«Noi siamo quelli nati dopo il Settanta. È la generazione che deve partire. Le faccio un nome. Ad esempio, Giuseppe Civati, un mio coetaneo. È uno che si va a prendere i voti porta a porta o davanti ai cancelli delle fabbriche». Era il marzo del 2009 e un giovane Matteo Renzi, fresco vincitore delle primarie per la corsa a Palazzo Vecchio, ancora poco pop con lo sguardo da secchione, rilasciava un’intervista al Magazine del Corriere della Sera nella quale lanciava la generazione degli anni ’70. Ove per generazione degli anni ’70 l’allora presidente della Provincia di Firenze pensava proprio a sé stesso e all’amico Pippo. Così vicini anagraficamente, entrambi nati nel 1975, ma così lontani per altri versi.
“Matteo” e “Pippo” iniziano a conoscersi in quei giorni. Il primo imprenditore, ex boy scout, ex Margherita, e persino concorrente alla Ruota della Fortuna condotta da Mike Bongiorno; il secondo laureato in filosofia con dottorato di ricerca, di rito diessino, attento agli sviluppi di Internet e autore di uno dei blog più seguiti della rete (ciwati). Sono le settimane che accompagneranno il Pd prima alle Europee, e poi all’elezione di Pier Luigi Bersani alla segreteria del partito. Sono le settimane nelle quali Silvio Berlusconi sembra essere irraggiungibile, e i democratici devono ancora metabolizzare la caduta del governo Prodi, e le dimissioni anticipate di Walter Veltroni. «Settimane di passione», dirà qualcuno. Ma allo stesso tempo sono le settimane in cui si affaccia per la prima volta alla ribalta una nuova generazione di democratici. E fra questi, Renzi e Civati spiccano il volo, sembrano essere i predestinati. Con il secondo, inizialmente, in vantaggio sul primo.
Nell’autunno del 2010 i due, così vicini ma anche così lontani, organizzano una tre giorni fiorentina – la location è la Stazione Leopolda – dal titolo suggestivo: «Prossima fermata Italia». Migliaia di giovani raggiungono Firenze da tutto lo Stivale, le partecipazioni sfondano quota 4mila. Numeri che fanno tremare lo stato maggiore di Largo del Nazareno, sede nazionale dei democratici. “Matteo” e “Pippo” si completano: il primo ha un linguaggio semplice e diretto, capace di conquistare oltre i confini della sinistra italiana, ed è percepito dagli elettori di centrodestra «come un sinistro al quale si può pensare di dare il sostegno». Mentre il secondo ha un profilo più progressista e liberal, si preoccupa «di descrivere il Paese che verrà», ma allo stesso cerca di rispondere «alle domande della contemporaneità: il lavoro, l’integrazione, la laicità». Ma sono accomunati dall’idea che sia giunto il momento di scendere in campo, sopratutto di «rottamare l’intero gruppo dirigente del Pd: vogliamo un Pd senza più dinosauri», con l’idea che la rottamazione debba avvenire «sulle capacità e sul merito, non solo sullo scontro vecchi-giovani», tiene a precisare Civati. La prima Leopolda, quella targata 2009, è un successone. Rivoluzionano il modo di comunicare ad una manifestazione politica: interventi brevi di durata massima pari a 5 minuti, interazione con il mondo della rete e quindi l’uso dei social network (facebook e twitter). Del resto, spiegava Civati in quei giorni, «il problema è ridare fiducia a questa nuova generazione, quella del web».
Ma alla fine del 2010 i destini dei due rottamatori, si separano. «Due prime donne non possono convivere: chi fa il secondo dell’altro?», si domandano i parlamentari che li conoscono entrambi. Perché dopo la prima Leopolda Matteo Renzi si monta la testa, e prova a scalare i piani della nomenclatura italiana, e non solo. Coinvolge nel nuovo progetto, che adesso si chiama “Big Bang”, chiaro riferimento all’implosione della sinistra italiana, personaggi del calibro dello scrittore Edoardo Nesi, oppure l’allora manager di Mtv Antonio Campo Dell’Orto. E la lista può continuare perché alla Leopolda del 2011 partecipano anche l’ex direttore di Canale 5 Giorgio Gori, ed economisti come Luigi Zingales che danno un’impronta liberista alla kermesse. Per curiosità si avvicinano al mondo del primo cittadino di Firenze i discepoli di Walter Veltroni, e imprenditori come Oscar Farinetti. Ormai Renzi è una vera star della politica italiana. E più la nomenclatura lo attacca, più il primo cittadino conquista il popolo. Civati resta a guardare, e insieme alla giovane europarlamentare Debora Serracchiani tiene una due giorni bolognese dal titolo “il nostro tempo”. Dalla quale uscirà un Pd che chiede «una lotta feroce alla corruzione», «un Pd che non ha paura della patrimoniale e dell’Ici sulla prima casa, ma anche «un Pd che farà le alleanze sulla base di un programma condiviso con la società civile».
Ormai i due mondi sono distanti anni luce. “Matteo” guarda alla finanza e ai poteri forti, incontra Flavio Briatore, partecipa alla trasmissione di Maria De Filippi, e ambisce alla segreteria del Pd per salire a Palazzo Chigi. “Pippo” è più sobrio anche se narciso forse anche più di Matteo, non è cambiato una virgola dal 2009, veste sempre alla stessa maniera – camicia, maglione, giacca e jeans – frequenta le “sezioni” del Pd, vuole ripartire dall’alleanza con SeL, e se deve andare in tv frequenta i salotti tipici gauchiste (da Linea notte a Michele Santoro). Il primo ha una corrente che riunisce settimanalmente, e un drappello di parlamentari che fanno sentire il peso specifico del renzismo nei palazzi del potere, il secondo non ha una corrente, occupa lo spazio sinistro del Pd e dialoga con il M5s.
Eppure, nonostante le differenze, restiamo convinti che la vera faglia tra Pippo e Matteo stia nel carattere di entrambi. Il divorzio ha più a che fare con la psicologia che con la politica. Da due posizioni differenti, uno da destra, e l’altro da sinistra, ma sempre da dentro il Pd, lanciano un messaggio di innovazione che potrebbe salvare il Pd e la sinistra italiana e che non va disperso e frastagliato. Perchè fa solo il gioco della nomenclatura che entrambi vogliono sconfiggere. Per loro è una polizza vederli divisi. Lo si è visto ancora ieri con il litigio tra Civati e Franceschini: Pippo nei fatti chiedendo lo spazio per il dissenso anti Alfano sosteneva la posizione di Matteo contro le grinfie dei generali Pd. E tante altre volte è successo a parti rovesciate.
Invece se il primo cittadino dovesse confermare di partecipare alla corsa per la segreteria, Matteo e Pippo sarebbero avversari. Due avversari che se corressero in ticket, metendo da parte narcisismi e rivalità vacue, si completerebbero ribaltando la minorità in cui versa la generazione degli anni ’70 e in generale la sinistra italiana. Torneranno ad annusarsi? Lo si vedrà nelle prossime ma stando alle recenti posizioni sull’affaire Shalabayeva e sul finanziamento pubblico, non sembra affatto impossibile un secondo patto fra “il Boncompagni e l’Arbore della rottamazione”…
Twitter: @GiuseppeFalci