È un giorno svolazzante, il ventuno di maggio. Lo era soprattutto nei primi decenni del secolo scorso quando, nel 1927, a bordo del suo Spirit of Saint Louis, Charles Lindbergh per primo volò in solitaria dall’America all’Europa, diventando una superstar. E – sarà una coincidenza? – lo stesso giorno del 1932 fu il turno della bella e coraggiosa Amelia Earhart di diventare la prima donna a compiere la medesima impresa. Il suo nome è oggi inciso nella storia e appare nei sogni di chiunque abbia del volo un’idea avventurosa e temeraria.
Partì il ventuno di maggio – sarà un caso? – Amelia, anche per compiere nel 1937 la sua ultima, misteriosa impresa…
il racconto
VOLO DA TE!
Era un mattino soleggiato di fine dicembre quando, lungo la spiaggia di Long Beach, la giovane Amelia – Meeley per gli amici – si lasciò convincere dal fascinoso pilota Frank a farsi un giretto con lui, a bordo di uno scricchiolante aeroplano. Si era nel 1920 e quell’aggeggio pareva il massimo della modernità, con i suoi riflessi metallici e tutto il resto. Sapeva, Frank, che la giovincella non avrebbe resistito all’emozione e si sarebbe innamorata a metà strada tra decollo e atterraggio.
Così fu.
Beh, non del tutto. Per lo meno non fu come il pilota Frank se lo era immaginato: Meeley saltò effettivamente a terra entusiasta, fibrillante e appassionata, ma ringraziò per il passaggio e se ne fuggì con un fiammante biplano, the Canary, amore della sua vita…
Abituato ad affrontare le intemperie del meteo, il giovanotto non era altrettanto uso alle turbolenze del cuore ma, pur desiderando farlo, non corse appresso alla passeggera, preferendo restare sulla pista ad ammirarla di lontano. L’indomani, nessun dubbio, sarebbe stato un altro giorno.
Pare – ho detto pare – che il pilota Frank, tra un volo e l’altro, si informasse quotidianamente sui progressi nel volo della bella Amelia. E pare pure che sul suo volto s’accese un scintillante sorriso alla notizia che l’amata avrebbe volato in solitaria, prima tra le donne nella storia, dall’America all’Europa, da Terranova a Parigi. Innamorato più che mai, Frank si aggiustò il ciuffo biondo e partì per la Francia, dove avrebbe aspettato l’atterraggio lungo la pista, con una rosa rossissima tra i polpastrelli e il cuore a palpitare. Con l’aggiunta di un paio di violini avrebbe vinto il premio di romanticone dell’anno.
Peccato che un vento forte e malandrino costrinse Meeley ad atterrare nel Nord dell’Irlanda, stabilendo comunque il suo record, ma lasciando il pilota Frank e il suo cuore sulla pista di Parigi a palpitare solitari. Amelia avrebbe visitato la Tour Eiffel qualche altra volta, magari volandole intorno, ma probabilmente per allora la rosa sarebbe stata appassita da quel dì.
Insinuare che la bella volante sia atterrata altrove proprio per evitare il suo spasimante dei tempi di Long Beach è un po’ impiccione e molto poco elegante. O forse è proprio per questo – pensi? – che Meeley volò anche dalle Hawaii alla California, prima al mondo a fare anche quello? O da Los Angeles a Città del Messico? E da lì a New York? Dici che Frank portò il suo sorriso, il ciuffo e il cuore palpitante anche tra i grattacieli? Sarà per questo che in quegli anni i fiorai facevano affari d’oro?!
Fatto sta che la bella e ormai celebre Amelia ci prese gusto a girare il mondo, guardando tutti dall’alto. E probabilmente ci prese gusto pure il pilota Frank a girare il mondo, aspettando sempre dal basso. Al punto che si finì quasi per forza a organizzare uno svolazzante giro del mondo.
Partenza da Oakland, in California, tra tombe, tromboni e bandierine rosse e blu, con rotta verso Burbank, poi Tucson, quindi New Orleans, con Frank nascosto dietro un hangar. Dalla Louisiana a Miami e a Portorico, con Frank rinchiuso dentro una cassa di rum. Da San Juan a Caripito, in Venezuela, a Paramaribo, in Suriname, a Fortaleza, a Natal, in Brasile, con Frank a mimetizzarsi sulla spiaggia, travestito da castello di sabbia. Un salto sopra l’Atlantico ed eccoti l’Amelia a Saint Louis e a Dakar, in Senegal, e Frank arrampicato su una palma tra le noci di cocco. Dal Mali al Ciad al Sudan, con Frank a rincorrere a cavallo di un cammello e vien da chiedersi, a questo punto, in che condizioni fosse la sua bella rosa rossa… Da Khartoum all’Eritrea, all’asiatica Karachi, in Pakistan, e da lì a Calcutta, con il pilota Frank nascosto tra i banchi del mercato; dall’India ad Akyab, a Rangoon, a Bangkok e ancora Frank a prenotare un tavolo al ristorante e ad esercitarsi con gli stecchini. Ma non c’è tempo per il pranzo né per una cena romantica: via dalla Thailandia verso Singapore, l’Indonesia e l’Australia e Frank nel marsupio di una cangura. Da Darwin a Papua Nuova Guinea, all’atollo di Nukumanu, con Frank tra i coralli, fino all’isola di Howland dove…
Dove cosa accadde nessuno lo sa.
Di Amelia e del suo aereo si persero per sempre le tracce e nessuno, a tutt’oggi, sa spiegarci alcunché. Che tristezza…
Allora, se mi permetti, preferisco pensare che lì, nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico, Meeley sia atterrata finalmente accanto al pilota Frank, stanco e stravolto, riaccendendone il sorriso, ripalpitandone il cuore e rifiorendone la rosa. Lo so, probabilmente non andò proprio così, ma al loro posto anch’io, ti assicuro, avrei preferito volarmene via in due.
la fotografia
© wright-brothers.com
Furono gli ingegnosi fratelli Wilbur e Orville Wright i primi a far volare una macchina con tanto di pilota e motore. Era mezzogiorno del diciassette di dicembre del 1903 e l’era dell’aviazione poteva cominciare.
Era un biplano traballante più che mai, quel velivolo, messo insieme con legno di abete e stoffa, che loro battezzarono con il volante nome di Flyer. L’ultimo dei quattro voli che compirono durò un minuto meno un secondo e coprì la bella distanza di duecentoottantaquattro iarde: poco più della lunghezza di due campi da football. Wilbur a bordo e Orville a guardarlo soddisfatto, pronti entrambi per la foto ricordo.
il video
Il signor Howard Hughes fu uno degli uomini più ricchi del mondo e pensò bene di godersi parte dell’immenso patrimonio costruendo e pilotando aerei in giro per il mondo. E quando dico in giro per il mondo lo intendo davvero, perché il dieci di luglio 1938 portò a termine il suo bel giro del globo terracqueo, da New York a New York, in novantun ore, record dei record che, se Jules Verne non fosse morto anni prima, sarebbe corso a riscrivere quello in novanta giorni. L’aereo che pilotò era un Lockheed Super Electra con due motori ad elica, uno per ala, equipaggiato di tutto punto.
la pagina web
Pioniere dall’aviazione italiana fu l’intraprendente conte trentino Giovanni Battista Caproni che, dopo aver assistito al volo di uno dei marchingegni dei fratelli Wright, i primi ad aver fatto volare un trespolo alato, decise di dedicare la propria vita alla costruzione di aeroplani. Per fare ciò scelse come sede Cascina Malpensa, dove oggi c’è uno degli aeroporti di Milano, ma è accanto alla pista dell’aeroporto di Trento, che porta il suo nome, che sorge oggi il museo del volo che, se ti va, puoi visitare quando vuoi.
i nostri eroi
Fu il dirigibile inglese modello R 34 della Royal Air Force il primo a sorvolare l’Oceano Atlantico dalla Gran Bretagna a Long Island, negli Stati Uniti. Il comandante Scott e la sua ciurma navigarono il cielo con maestria per oltre cento ore e, quando ormai erano ben lontano da ogni costa, sbucò dalla stiva pure il bel sorriso di tale signor Ballantyne, originariamente lasciato a terra per risparmiare peso, che evidentemente non voleva perdersi l’impresa e si era nascosto tra lo scatolame: ormai era troppo tardi per tornare e lasciarlo a casa e certo non lo si poteva buttare in pasto agli squali…
All’arrivo, il sei di giugno del 1919, per facilitare le operazioni di atterraggio e guidare la manovra da terra, il maggiore Pritchard si lanciò con il paracadute, diventando quindi il primo uomo a volare bel bello dall’Europa all’America.
Il capitano Arturo Ferrarin doveva avere più la testa fra le nuvole che i piedi per terra, perché quando stava lassù, appeso alle ali del suo aereo Ansaldo S.V.A. 9, era felice come si è felici quando si vola, soprattutto se non si ha paura di volare.
Partì da Roma il quattordici di febbraio, giorno di san Valentino, il capitano Ferrarin, per volarsene leggero fino a Tokyo, curioso forse di assaggiare il sushi e il sakè. Con il piccolo particolare che si era nel 1920 e gli aeroplani di cent’anni fa erano dei traballanti marchingegni anche a terra, figurarsi lassù, con diciottomila chilometri da percorrere in più di cento ore di volo. Tutto senza hostess né steward.
Si fermò la bellezza di venticinque volte, durante il viaggio, spesso cogliendo di sorpresa le popolazioni terrestri, ben poco abituate a ricevere visite così svolazzanti. E finì per dormire a Salonicco o far pipì a Bandar-Abbas, pranzare a Calcutta, rifornirsi a Bangkok, vincere una partita a briscola in un bar di Macao e cenare a Shanghai.
Finché il giorno venti di maggio, nel cielo del lontano Giappone s’udì di lontano il rombo traballante del motore dell’aereo Ansaldo, con il capitano ai comandi, e il sorriso sulla bocca. La capitale laggiù lo aspettava, primo al traguardo del raid Roma-Tokyo, con una tavola imbandita con sushi e sakè e un bel passaporto per la celebrità.
Oltre a lui solo un altro pilota completò la gara temeraria, atterrando qualche giorno più in là. Tutti gli altri partiti insieme a loro, ahimè, rinunciarono all’impresa in questo o quel cantuccio del mondo, da qualche parte tra l’Italia e il Giappone.
Si chiama Amelia e vola, ma non è Amelia Earhart e il suo aereo non ha ali né motore, ma è una scopa. Il suo nome originale, in realtà, è Magica De Spell, come la battezzò il suo inventore, il disegnatore Carl Barks, padre di tutti i paperi a fumetti, quando nel dicembre del 1961 la disegnò per la Disney.
Ha fascino mediterraneo, Amelia, con i suoi capelli d’un nero corvino, le ciglia lunghe e svolazzanti e un abitino nero anche lui, che si abbina bene con tutto. E vive sulle pendici del Vesuvio, Amelia, che per una fattucchiera come lei mi pare la località adatta, con il profumo di pizza nell’aria, il sole e il mare. Purché non ci sia aglio, sul vulcano, mi raccomando, altrimenti sono guai!
quattro domande a…
… Domenico Modugno
Signor Domenico, lei che ha scritto Volare, non è che fa volare un po’ anche noi?
Innanzitutto il titolo vero della canzone è Nel blu dipinto di blu, ma ormai mi sono rassegnato e la chiamo Volare pure io. Posso cantargliela, se vuole, anche se non ho una chitarra ad accompagnarmi, ma altri modi per farla volare al momento non mi vendono in mente. Può cantarla anche lei e magari spicca il volo, ma aspetti che mi allontano: non vorrei che qualche stonatura turbi il mio timpano…
Tranquillo, sono qui per farle quattro domande, non certo per cantare. E, mi dica, davvero è felice di stare lassù?
Felice senz’altro, anche se poi è tutta una questione di rima. Potevo scrivere nel blu dipinto di blu, mi giro e ti faccio cucù… oppure e poi non ti parlo più… o qualsiasi cosa che abbia l’accento sulla u. Però sì, sono felice.
E poi cantare Volare senza bisogno di volare è una trovata geniale!
Grazie! Oltretutto ci sono non pochi vantaggi: innanzitutto è gratis e non si paga alcun biglietto; poi non c’è la coda al check-in e nemmeno il metal detector, dove si dimentica sempre qualcosa di metallo in tasca e suona ogni cosa. Ma il suono dell’allarme, mi creda, non è quello di un’orchestra o di un pianoforte. Molto, ma molto meglio cantare.
Se anziché il cantante avesse fatto il pilota d’aereo, quale impresa le sarebbe piaciuto compiere, potendo scegliere?
Credo che avrei lasciato l’aereo nell’hangar, guardi un po’. Pensi che bello: il pilota meno decollato nella storia! Di conseguenza anche il meno atterrato e doppio record! Ore di volo zero. L’unico a non essere andato da nessuna parte, in un’epoca in cui ognuno corre chissà dove e in ogni luogo. C’è chi trasvola l’oceano; io invece mi rilasso nella vasca da bagno, posso? E nella vasca, o sotto la doccia, canto. E volo. Oh oh!
ti consiglio un libro
Richard Bach – IL GABBIANO JONATHAN LIVINGSTON – Bompiani
È un superclassico tra i libri, il Gabbiano Jonathan, dalla scrittura leggera, veloce e volante, come s’addice a chi mette le ali ai propri pensieri e si lascia trasportare dalle correnti e dal vento. Se hai paura di volare, questo potrebbe essere un bel libro per te e magari è la paura a volarsene via; se ti piace volare, ma andare da qua a là non ti basta, questo è decisamente il libro per te e per la tua sete di avventura, di spazio e di spazi. Se sei un gabbiano, di nuovo è il libro per te e per le tue ali, che quando le apri si vede che alla prima brezza basta un salto e via…