Fu lanciata nello spazio il sedici giugno del 1963 dal cosmodromo di Bajkonur, in Kazakistan, la prima donna nella storia dell’astronautica. Si chiamava Valentina, ma per quella missione scelse il nome di Čaika, che in russo significa gabbiano. Allora aveva ventisei anni e rimase a bordo della navicella Vostok 6 per tre giorni e tre notti, legata al seggiolino, con un oblò per guardare quaggiù e poco altro. Per quarantanove volte fece il giro del mondo, godendosi quarantanove albe e altrettanti tramonti, fino a rientrare sul pianeta, da qualche parte nella steppa, lanciandosi con il suo paracadute per gli ultimi metri di volo.
Inutile dire che Valentina Tereshkova diventò subito un mito e che ancora oggi lo è.
il racconto
L’ASTRONAUTA CON L’APOSTROFO
«Da grande farò il pompiere!», scrisse un mattino la giovane Valentina, impegnata a riempire il foglio a righe, badando bene di restare dentro ai margini, come piaceva alla maestra, pignola e puntigliosa. Un tema in classe è una cosa seria e se il titolo chiedeva cosa farai da grande, il pompiere pareva a Valentina una soluzione avventurosa, affascinante e facile da immaginare e da descrivere in bel corsivo.
«Quando sarò grande – scriveva – farò il pompiere e indosserò un casco e un bel vestito rosso rosso, pronta per andare in missione».
Brava Valentina! Anch’io avrei fatto volentieri il pompiere. Complimenti! La maestra sarà di sicuro soddisfatta e un bel voto garantito.
Invece no.
«Come sarebbe, il pompiere? – Borbottò la maestra, con aria severa. – Non è adatto a una ragazza come te, il mestiere di pompiere, lo dice la grammatica stessa, con l’articolo il che è indubbiamente maschile, mentre tu, Valentina, sei femminile, come una mela, una penna a sfera e una lampadina».
Valentina non sembrava capire. Il pompiere era maschile, e allora?! Forse la maestra voleva che da grande facesse la mela? O la penna? O la lampadina? Che mestieri sono, quelli?! Ma non fece in tempo a controbattere, che la maestra, severa, continuò a rimproverarla.
«E poi che vestito è, un vestito rosso rosso? Chi ti credi di essere, Babbo Natale?». Qui i compagni scoppiarono in una fragorosa risata.
«E anche Babbo Natale – borbottava – con quella barba bianca è maschile più che mai. È maschile il babbo ed è maschile anche il Natale».
«Potresti voler fare la maestra – concluse – che è femminile come me e come te».
L’ultima cosa che Valentina aveva in mente era di imitare la sua maestra, che sarà stata anche femminile, come luna storta e come i sostantivi antipatia, severità e lucertola, ma a lei non importava granché. Che poi anche barba era una parola femminile: barba, proprio come quella di Babbo Natale, che forse anche lui, con quel vestito rosso, da bambino voleva fare il pompiere…
Andò a finire che Valentina prese un altro foglio a righe e, sempre facendo attenzione a non uscire dai margini, cominciò da capo un nuovo tema in classe.
«Quando sarò grande – scrisse – sarò un’astronauta!»
«Sarò un’astronauta – continuò a scrivere – e indosserò un casco e un bel vestito arancione, pronta per andare in missione».
Brava Valentina! Quello sì che era un mestiere entusiasmante.
«Volerò sopra le nuvole!» Scriveva, ed era felice che la nuvola fosse femminile.
«Volerò verso le stelle più lontane!» E anche le stelle erano femminili, stava scritto in tutti i dizionari.
«Volerò nella galassia!» E pure galassia era femminuccia come lei. E come la maestra, che questa volta non avrebbe potuto che complimentarsi, nessun dubbio, e un bel voto era garantito.
Invece no.
«Ma cosa hai scritto! – Brontolò quella, segnando il foglio a righe con la matita rossa – Un astronauta si scrive senza apostrofo, come un albero, un cammello e un carciofino sott’olio».
Vuoi vedere che la maestra considerava mestieri anche gli alberi, i cammelli e i carciofi? Mah, chissà.
Però ormai Valentina l’astronauta lo voleva fare davvero e nessuno le avrebbe più fatto cambiare idea. Lasciò che la maestra sbollisse la rabbia e la promuovesse in qualche modo e quando divenne grande lo fece davvero…
Beata Valentina, fece l’astronauta sul serio, diventando nientemeno che la prima donna a farsi un giro oltre l’atmosfera e costringendo tutti gli autori dei libri di scuola a correggere in gran fretta: da quel giorno, finalmente, grazie a lei un’astronauta si poteva scrivere tranquillamente con l’apostrofo, se si parlava di un’astronauta femmina, oppure senza, se si parlava di un astronauta maschio.
E guardando la Terra di lassù, Valentina pensò per un istante anche alla sua vecchia maestra che, poveretta, aveva vissuto una vita intera senza apostrofo e senza voglia di volare.
la fotografia
L’astronauta statunitense Marsha Sue Ivins © NASA
Avere i capelli lunghi nello spazio può essere una bella esperienza. Per conferma, chiedere alla simpatica Marsha Ivins, che ha preso parte a ben cinque missioni, senza troppo preoccuparsi della messa in piega o della frangia. In assenza di peso, infatti la chioma esplode in una sorta di criniera fascinosa e affascinante, ancorché un po’ vistosa… Tutto sta a fare attenzione di non finire agganciati a qualche pezzetto di velcro o annodati a uno dei mille marchingegni che arredano le navi spaziali.
il video
L’impresa di Valentina Tereshkova e la popolarità del suo sorriso furono sfruttate per bene dai propagandisti dell’Unione Sovietica, che in quegli anni andavano raccogliendo successi a dir poco galattici: dallo Sputnik alla cagnetta Laika, da Yuri Gagarin proprio a Valentina.
Le cose, però, pare siano andate in modo un po’ meno eroico, lo raccontò lei stessa qualche decennio più in là… Già starsene chiusi nella tuta per tre giorni, senza la possibilità di cambiarsi, deve essere stato disagevole. Poi prova tu a rimanere seduto e legato per settanta ore e cinquanta minuti di fila, senza che qualche osso o muscolo gridi vendetta. E se ti dico che pure lo stomaco, a un certo punto, si arrese? Con il casco sulla testa? Di più, lanciandosi con il paracadute prima dell’atterraggio, come prevedeva la procedura, la povera Valentina andò a sbattere e ne uscì con dolori dappertutto. Fu curata, pulita e rifocillata e qualche giorno più tardi venne rispedita in cielo, su su su, poi giù giù giù, senza orbite, per poterla finalmente filmare all’arrivo, pettinata e inamidata per bene. Ah, cosa non si sopporta, per poter volare…!
la pagina web
La prima astronauta italiana ancora non c’è. O meglio, sì che c’è, si chiama Samantha, è simpatica e sorridente, ma ancora oltre l’atmosfera non ha messo piede. Lo farà nel 2014 e sono certo che non veda l’ora di partire. C’è una pagina dedicata a lei nel sito dell’Esa, Agenzia Spaziale Europea, e se vuoi puoi anche seguirla su twitter, dove racconta ciò che le capita nei giorni che la avvicinano al lancio. Ciao Astrosamantha!
i nostri eroi
All’inizio del secolo scorso viveva in Germania un genio del cinema, che allora era muto, traballante e in bianco e nero, ma non meno eroico del nostro. Si chiamava Fritz, quel genio, come l’amico Fritz, e un giorno prese una donna e la mandò fin sulla Luna, perché al cinema già a quel tempo era permesso questo e molto ancora.
In realtà, in quel film, sono quattro uomini ad andare lassù, con una donna e un bambino, ma è la signora Friede Velten a dare il titolo a tutto: «Frau im Mond», che in tedesco vuol proprio dire «Una donna nella Luna». La trama, ti avverto, fa un po’ ridere chi vive nel Duemila ed è abituato a intrighi molto più sorprendenti, ma le scene del decollo e del volo sono a dir poco affascinanti, soprattutto se pensi che si era nel 1929 e di razzi volanti non c’era traccia né a Bajkonur, né a Cape Canaveral e anche Valentina Tereshkova sarebbe nata solamente otto anni più tardi.
Quanto a donne volanti, ce n’è una che sfreccia nei cieli dal lontano 1941, quando Valentina Tereshkova aveva quattro anni appena e ne mancavano ancora ventidue, di anni, al lancio della sua navicella Vostok 6. Come la mettiamo?
Beh, la mettiamo che Wonder Woman è fuori categoria. Non vale. Lei ha i superpoteri, mentre Valentina al massimo aveva un colbacco di pelle di castoro.
Però chissà come si dice Wonder Woman in russo. In cirillico pare si scriva così: Чудо-женщина, ma non ne so tanto di più. E chissà se Valentina aveva tempo di leggerli, da ragazza, i fumetti dei supereroi. E chissà ancora se li trovava, nelle edicole lungo il fiume Volga. Se mai la incontrerò, devo ricordarmi di chiederglielo.
La cosa divertente, poi, è che per fare l’astronauta non serve alcun superpotere. Se si è troppo alti nemmeno si entra nella navicella, se si è troppo muscolosi i muscoli si atrofizzano in fretta, se si è campioni con il pallone non c’è spazio per palleggiare… Quel che conta, lassù, è la preparazione meticolosa, lo spirito d’avventura, la voglia di scoperta e il desiderio di realizzare un sogno, che agli eroi dei fumetti capita solo sulla carta o nelle sale di un cinema, ma agli esseri umani, femmine e maschi, a volte succede anche nella realtà.
Si dovettero aspettare quasi vent’anni, perché dopo Valentina Tereshkova un’altra donna andasse in orbita intorno alla Terra. Di nuovo fu una russa, la simpatica Svetlana Savitskaya, che raggiunse nel 1982 la stazione spaziale di allora, che si chiamava Salyut. Tanto le piacque, quell’esperienza volante, che ci tornò anche due anni più tardi e questa volta – era il venticinque luglio 1984 – si prese persino lo sfizio di uscire nello spazio aperto, vestita di bianco e con le bombole sulla schiena, per la bellezza di tre ore e trentacinque minuti, diventando in quel momento la prima donna a passeggiare allegramente nel vuoto.
quattro domande a…
… Uhura
Comandante Uhura, come festeggerà i sessant’anni della prima donna nello spazio? La inviterà a farsi un giro sull’Enterprise?
Magari le farò una telefonata di cortesia, anche se temo che troverò occupato. Chissà quanti saranno a voler sentire Valentina e dirle questo e quello. E poi c’è un problema di fuso orario… Qui siamo nel futuro da un po’, lì da voi che ore sono? Non vorrei chiamare nel cuore della notte. Ce l’avevate, la notte, voi nel passato?
A proposito di futuro, voi di Star Trek, che vivete nel ventitreesimo secolo, che ricordo avete di noi, che crediamo di essere così avanti nella scienza e nella tecnica? Non è che facciamo la fine dei trogloditi?
Non mi faccia rispondere… Diciamo, però, che qualcuno tra voi ha lasciato un bel ricordo. Pochi, ma qualcuno sì. Le svelo, invece, che nel portafogli tengo una vecchia fotografia di Valentina, mito della mia gioventù. Se non fosse andata in orbita lei, forse anch’io oggi farei un altro lavoro, che ne so, magari l’attrice!
Peccato solo che la fotografia sia in bianco e nero. Ma come facevate? Sono così belli i colori! Se mai farò l’attrice, di sicuro girerò solo film a colori, altroché!
A proposito di bianco e nero, lo sa che qui ancora si parla del suo romantico bacio interraziale? Lei nera e il bianco capitano Kirk… Cuori infranti davanti a tutti i televisori!
Non me ne parli, ancora sento i brividi su tutta la pelle, a proposito di pelle… E, ripensandoci, in certe situazioni il bianco e nero è stato a dir poco favoloso!
Ma cosa c’entra questo con Valentina Tereshkova?
Beh, nulla. Però credo che lei sia andata in missione sola soletta proprio per evitare imbarazzanti scene palpitanti come la sua!
Guardi, non a tutti capita di volare nello spazio, soli o in compagnia. Anzi, mi rendo conto che Valentina e io siamo a dir poco delle privilegiate. Però non è vietato a nessuno volare con la fantasia e lasciarsi trasportare oltre i cieli da qualcuno che faccia da fascinoso capitano Kirk. Uh! E aggiungo che oltre l’atmosfera, l’atmosfera è più romantica che mai!
ti consiglio un libro
Simona Cerrato – L’UNIVERSO DI MARGHERITA – Editoriale Scienza
C’è stata una donna, anzi, più d’una, a guardare la Terra di lassù, e c’è stata una donna, anzi più d’una, a guardare il cielo da quaggiù. Ma una in particolare ha vissuto con il naso nell’universo, a perdersi tra le galassie, ad apparire come le comete, a orbitare tra i satelliti e i pianeti. È Margherita Hack, astrofisica più di tutti, che ha riempito la propria storia con le storie di ogni cosa abbia transitato al di là del suo telescopio, ed è intrigante e interessante scoprire, leggendo, come anche da questa parte del cielo la storia di Margherita non sia stata una storia qualsiasi. E c’è da crederci, con tutte le storie che ha da raccontare…