Avete presente quelle casalinghe disperate che si facevano chiamare così ma che mai e poi mai in otto anni abbiamo visto pulire i pavimenti o fare il bucato? Il quartetto di pettegole di Wisteria Lane che passava le giornate a sparlare di amici e conoscenti e a uccidere, involontariamente, tutto il vicinato? Ebbene, sono tornate. Stavolta però scopettoni e stracci li hanno in mano, dato che non sono più housewives ma domestiche (maids in inglese). Non sono nemmeno più tanto desperate, quanto piuttosto subdole, equivoche, devious insomma. Ma sia chiaro: al tacco dodici, poco importa che debbano pulire i bagni dei loro datori di lavoro, non rinunciano.
Devious Maids, appena iniziata in America, è la nuova serie firmata da Marc Cherry, creatore delle vicende di Susan, Bree, Lynette e Gaby, e ispirata alla serie messicana Ellas son la Alegría del Hogar. E diciamolo, non è che Marc si sia poi spremuto le meningi per plasmare un prodotto originale: le sue casalinghe funzionavano alla grande, tanto valeva ricalcarne il modello. Con qualche piccola novità: basta “nobildonne” di quartiere ma donne alla mano e lavoratrici, dimentichiamo le piccole periferie degli States in virtù della grande Los Angeles e cancelliamo dalla mente il quartetto made in Usa, per sostituirlo, nel pieno rispetto dei cliché, con un manipolo di sexy e formose latine. Che – credeteci – non hanno nulla a che vedere con l’immagine classica della servitù (quella – per dirla con un altro paragone seriale – alla Downton Abbey). Maschietti, tirate pure un sospiro di sollievo.
Ma per quanto lo sfottò alle casalinghe possa divertire, sono state – a onor del vero – un caposaldo della televisione seriale, un prodotto dotato di una sceneggiatura superba, leggero e spassoso, ma anche fonte di riflessione, dato che, dietro alla facciata ironica e grottesca, spingeva a chiedersi quanto davvero conosciamo chi vive a una porta di distanza. Devious Maids (che vede come produttore niente meno che Eva Longoria) ha lo stesso mix di ingredienti della serie “cugina”: mistero (c’è un omicidio in apertura, un po’ come il suicidio di Mary Alice nel lontano pilot di Desperate Housewives), una sana dose di superficialità condita da un pizzico di umorismo. Non sarà rivoluzionaria come il suo predecessore. Potrà stordirci con la sua musica latina ripetuta ad oltranza. Eppure è un ottimo guilty pleasure, quella boccata d’aria fresca di cui questa estate calda e scarna aveva proprio bisogno.