionale, che non fanno che rafforzare un regime che «resiste per mezzo della repressione»; del velayat-e faqih, il governo dei giureconsulti, vera chiave del potere dei mullah; dell’appoggio di Teheran all’«indifendibile» Bashar Al Assad; degli spinosi rapporti con i Paesi arabi del Gulf Cooperation Council (GCC); e della donna iraniana, «una delle grandi forze motrici del cambiamento in Iran».

Lei era il leader del movimento studentesco contro lo scià Pahlavi negli anni Sessanta. Quali erano le ragioni della sua opposizione contro di lui?
C’erano molte ragioni. La principale era il desiderio di indipendenza: il regime dipendeva dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra, lo scià era stato riportato al potere come dittatore attraverso il colpo di Stato contro il governo democratico di Mossadeq. La seconda ragione era il desiderio di libertà, perché quello dello scià era appunto un regime dittatoriale. Terza ragione, la sua dittatura danneggiava lo sviluppo del Paese. Sono circolate false informazioni all’estero, secondo le quali il popolo iraniano si sarebbe sollevato contro lo scià perché non avrebbe tollerato la modernizzazione e lo sviluppo del Paese. Ma in un mio libro ho dimostrato come il regime avesse disarticolato l’economia iraniana, mentre avrebbe potuto lottare contro il sottosviluppo del Paese, puntando su un’economia urbana fondata sul consumo, sulle importazioni e sull’export di petrolio.

Lei ha vissuto la Rivoluzione islamica da molto vicino; che tipo di esperienza fu?
Noi allora avevamo un piano ben preciso, e sapevamo che il pericolo della restaurazione era molto reale. Per questo era necessario agire, applicare delle misure che ci permettessero di trasformare l’Iran da Stato dittatoriale a uno di diritto. Applicammo tali misure, ma prima che io fossi eletto presidente le nuove fondamenta del potere erano già state gettate: per esempio i Guardiani della Rivoluzione, i comitati rivoluzionari e molto altro. Io cercai di sciogliere questi nuovi pilastri del potere. Fu allora che iniziarono le divergenze che portarono al colpo di Stato contro di me.

Un’esperienza dolorosa quindi.
Molto dolorosa, ma anche molto utile. Perché allora, per la prima volta in Iran, furono applicate una serie di misure per cambiare la struttura dello Stato da uno dittatoriale a uno di diritto. L’Iran non aveva queste basi. Quindi per il futuro ci sono grandi speranze che l’Iran possa diventare un Paese democratico.

Nel 2011 Hilary Clinton ha dichiarato che la Guida Suprema e il parlamento iraniani stanno perdendo potere a favore di una dittatura militare, in modo non dissimile da quanto è successo in Pakistan. È d’accordo? Attualmente quali sono le dinamiche interne fra gli attori del potere?
La signora Clinton non conosce bene l’Iran. Parliamo del colpo di Stato contro di me: chi l’ha fatto? Con che mezzi è stato eseguito? Sono stati i Guardiani della Rivoluzione, che già all’epoca di Khomeini, armi alla mano, disponevano del potere. Si sono impadroniti gradualmente dello Stato finché l’Iran si è trasformato in quello che chiamo lo Stato della mafia militare-finanziaria. Perché i Guardiani della Rivoluzione controllano allo stesso tempo lo Stato e l’economia.

In questo caso quindi il Velayat–e faqih…[dottrina ideata da Khomeini che dà pieni poteri al giurista musulmano per applicare la legge ispirandosi alla Shari’a]
Il Velayat-e faqih era ciò che serviva per dare a qualcuno la possibilità di servirsi della forza e della violenza. Ecco cos’è il Velayat-e faqih. Servirsi della forza, delle forze armate. [La sua istituzione] è stata, di per sé, un colpo di Stato contro la Rivoluzione. Già all’epoca, per spiegare la mia contrarietà al principio del Velayat-e faqih, l’avevo definito così.

Nel 2005 il presidente Ahmadinejad ha fatto delle dichiarazioni su Israele che hanno provocato l’indignazione della comunità internazionale. Qual è la sua opinione sull’attuale presidente iraniano?
Sa, è in corso un conflitto fra il Presidente e la Guida Suprema. È una cosa che succede dall’inizio della Rivoluzione: ci fu tra me e Khomeini, poi è stato tra Khamenei e Khomeini, poi tra Rafsanjani e Khamenei, tra Khatami e Khamenei, e ora è tra Ahmadinejad e Khamenei. Questa contraddizione esiste sin dalle origini della Repubblica islamica. La funzione del presidente della repubblica è quella di servire. Essere eletto e servire il popolo. Questa è la sua definizione e funzione secondo la Costituzione iraniana. Per quanto riguarda la Guida, invece, prima di tutto la sua legittimità non viene dal suffragio universale, bensì da Dio. In secondo luogo la Guida può servirsi del potere in modo assoluto. Allora, in Iran abbiamo da una parte il presidente che deve servire il popolo, e dall’altro una Guida che concentra il potere nelle sue mani. Quindi il conflitto è inevitabile. E questo è vero anche se Ahmadinejad è qualcuno che Khamenei stesso ha imposto al suo popolo, e non è stato eletto liberamente. Il presidente infatti è arrivato al potere due volte attraverso brogli. Brogli che, durante le seconde elezioni, sono stati talmente ampi ed evidenti che la gente si è unita per protestare. Nonostante tutto ciò, il presidente adesso deve confrontarsi con la Guida perché o si serve il popolo o si obbedisce. Ma obbedire a un altro potere è in totale contrapposizione con la funzione presidenziale. Ed ecco la contraddizione che, fino ad oggi, ha impedito all’Iran di funzionare, e ha permesso che il sistema mafioso militare-finanziario si impadronisse del potere.

Lei pensa che questo equilibrio resisterà nei prossimi anni oppure siamo vicini ad un cambiamento in Iran?
Immaginiamo che alle prossime elezioni venga eletto un presidente assolutamente sottomesso a Khamenei. Ciò significherebbe che Khamenei si troverebbe a governare direttamente il popolo, e che dovrebbe dirigere tutti gli affari dello Stato. In questo modo lui stesso diventerebbe il fulcro della contraddizione: sarebbe al contempo presidente e Guida Suprema. Ciò sarebbe distruttivo per il suo ruolo di Guida, perché non potrebbe avere allo stesso tempo due funzioni incompatibili tra loro. Per queste ragioni quello iraniano è un sistema che va contro natura. Non credo possa resistere ancora a lungo. Un cambiamento ci sarà, un giorno o l’altro. Se gli americani e gli europei non aiutassero questo regime applicando misure come le sanzioni economiche e le minacce di guerra, il cambiamento avverrebbe più velocemente, e il popolo riavrebbe la sua libertà molto presto.

Qual è la sua opinione sulle minacce di un attacco israeliano per fermare i presunti progetti iraniani di sviluppare un’arma nucleare? Pensa che ci sarà questo attacco?
Netanyahu, prima di essere rieletto, dichiarava che il suo primo obiettivo sarebbe stato quello di impedire all’Iran di ottenere l’arma atomica. Gli Stati Uniti preparano dei negoziati con l’Iran e dalle informazioni che ricevo sembra che il regime ora sia pronto a negoziare. Ci sono quindi due possibilità: o dei negoziati per arrivare a un compromesso; o il mantenimento e l’intensificazione delle sanzioni, e minacce di guerre sempre più reali.

Gli Stati membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo hanno condannato in dicembre le politiche iraniane di interferenza nei loro affari interni. Lei pensa che le ragioni alla base delle frizioni tra l’Iran e i paesi del Golfo siano solo politiche o anche di altro tipo?
Le ragioni sono varie. Certo, il regime iraniano interviene su più fronti, tra cui la Siria. Ma per caso gli Stati del Golfo non intervengono in Siria? Vero, il regime iraniano aiuta quello siriano. Ma da parte loro, gli Stati del Golfo inviano armi, denaro e anche uomini armati in Siria. Il popolo siriano è dunque vittima di due tipi di interventi: quelli a favore del regime di Al Assad che è assolutamente indifendibile, che sta agendo contro il suo stesso popolo; e degli interventi che, invece, assistono i gruppi armati entrati in Siria.
In secondo luogo, per caso gli Stati del Golfo sono democratici? No.
Terzo, loro sanno bene che il regime iraniano è abbastanza debole. Dunque perché questi governi comprano così tante armi? Hanno fatto dei contratti con gli Stati Uniti, di 160 miliardi di dollari per l’acquisto di armi, e li hanno fatti anche con altri Paesi. Nel complesso si tratta di 200 miliardi in contratti d’armi per i prossimi anni. Come giustificare tutto ciò, se non dicendo che esiste una grande minaccia, ossia l’Iran?
Guardiamo poi a ciò che accade in Bahrein, per esempio. Si tratta di una minoranza [sunnita] che governa su una maggioranza [sciita] che reclama i suoi diritti, ecco tutto. Dire che è il regime iraniano ad intervenire lì è falso, la verità è che quello del Bahrein è un regime dittatoriale e repressivo che impedisce al popolo di governare, ovvero impedisce la democrazia. La stessa cosa succede in Arabia Saudita, dove gli sciiti abitano la zona in cui c’è il petrolio e quindi sono vittime di una repressione permanente. Per giustificare tutto ciò c’è bisogno di fare questo tipo di dichiarazioni pubbliche. In realtà il regime iraniano intende collaborare con tutti questi Paesi. Infatti Ahmedinejad ha partecipato a una riunione [del Gcc], il che ha sollevato molte contestazioni in Iran, appunto perché è stata vista come una sottomissione. Il governo iraniano ha fatto tutto il possibile per riconciliarsi con i Paesi del Golfo, ma questi non hanno alcun interesse a conciliarsi con l’Iran per tutte le ragioni che le ho detto.

Cosa pensa della situazione dei diritti delle donne in Iran?
Con la Rivoluzione c’è stato un grande cambiamento. Le donne iraniane di oggi non sono più quelle che erano prima della Rivoluzione. La loro mentalità è cambiata, così come la loro presenza in diversi settori della vita economica, politica, sociale, culturale, che non era mai stata così ampia. Ma questo regime resiste per mezzo della repressione. Quindi reprimere le donne è un mezzo per restare al potere. A questo si aggiunge una mentalità che non proviene dall’Islam. In questo i mullah sono discepoli dell’antica Grecia. Ciò che è stato detto sulle donne da Aristotele e Platone quei mullah lo seguono come i versetti del Corano. Quindi in realtà considerano le donne come inferiori agli uomini e le trattano di conseguenza. Malgrado tutto e grazie alla loro lotta, le donne iraniane hanno però potuto resistere ai mullah. Spero in un cambiamento generale, spero che l’Iran possa diventare un Paese democratico che rispetti i diritti umani, e dove le donne possano quindi giocare il ruolo che è, già ora, una delle grandi forze motrici del cambiamento in Iran.