Rito Napolitano, se il Colle telefona al giovane Renzi

Renzi all'Espresso: «Fedele alla ditta, ma pronto alla premiership»

Una mattina qualunque di inizio di settimana a Firenze, il telefono che grida monotono – drin drin, drin drin – e poi vola automatico in direzione dell’orecchio: “Pronto?”. Inattesa la risposta: “Quirinale, le passo il presidente della Repubblica”. Martedì scorso, appena ritornato da un viaggio di stato in Germania, Giorgio Napolitano, vecchio presidente all’ultima e forse più complicata delle sue regie istituzionali, con l’Italia politica a un passo dallo stallo e con un Parlamento già bloccato ancora prima della sua nascita, ha telefonato a Matteo Renzi, al sindaco ragazzino, più di quarant’anni in meno dell’anziano presidente, il giovane uomo che è di fatto, per tutti gli attori sul proscenio, il leader in pectore del Partito democratico.

Una telefonata forse breve, forse no, ma comunque un piccolo, significativo, evento politico. Nessuno sa bene cosa si siano detti Napolitano e Renzi, e persino la telefonata stessa viene smentita da tutti. Nelle parole dei protagonisti, e dei loro confidenti, diventa un fatto evanescente, quasi una favola, eppure c’è stata la telefonata, eccome: il vecchio presidente in questi giorni ha bisogno di sapere tutto, vuole conoscere le inclinazioni di ciascuno degli uomini con i quali dovrà fare i conti per sbrogliare l’inghippo – “l’inguacchio” dicono a Napoli – venuto fuori dalle elezioni di febbraio. E dunque come tralasciare Renzi, l’uomo nuovo che ha già messo in moto la sua personale presa del potere nel centrosinistra? Il problema è così complesso, e così tante le incognite, che una telefonata non basta.

Il ragazzino è stato oggetto di un’attenta e profonda analisi da parte del vecchio presidente, che si è informato, che ha chiesto in giro, che ha mandato avanti ambasciatori più e meno titolati verso Palazzo Vecchio, fino a farsi avanti di persona per aver svelate le inclinazioni (e le disponibilità), anche quelle più allusive, remote, del giovane sindaco. Insomma cosa vuole fare Renzi? E’ disposto a prendere il governo adesso? Cosa pensa di un’alleanza con il Pdl? E cosa di un governo tecnico o di emergenza? Un mulino di interrogativi. Tanto l’interesse, che pure Mario Monti, dicono, ha raccontato molte cose al Quirinale dopo aver convocato Renzi a Roma e aver pranzato con lui, mercoledì, per oltre due ore a Palazzo Chigi. Una lunga, lunghissima, sfaccettata, privatissima, e per certi versi persino strana e irrituale conversazione cui ha potuto assistere la sola signora Elsa, la moglie di Monti, che ha cucinato e servito a tavola per l’occasione. Nessun testimone, niente personale di servizio nell’appartamento privato di Palazzo Chigi, né in sala né in cucina. Così, secondo voci di corridoio, secondo quanto mormorano le malelingue del Parlamento ormai disciolto, secondo quanti si dice tra quelli che “hanno parlato con chi ha parlato”: Monti e Renzi si sono visti perché così ha voluto il Quirinale. Pre-pre-consultazioni. Ma chissà.

“Sono per la rottamazione, ma chi ha salvato l’Italia è un signore di ottant’anni”, ha detto una volta Renzi, che negli ultimi anni ha trovato accanto a sé molto personale politico considerato vicino al presidente “migliorista” della Repubblica. Sarà un caso, ma anche no, eppure gli amici di Napolitano – in genere – sono pure amici di Renzi: Umberto Ranieri, Enrico Morando, Giorgio Tonini, Paolo Gentiloni, insomma i liberal del Partito democratico, tutti legati al Quirinale, tutti sostenitori di Renzi. E d’altra parte il rottamatore ha sempre detto di voler scaricare dallo sfasciacarrozze l’intero gruppo dirigente, la vecchia nomenclatura del Pd, D’Alema, Rosy Bindi, Veltroni, tutti tranne uno: il vecchio Nap., che pure fu comunista per davvero e fu pure compagno di Togliatti e di Amendola nella preistoria della sinistra post bellica. L’affetto è un sentimento sconosciuto alla politica, ma la simpatia talvolta vibra anche tra persone che conoscono l’uso di mondo e il suo inagirabile cinismo, profili umani che sullo stomaco hanno il pelo. E tra il presidente e il ragazzino è così, da tempo: sembrano piacersi, si rispettano, tanto che da alcuni giorni circola insistente tra gli amici di Renzi la voce che Napolitano voglia il giovane sindaco a Palazzo Chigi al posto di Bersani già da subito. Un’ipotesi verosimile, ne ha parlato anche Daria Bignardi alle invasioni barbariche sul La7 (e guarda caso lo ha fatto mercoledì scorso, cioè dopo la cena tra Monti e Renzi). E la giornalista, com’è noto, ha entrature considerevoli nel mondo, e nel salottino, della sinistra più giovane, rampante e renziana del Pd. Dunque è possibile, forse è persino ovvio che il presidente della Repubblica abbia chiesto al rottamatore se fosse disponibile a guidare lui un governo di emergenza.

D’altra parte la sostituzione di Bersani nell’improbabile ruolo di presidente del Cosniglio incaricato è una condizione posta anche dal Pdl, tra quanti, nel partito del centrodestra sanno che solo la sostituzione di Bersani con Renzi sarebbe una premessa per rendere possibile l’impossibile: ovvero il ritiro di Silvio Berlusconi dalla scena. Ma anche fosse, è Renzi a non volere – non adesso. Non ha fretta, teme (non senza qualche buona ragione) di sbagliare, di bucare i tempi che in politica sono tutto: perché agguantare adesso, tra i marosi della crisi e del grillismo, una fragile poltrona che può essere invece conquistata meglio dopo, con minori rischi, tra nuove primarie e un vernissage complessivo del vecchio Pd?

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