È il giorno della «tregua armata». O, come si preferisce dire in Transatlantico, della «tregua apparente». Perché i partiti di maggioranza, Pd e Pdl, non si faranno la guerra fino al giorno della sentenza della Cassazione sul processo Mediaset. Semmai si faranno la guerra «al loro interno». Dall’Ufficio di Presidenza del Pdl filtrano parole di Silvio Berlusconi più che distensive nei confronti del governo Letta, «la situazione attuale è tale per cui va sostenuto il governo Letta», avrebbe detto il Cavaliere. Parole “distensive” che fanno ritornare la liaison fra i falchi e le colombe e confinano all’angolo le posizioni più oltranziste come quella di Micaela Biancofiore: «La mia vita è legata a quella di Berlusconi, devo tutto il mio percorso politico a lui e me come tutti gli altri, Se viene confermato ci dimettiamo». Insomma, all’interno del gruppo berlusconiano prevale quella che a Palazzo Grazioli chiamano “linea Coppi”: bocche cucite fino alla sentenza, e tenere il governo al riparo delle polemiche «per il bene degli italiani».
Semmai è dentro il Pd che continua a regnare il caos. «Qui ognuno si alza e scrive una lettera», sbotta a metà pomeriggio un franceschiniano di ferro. Le ferite del post voto sulla sospensione dei lavori restano aperte. «O almeno si vorrebbe far credere così», sottolineano alcuni parlamentari. Il segretario Guglielmo Epifani sarebbe pronto «a tutto». E poco prima di pranzo in Transatlantico si è trattenuto con Nichi Vendola per circa mezz’ora. «In commissione ormai c’è un clima impossibile, così non si può andare avanti», avrebbe detto il segretario al leader di SeL.
Al momento la strategia di Epifani non prevede alcuna mossa. «Aspettiamo il 2 agosto», confida Epifani ai cronisti prima di entrare in Aula. «La discriminante è la sentenza del 30 luglio». «Noi siamo abituati a tutti: siamo stati all’opposizione per anni, abbiamo perso quando sembrava che potessimo vincere… Insomma, aspettiamo». Ma dopo quella data tutto è possibile anche «un governo con SeL, i dissidenti del movimento del Cinque Stelle, e con chi ci vuole stare», sussurra un bersaniano a taccuini chiusi. D’altronde il Capo dello Stato non consentirà di tornare al voto con l’attuale legge elettorale, e, secondo una fonte de Linkiesta, «ieri Grillo avrebbe dato rassicurazioni a Napolitano sul cambiamento della legge elettorale». Un segnale che lascia intendere la possibilità di una maggioranza alternativa nell’eventualità di una crisi di governo.
Tuttavia, nel corso della giornata si sono susseguiti diversi incontri per rintuzzare le polemiche di ieri. Roberto Speranza, capogruppo alla Camera dei democratici, ha parlato a lungo con il braccio destro di Renzi, Luca Lotti. Un colloquio «sereno», riferiscono a Linkiesta, che si è svolto nel cortile di Montecitorio. Lotti avrebbe garantito «lealtà» al gruppo del Pd e al governo di Enrico Letta. In cambio, il capogruppo avrebbe assicurato il renziano che il congresso si svolgerà nei tempi previsti, ovvero entro l’anno. Del resto la lettera dei 13 parlamentari renziani, firmata dalla seconda linee del renzismo, che hanno scritto a Guglielmo Epifani e Roberto Speranza chiedendo di intervenire dopo i “veri e propri insulti” che sono volati nel gruppo democratico dopo la vicenda della sospensione dei lavori della Camera, non sarebbe stata concordata con il primo cittadino Firenze. Semmai è «una missiva personale da parte di 13 parlamentari in risposta alle parole forti usate ieri da Matteo Orfini». L’ex rottamatore resta in silenzio, è sempre in collegamento telefonico da Palazzo Vecchio. Sarebbe preoccupato perché «in questo contesto si rimanda di giorno in giorno la commissione congressuale, e il congresso potrebbe slittare al prossimo anno». Rumors confermato anche in Transatlantico da più di un parlamentare: «Si sta drammatizzando la situazione per un altro motivo: impedire a Renzi di scendere in campo…». L’incubo della “ditta” è che si torni a votare in autunno, e a quel punto «le primarie saranno inevitabili. Renzi ci sarà, e Letta?», si domandano.
Per completare il quadro tragicomico del Pd nel bel mezzo del pomeriggio arriva la lettera di 70 senatori all’indirizzo di Guglielmo Epifani. Settanta senatori che vanno dal veltroniano Giorgio Tonini al giovane turco Francesco Verducci, passando per i bersaniani Claudio Martini e Miguel Gotor. «Non facciamoci travolgere dalla, spesso in cattiva fede, disinformazione e da qualche protagonismo interno che fan il gioco di chi vuole deligittimare la politica e il Parlamento. […] Non sosterremo un minuto di più il governo se non pensassimo che possa produrre in tempi certi le scelte di cui il Paese ha bisogno. Ma oggi rivendichiamo che questa è la migliore scelta che si possa fare date le circostanze», recita il comunicato. Tradotto dal politichese: il documento dei 70 critica sì la gestione di ieri del gruppo dirigente, ma blinda il governo evocando “serietà e responsabilità”. E non è un caso che dai microfoni del Tg3 Guglielmo Epifani abbia detto: «Hanno ragione, quello che è successo ieri non è come è stato raccontato dagli organi di stampa. Abbiamo sventato un tentativo di Aventino parlamentare del centrodestra. Hanno chiesto di fare delle riunioni e le hanno fatte, come nel passato. Oggi il Parlamento ha lavorato a pieno ritmo, noi vogliamo difendere il ruolo del Parlamento». E, sopratutto, «far durare più a lungo possibile il governo Letta e allungare i tempi del congresso», è il mantra dei filogovernativi in Transatlantico. E sarà questa la posizione che i filogovernativi porteranno sul tavolo della riunione del gruppo convocata per martedì alle 20.
Twitter: @GiuseppeFalci