E se fosse Berlusconi a pilotare la scissione?

Grandi manovre ad Arcore

È in uno stato di dissimulata incertezza che Silvio Berlusconi ritorna a Roma per affrontare alle diciassette il pianto del suo partito scosso. Ed è in un’aula di Montecitorio che dunque si consumerà stasera il dramma psicologico del Pdl e del suo leader, circondato da deputati e senatori, dal gruppo dirigente ancora tramortito da una decisione, quella della crisi, che molti uomini del Cavaliere sentono essere stata presa sopra le loro teste, a cominciare da Angelino Alfano, il segretario del Pdl, un tempo delfino del Sovrano di Arcore e oggi «diversamente berlusconiano».

E il Cavaliere si trova così in bilico, attorcigliato da troppi fili che gli si agitano intorno. C’è il travaglio doloroso del Pdl che ribolle come una caldaia e non dissimula più l’odio politico, il partito è esulcerato al suo interno tra l’estetica contrapposta di Daniela Santanchè e di Angelino Alfano, e la parola «traditori» viene ormai scagliata come uno sputo schiumoso da un corridoio all’altro del Castello: Giancarlo Galan contro Fabrizio Cicchitto, Denis Verdini contro Gaetano Quagliariello; è saltato ogni vincolo di solidarietà, persino le regole della convivenza civile vacillano.

E intorno al dramma finale del berlusconismo si consuma dunque una danza mortuaria e rapace che al Cavaliere certo non sfugge. Pier Ferdinando Casini e Mario Mauro si sono già immersi nei dedali sotterranei che collegano tra loro i gruppi parlamentari, i due gran democristiani s’avvicinano ai senatori del Pdl, fanno loro domande e avanzano lusinghe, offrono ai parlamentari di Berlusconi un vago odore di salvezza, di stabilità, un nuovo partito, un nuovo gruppo parlamentare nel quale trovare rifugio per dare ancora prospettiva alla legislatura, un Letta bis, chissà, o forse un governo di scopo affidato a Fabrizio Saccomanni. E dunque Berlusconi tentenna, vacilla, soppesa ogni elemento, si allontana seccato, ma poi non può che ritornare all’idea della crisi, della guerra totale, come un topo verso il boccone avvelenato.

Domenica sono intervenuti la famiglia, gli affetti e il portafoglio, Marina, Fedele Confalonieri ed Ennio Doris, la figlia, gli amici e soci di una vita. Nessuno di loro, come gli ascari del Pdl, era stato avvertito dell’accelerazione; e tutti loro sono rimasti interdetti, stupiti, forse non per la decisione in sé – «Silvio va capito, si sta giocando con la sua vita» – ma per la strana meccanica, affrettata e umorale, che ha fatto propendere il Cavaliere verso l’orizzonte della crisi. E dunque stamattina, Marina Berlusconi, che pure non è per la resa, ma piuttosto per la resistenza, ha invitato il padre alla cautela, all’esercizio ponderato della tattica e della furbizia, «le decisioni a nervi tesi sono sempre sbagliate». E a tanti, amici e famigliari del Cavaliere, la decisione della rottura, così improvvisa, è sembrata una sbavatura di viscere, come dice anche Fabrizio Cicchitto, «Santanchè, Ghedini e Verdini lo hanno circondato, irretito, spaventato».

E si racconta che l’onorevole e avvocato, Niccolò Ghedini, a un certo punto, riunito nello studio di Arcore con Verdini e Santanchè, abbia pure mostrato al Cavaliere, come un mago di fronte alla sfera che rivela il futuro, la terribile e teatrale scena dei carabinieri che bussano ad Arcore per prelevare l’illustre inquilino e tradurlo in carcere, con le manette: «Saranno gli stessi carabinieri di Monza, quelli che ti fanno il piantone qui davanti alla Villa».

E dunque c’è pure chi lo spinge a ripensarci, a farsi, come un tempo, concavo o convesso, a seconda dell’opportunità. Confalonieri gli ha prospettato un calo del titolo Mediaset, che in effetti si è realizzato stamane, e così Doris ha rappresentato gli interessi dell’establishment, delle banche, refrattarie come sono a quell’instabilità politica che pure Berlusconi domenica pomeriggio aveva liquidato così: «Il massimo che può fare oggi un governo e quello di non fare troppi danni».

Berlusconi resta dunque Amleto, in bilico, così incerto e pronto a ogni soluzione, che alla fine, stasera, dopo gli incontri, i vertici e la riunione dei gruppi parlamentari, il tramonto romano potrebbe portare via con sé anche l’unità del partito berlusconiano, una scissione tra governisti e crisaioli, il Pdl da una parte e Forza Italia dall’altra, il movimento di Alfano e quello di Verdini-Santanchè. Non pochi, nei corridoi più riparati del Castello adesso suggerisconi che la soluzione piacerebbe, e molto, al Cavaliere. Due partiti distinti, dunque, uno di lotta e uno di governo, ma entrambi con un solo padrone, quel Cavaliere capace di costituzionalizzare così la sua furbizia amletica, la sua sindrome politica bipolare.

Twitter: @SalvatoreMerlo

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