Dal 1883 il Temple Expiatori de la Sagrada Família, l’opera massima ed eternamente in costruzione dell’architetto catalano Antoni Gaudí esercita fascino, mistero e magnetismo. È un miracolo di pietra plasmato da mani esperte che assume leggerezza e sfida la forza di gravità. Da quando Gaudí, 130 anni fa, ereditò la responsabilità dei lavori da de Paula del Villar (che iniziò un anno prima nel 1882), il progetto si sviluppa lentamente, con le tempistiche dei “secula seculorum”. Senza fretta, senza fondi pubblici, ma solo con le donazioni dei fedeli e i biglietti di quei quasi 4 milioni di turisti che ogni anno la visitano. La Sagrada Família è una basilica moderna con velleità da cattedrale, in costruzione in una delle città più dinamiche d’Europa, ma, in passato, anche più anarchiche ed anticlericali. Negli anni bui della Guerra Civile, l’opera rimase in parte danneggiata e nell’incendio molti appunti del progetto originale andarono persi.
Lui, “l’arquitecto de Dios”, alla Sagrada, dedicò tutta la vita, in particolare gli ultimi quattordici anni, vivendo come un eremita nel cantiere: poco cibo, molte letture dei Vangeli, tante preghiere, per poi morire nel 1926, investito da un tram, mentre ammirava una delle sue nascenti torri. Gaudí, scultore e inventore geniale, con qualche ombra per la Chiesa, fu il padre del modernismo catalano, l’architetto di meraviglie, “dalle forme impossibili” e patrimonio dell’umanità Unesco, come Parc Güell e le case Milà, Batlló e Vicens, tutte a Barcellona. La morte lo costrinse a lasciare in eredità il suo onirico progetto a una lunga serie di artisti, scultori e architetti cha da un secolo si tramandano i segreti. E poco importa se la storia spesso ricorda Gaudí come un ubriacone paranoico. In verità, era un artista ossessionato dalla perfezione, più che esigente con i suoi collaboratori, uno Steve Jobs ante litteram con lo stesso ingombrante genio e molti nemici.
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Della sua opera diceva che l’avrebbe completata in «massimo dieci anni», grazie alle offerte dei fedeli. Tuttavia ciò che l’artista catalano aveva in mente era una complessa sfida alla materia, alla pietra e alla ragione. Stravolse il progetto originale di una piccola basilica di campagna che, su incarico del libraio Bocabella e con l’ispirazione del sacerdote Manyanet i Vives, doveva essere l’umile tempio dei poveri, in cui promuovere il culto della sacra famiglia.
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Dal 1978 l’architetto e scultore giapponese Etsuro Sotoo (1953) ha ereditato la direzione dei lavori e coordina un vivace team di giovani scultori. L’opera, si mormora, dovrebbe raggiungere la sua completezza nel 2032, a 150 anni esatti dalla posa della prima pietra. «Nessuno può dire che la cattedrale non è finita o quando lo sarà – spiega Sotoo a Linkiesta – Noi dobbiamo solo lavorare, perché il tempo è tutto nelle mani di Dio». E nel cantiere sembra che nessuno abbia fretta di terminare un’avventura così unica. «Se si misura il tempo senza amore si sbaglia sempre, e noi uomini non sappiamo misurare. La bellezza, la verità non è l’opera finita ma il lavoro continuo, pieno di vitalità. Questo è il miracolo della Sagrada Família. Gaudí diceva che “un dono non ha nessuna fretta”». Questo è il pensiero di Sotoo che negli ultimi 30 anni, convertendosi al cattolicesimo, si è dedicato con passione alla facciata moderna della Natività, forgiando i quindici enormi angeli, dopo essere entrato nel cantiere come semplice picapiedra, scalpellista. Ora Sotoo, guarda ogni mattina la luce limpida del Mediterraneo, guarda le forme della natura, guarda nella stessa direzione di Gaudí. «Perché la luce è un elemento fondamentale e la migliore luce nasce qui nel Mediterraneo, la culla della civiltà».
Il gigante che dovrebbe raggiungere le 18 torri (al momento edificate 14) del progetto originale, alte 115 metri e dal peso di oltre 22 mila tonnellate è il frutto di un lavoro collettivo, in cui nessuno è alla ricerca di fama o di ricchezza. «Il cantiere è un luogo pieno di armonia dove i giovani che vi lavorano sono molto fortunati e motivati nellìaprendere i segreti del mestiere. Prima di me c’era una brutta nomea per la lentezza, ora abbiamo dimostrato che il tempo è con noi, perché come fece con Gaudí, è la Sagrada Família che ci costruisce e ci rende migliori».
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E i lavori proseguono. Senza una licenza edilizia per quel capolavoro incompiuto. Le autorità, infatti, nel 1883 si dimenticarono di rispondere a Gaudí che aveva richiesto il permesso. Nel 2010, durante una sua visita in Spagna, Papa Benedetto XVI consacrò la Sagrada Família come “basilica minore”. Ma nessuno delle autorità di Barcellona regolarizzò la sua posizione catastale. Negli anni Novanta il leggendario sindaco socialista Pasqual Maragall dichiarò: «Trattandosi di un’opera eccezionale, la sua autorizzazione segue percorsi diversi dai normali edifici», e si guardò bene dal condonare il tutto. Nel frattempo, lei, “La Grande Incompiuta (e Abusiva)” continua a crescere verso il cielo, stretta dai numerosi condomini del quartiere Eixample che l’hanno circondata nel corso dei decenni. Cresce sula scia del “silenzio-assenso amministrativo”, guglia dopo guglia, risucchiata dal cielo.