Quando il giudice sbaglia e distrugge imprese e lavoro

E la chiamano giustizia

Nel 1999 il ministero del Tesoro pubblicò per la prima volta la guida “Errore giudiziario e ingiusta detenzione”. In sintesi, emerse che dal 1988, anno in cui fu varata la legge sui risarcimenti, al 1998 lo Stato spese 82 miliardi di lire per rimborsare chi fu detenuto per sbaglio. Nel 2007 sempre via XX Settembre confermò che tra il 2004 e il 2007 la cifra per risarcire 3600 persone arrivò a 213 milioni di euro.

Dati ufficiosi di associazioni non governative parlano di 2000 detenzioni errate ogni anno, mentre le cause pendenti presso la Corte di dei diritti dell’uomo di Strasburgo intentate da italiani sono circa 14mila. Peggio di noi Russia e Turchia. Non esiste una classifica delle aziende che sono fallite o hanno rischiato il crac per via di inchieste giudiziarie che alla luce del dibattimento o dopo il primo grado di giudizio si sono rivelate infondate. O si sono sciolte come neve sporca al sole.

Alcuni imprenditori hanno deciso di raccontare le proprie vicende, altri anche a distanza di anni preferiscono restare lontani dai microfoni, terrorizzati dalla possibilità di scontrarsi nuovamente col muro della giustizia. Abbiamo raccolto tre casi emblematici.

Salerno

Siamo nel 2003. La famiglia Maiolica rappresenta un gruppo con 25 punti vendita al dettaglio dislocati su tutta la provincia, con un fatturato di circa 80 milioni di euro. Si occupa principalmente di grande distribuzione. Una controllata acquista una parte dell’area Asi (consorzio per lo sviluppo industriale, ndr) di Salerno che un tempo apparteneva all’Ideal Standard e su cui, nelle previsioni del piano regolatore, sarebbe dovuto sorgere prima un parco e poi, dopo una variazione, una centrale termoelettrica. Si tratta di circa 100 mila metri quadrati dal valore di 10 milioni di euro di proprietà della società SeaPark, che inizialmente avrebbe dovuto sviluppare il parco marino.

La compravendita avviene davanti al notaio e dopo quaranta giorni scatta il sequestro dell’area. I pm a dicembre del 2003 indagano 40 persone – tra cui i fratelli Maiolica – per lottizzazione abusiva. Coinvolti anche i politici, ovviamente. I Maiolica avanzano l’istanza di dissequestro, considerandosi estranei ai fatti. Il tribunale del riesame nel 2004 accoglie l’istanza. Segue un ulteriore sequestro d’urgenza e un successivo dissequestro. Impugnato dall’accusa di fronte alla Cassazione. Nel 2005 intanto arriva il rinvio a giudizio e il gruppo di Salerno dopo una perdita di fatturato del 30% (a detta degli interessati dovuta proprio all’inchiesta) decide di uscire dall’investimento anche di fronte a una perdita di 4 milioni di euro. Parte una spirale negativa. Bancarotta e conseguente perdita di 300 posti di lavoro.

L’ulteriore impatto è penale anche perché i fratelli e il padre hanno firmato fidejussioni legate alle persone fisiche. Il fondatore dell’azienda viene affidato ai servizi sociali, uno dei figli condannato ad un anno e 8 mesi. L’esito della vicenda invece, si scopre solo il 20 maggio 2013, quando il tribunale decreta che il fatto non sussiste e che i Maiolica non sono mai stati coinvolti in alcuna lottizzazione abusiva. Antonio, uno dei fratelli, ha rilasciato un’intervista al Corriere del Mezzogiorno. «Chiederò il risarcimento dei danni allo Stato, al Comune, al consorzio Asi. Chiederemo trenta milioni di euro per pagare tutti i consulenti e con una forma transattiva tutti i creditori, aziende come Barilla, Ferrero, che non meritavano tutto questo».
 

Potenza

Sei società, titoli per oltre 632 mila euro – considerati frutto delle mazzette ricevute – e un conto corrente intestati a Vittorio Raimondo, presidente del collegio sindacale dell’Inail di Roma, vengono sequestrati a luglio del 2002 a Roma, Milano, Ancona, Verona, Francavilla a Mare (Chieti) e Potenza, nell’ambito di un’inchiesta legata a presunti illeciti sull’appalto per la costruzione della sede di Avellino dell’Inail. Tra le società poste sotto sequestro c’è la Spartaco Sparaco di Luigi Sparaco, uno dei vincitori della gara d’appalto. Secondo l’accusa, promossa dal pm Henry John Woodcock, si era formata un’associazione per delinquere che avrebbe dovuto determinare tutte le scelte e gli appalti immobiliari dell’Inail. Sparaco viene arrestato. Venti giorni di carcere e due mesi di domiciliari. L’azienda inibita per oltre un anno ad avere rapporti con la pubblica amministrazione. 

«Fatturavamo cento milioni di euro l’anno e avevamo sempre avuto i bilanci in attivo, ma nel giro di pochi mesi siamo arrivati al capolinea. Certo, avevamo anche altri problemi, il cocktail è stato micidiale», ha dichiarato recentemente in un’intervista l’imprenditore. Mentre l’azienda, con i suoi circa mille dipendenti (tra lavoratori e collaboratori) salta, il processo va avanti. Le perizie di parte dimostrano che appalti e subappalti sono in regola e che per ciascun cantiere la Spartaco Sparaco ha adottato prezzi congrui.

Nel 2009, sette anni dopo l’inizio della vicenda, il tribunale di Roma assolve l’ingegnere e nessuno si oppone. La corte d’appello di Roma recentemente riconosce all’ingegnere un indennizzo di 11.557 euro. Più o meno 235 euro per ogni giorno trascorso in cella e la metà per quelli passati ai domiciliari. E pensare che è finito in manette perché avrebbe regalato al direttore dell’Inail un appartamento in cambio di favori. La dritta era arrivata ai pm da un altro indagato che aveva raccolto un pettegolezzo. «L’appartamento non c’era», chiude l’intervista Spartaco, «non c’era il minimo riscontro, non c’era nulla».

Brescia

Nel 1984, Carlo Palermo, allora giudice istruttore a Trento, diviene famoso in tutta Italia perché prima di essere trasferito a Trapani, dove poco dopo avrebbe subito un terribile attentato, riesce ad avviare una grossa inchiesta su armi e droga. La più grossa mai imbastita nella nostra penisola. Si tratta di 5.898 pagine per rinviare a giudizio 25 italiani, 9 turchi, 2 siriani e 1 egiziano. Una vicenda che coinvolge servizi segreti italiani, americani, mafia turca e siciliana e persino alcuni esponenti del Psi, compreso Bettino Craxi per i suoi presunti legami con il finanziere Ferdinando Mach di Palmstein. 

Due anni prima, Carlo Palermo, giunto a Varese, aveva fatto arrestare il mercante siriano Henry Arsan e sua moglie. I due, utilizzando il paravento della Stibam international (una ditta di import-export con sede a Milano, in una palazzina del vecchio Banco Ambrosiano), secondo l’accusa erano il punto di riferimento di una vasta rete di trafficanti.

Da Arsan il giudice risale all’industriale di armi Renato Gamba, di Gardone Val Trompia, anch’egli nel 1984 rinviato a giudizio per associazione a delinquere finalizzata al traffico d’armi, come la maggior parte degli indagati che compaiono nelle 5898 pagine. Tra questi spiccano il colonnello del Sid Massimo Pugliese, l’esperto missilistico Glauco Partel e il boss turco Bekir Celenk già implicato nell’inchiesta romana sull’attentato al Papa. Arsan e Giuseppe Santovito (altro indagato), già capo del Sismi, evitano il rinvio a giudizio perché deceduti l’anno prima. In realtà Arsan è da qualche anno un collaboratore dei servizi americani e le veline intercettate dagli inquirenti che accusavano gli uomini del Sid e del Sismi erano state messe in giro dagli stessi servizi italiani per un’opera di controinformazione nei confronti dell’intelligence turca e bulgara.

Renato Gamba, arrestato e condannato in primo grado a cinque anni e otto mesi era stato contattato da Arsan tramite telex per avere il listino prezzi della società di Gardone. Fu quel fax a costare più o meno un anno di carcere a Gamba il quale per vedersi scagionato dovrà aspettare il 1989. Sette anni dopo i primi arresti, il rappresentante della Procura generale Ennio Fortuna smonta l’impianto accusatorio e le condanne di primo grado. «Lo ha fatto talmente bene, che gli avvocati della difesa hanno addirittura rinunciato alle loro arringhe», scrive all’epoca l’inviato di Repubblica.

Così la Corte d’appello assolve con formula piena i nove imputati e uno di loro, l’ex colonnello del Sid Massimo Pugliese, fa sapere di aver citato a giudizio per danni il presidente del Consiglio Ciriaco De Mita, il ministro della Difesa Valerio Zanone e il ministro delle Finanze Emilio Colombo: chiede 9 miliardi di risarcimento per essere stato coinvolto ingiustamente in questa inchiesta. Renato Gamba viene assolto dall’accusa di associazione per delinquere perché il fatto non sussiste. Assolto pure per le violazioni sulla vendita di armi. Non avrebbe infatti potuto violare leggi sull’intermediazione tra Stati esteri che all’epoca dei fatti non esistevano. Sono state varate ben dopo l’avvio dell’inchiesta di Palermo.

Solo dopo il 2000 l’imprenditore bresciano viene risarcito per l’ingiusta detenzione e per i danni che la sua azienda ha subito dall’intera vicenda. Nessuno ripagherà l’onta di aver assistito in manette al funerale della madre. Duri colpi che per fortuna non hanno causato il fallimento. La stirpe di armaioli (risale al 1700) è stata di tempra più dura dei fatti. Renato Gamba assieme al figlio continua a produrre fucili da caccia ma soprattutto sportivi. Daytona è stato per 38 volte campione del mondo nel tiro alle eliche. 

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