Alle 13 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha parlato. «Resto fino all’ultimo giorno del mio mandato», ha ripetuto almeno due volte. «Lo faccio non nascondendo al Paese le difficoltà che sto ancora incontrando e ribadendo la mia fiducia nella possibilità di un responsabile superamento della situazione che l’Italia attraversa». «Non può sfuggire», ha aggiunto il capo dello Stato, «agli italiani e agli osservatori esteri che un elemento di stabilità è rappresentato dal governo Monti, ancora in carica, dimissionario ma non sfiduciato, che si accinge a prendere importanti provvedimenti in materia economica, anche grazie all’opera della commissione parlamentare guidata dall’onorevole Giorgetti». E a chi gli ha chiesto se non si tratti «di accanimento terapeutico» ha risposto: «Sono nel semestre bianco, non mi occupo di cose a cui non posso trovare soluzione». Napolitano ha poi annunciato di voler individuare «gruppi ristretti di personalità», i cui nomi verranno resi noti oggi pomeriggio, per cercare di trovare una più ampia convergenza programmatica.
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«Se continuate così non mi resta che dimettermi». Giorgio Napolitano pronuncia queste parole due volte nel corso degli inutili colloqui che lo hanno impegnato al Quirinale per tutto il giorno di ieri con i rappresentanti delle tre maggiori forze politiche. Il presidente della Repubblica è a un passo dall’alzare le mani in alto e considera le dimissioni, a questo punto, di fronte all’impossibilità di formare una maggioranza e un governo, «l’unica assunzione di responsabilità possibile».
Il Pdl rifiuta governi tecnici o governi del presidente, il Pd rifiuta di comporre un nuovo esecutivo o semplicemente una maggioranza con il partito di Silvio Berlusconi. Napolitano parlerà probabilmente stamattina, o forse più tardi nel corso della giornata, ma ritiene che le sue dimissioni possano ormai essere l’unica soluzione possibile: anticiperebbero il meccanismo di elezione del suo successore e favorirebbero un rapido decorso della crisi verso elezioni anticipate.
I colloqui al Quirinale ieri si sono svolti in un clima di impazzimento e di tragedia. «Mi costringete alle dimissioni in un momento delicatissimo per il paese», ha detto Napolitano riferendosi alla crisi economica, ai marosi della speculazione finanziaria e all’Italia che – si dimettesse il capo dello stato – si troverebbe senza governo e senza presidente della Repubblica. Certo la mossa, e la minaccia, hanno il sapore di una mossa disperatamente tattica. Il capo dello stato spera così di piegare il Pd e il Pdl, di poterli costringere alla convivenza per un governo semi-politico, presieduto anche da una figura terza. Un governo che, nella visione del capo dello stato, dovrebbe modificare la legge elettorale, intervenire sull’assetto istituzionale con una riforma complessiva del Parlamento e della forma di governo, e dovrebbe anche impegnarsi in alcuni interventi urgenti di carattere economico. «Può anche durare un anno o sei mesi. Purché queste cose essenziali si facciano».
La reazione dei partiti non lascia sperare bene. Silvio Berlusconi si è attestato su una posizione di responsabilità, ma l’ha circoscritta di fatto a un solo scenario possibile: il governissimo. Più articolata e fragile invece è la posizione del Partito democratico che al Quirinale è stato rappresentato dal vicesegretario Enrico Letta (Bersani è rimasto a casa, e pare sia in caduta libera dentro il partito). Letta ha impercettibilmente modificato i toni e la linea del suo partito dicendo che «non mancherà il nostro appoggio alle decisioni del presidente».
Così si ascoltano strane formule, nuovi imbrogli linguistici che nascondono il pasticcio politico: «Un governo politico, ma a bassa intensità», sussurrano a Largo del Nazareno, la sede del Partito democratico. Ed è quasi un codice democristiano per imbellettare l’idea di un accordo con il partito avversario guidato dal Cavaliere di Arcore. Ma non è detto che alla fine funzioni. Il Pd è alla ricerca di una formula per evitare una tesissima conta interna e, soprattutto, per sfuggire all’accusa di aver provocato instabilità nei giorni in cui lo spead torna a salire. Nessuno dalle parti del Nazareno ha voglia di passare per quelli che hanno provocato – pensate – le dimissioni di Giorgio Napolitano, cioè dell’uomo che tutti vorrebbero tenere lì dov’è persino per altri sette anni.