Stupri di massa, il volto atroce di Piazza Tahrir

Le proteste continuano in Egitto

IL CAIRO – Una volta al potere, i Fratelli musulmani non hanno mancato di sollevare dubbi e polemiche sul tema della difesa dei diritti delle donne. Lo scorso marzo, per esempio, hanno avvertito che la dichiarazione delle Nazioni Unite per la fine delle violenze contro le donne avrebbe portato alla «completa disintegrazione della società». Non solo, gli islamisti presenti a New York hanno definito la dichiarazione «decadente e distruttiva»: in una parola «contraria all’etica islamica». Non stupisce se attivisti per i diritti umani e delle donne si siano scagliati proprio contro gli islamisti per denunciare le oltre cento violenze e molestie, subite da donne dal 29 giugno al 3 luglio scorso in piazza Tahrir, confermate da Human Rights Watch e Amnesty International.

Le violenze in piazza Tahrir: due interpretazioni. «Centinaia di mani mi strappavano i vestiti di dosso e violavano il mio corpo. Non c’era via di uscita, dicevano di volermi proteggere e salvare, ma sentivo che mi pressavano e violavano. Ero completamente nuda, spinta dalla massa in un vicolo chiuso. Ogni volta che ho provato a chiedere aiuto aumentava la loro violenza», è il racconto straziante di una delle donne stuprate, che preferisce non essere nominata, raccolto dal centro per la difesa dei diritti delle donna Nazra. La ragazza è stata soccorsa dalle unità mediche mobili nei giorni scorsi in piazza Tahrir.

Sul tema delle violenze esistono due spiegazioni completamente divergenti. C’è chi parla di azioni organizzate, perpetrate da movimenti politici con precisi obiettivi per spingere le donne a lasciare la piazza. Altri riferiscono di azioni non coordinate, condotte da orde di molestatori. Azza Kamel, nota attivista, femminista e cooperante non ha dubbi: «Non è una novità. Sono episodi che si ripetono sistematicamente. Soprattutto in contesti caotici come questo, quando la piazza è fuori controllo». Ma l’attivista va ben oltre: «Credo che alcuni gruppi politici organizzati, in particolare Fratelli musulmani e salafiti, agiscano sistematicamente per impaurire le donne in piazza e fermarle. In altre parole, vogliono che le donne smettano di scendere in strada per questo sono pronti anche a fare uso della violenza», aggiunge Kamel.

Per le vie del Cairo, le donne molestate sono diventate protagoniste nei graffiti di giovani artisti egiziani. Le loro urla di aiuto nelle manifestazioni più imponenti è rimasto nella memoria di qualsiasi contestatore. E così, in alcuni di questi, soprattutto su via Mohammed Mahmoud a due passi dall’Università americana, si vede il volto di una donna terrorizzata, circondato da uomini con coltelli insanguinati; in un altro, viene rappresentata una donna in catene; e ancora in un terzo schizzo, si distingue, tra tanti colori, il volto di una ragazza imbavagliato.

Sui metodi usati per molestare le attiviste in piazza, Ziad Abdeltaweb, direttore del Cairo Institute for Human Rights Studies (Cihrs), rivela: «Si tratta di uomini vestiti in borghese, spingono le donne verso posti bui, non vogliono avere nessuno intorno a loro, in alcune circostanze fanno uso di oggetti metallici pesanti che provocano profondi tagli degli organi genitali delle vittime». Ma sulle responsabilità degli islamisti, l’attivista per i diritti è più cauto. «Questo punto è controverso, certo, la risposta ufficiale dei Fratelli musulmani è sempre stata che queste donne non dovrebbero andare in piazza Tahrir per protestare, quindi in qualche modo meritano di essere trattate così. Questa giustificazione è già grave. – prosegue Ziad – Esiste poi una responsabilità della polizia che non agisce per fermare i perpetratori», conclude. Come se non bastasse, l’ex premier, nominato dalla Fratellanza, Hesham Qandil definì le attiviste in piazza Tahrir un «branco di prostitute».

Le responsabilità dell’esercito negli attacchi contro le donne. Tuttavia, solo alcune donne hanno rinunciato a partecipare a manifestazioni di piazza per un senso costante di insicurezza. Era il 9 marzo 2011 quando 17 attiviste vennero arrestate e fu effettuato su di loro un test della verginità. «Non sappiamo se l’attuale comandante supremo delle Forze armate Abdullah Fatah Al-Sisi abbia ordinato in quel caso il test della verginità. Ma quando è stato ufficialmente accusato di questo non lo ha negato. Certo, neppure i militari hanno avuto comportamenti rispettosi dei diritti delle donne e in generale dei diritti umani. Non siamo ottimisti, speriamo che il governo torni subito nelle mani di politici eletti», aggiunge l’attivista del Cihrs.

Nelle manifestazioni di via Qasr al-Aini del novembre 2011 contro il governo di Gamal Al-Ganzouri, una ragazza è stata violentemente colpita dalle forze di sicurezza che sgomberavano un sit-in intorno al Parlamento. E poi i principi vaghi della Costituzione, approvata da una maggioranza di islamisti nel dicembre scorso, hanno contribuito a sollevare la questione delle disuguaglianze tra uomini e donne. Contro le violenze, dallo scorso gennaio, si sono ogranizzati in piazza Tahrir alcuni gruppi di giovani e attivisti della società civile tra cui l’Organizzazione contro le molestie sessuali e Tahrir bodyguards. Questi volontari intervengono cercando di separare le vittime dai violentatori e dare un primo soccorso alle donne. «Decine di volontari si riuniscono in sei o sette gruppi e presidiano vari punti di piazza Tahrir. Ogni gruppo assiste almeno 15 donne al giorno e, in caso fosse necessario, le conduce negli appartamenti dei sostenitori del movimento per ulteriore assistenza», ci spiega Walaa, una delle volontarie del gruppo.

La partecipazione delle donne all’imponente manifestazione che ha determinato la destituzione di Morsi ad una anno dalla sua elezione è stata essenziale per riempire di milioni di persone le strade delle maggiori città egiziane. Contemporaneamente, migliaia di donne islamiste hanno manifestato, con il loro velo, anche a favore di Morsi nel quartiere Medinat Nassr al Cairo. E così, sulla paura per le molestie e le violenze, le donne egiziane fanno prevalere la necessità del riscatto femminile in Medio oriente.

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