Aggiornamento 23 settembre – La Bce è pronta a utilizzare «qualsiasi strumento» per garantire i livelli di liquidità delle banche europee, compreso un nuovo prestito del programma Ltro. Lo ha detto Mario Draghi, presidente della Bce, nel suo intervento alla Commissione Affari economici e monetari del Parlamento Europeo. Riproponiamo l’analisi del 13 settembre di Fabrizio Goria che anticipava l’uso di un nuovo Ltro.
Un anno fa Mario Draghi ha utilizzato uno stratagemma per salvare l’euro. Con la scusa della rottura del meccanismo di trasmissione della politica monetaria all’interno dell’area euro, ha permesso alla Banca centrale europea (Bce) di lanciare le Outright monetary transaction (Omt), tranquillizzando gli investitori internazionali. Il rischio maggiore era quello della convertibilità dell’euro. Traduzione: gli operatori avevano paura che qualche nazione uscisse dalla moneta unica. Ora che questo rischio è stato mitigato, c’è un problema forse più grave nel lungo periodo. Nonostante la grande mole di liquidità presente sui mercati finanziari, le imprese restano ancora a secco. E la frammentazione dell’eurozona rimane elevata. Tutti fattori che possono minare le fondamenta di una ripresa ancora debole.
Il bollettino della Bce, pubblicato ieri, apre qualche spiraglio all’ottimismo, ma rimarca che la strada è ancora in salita. Come ha ribadito Draghi, «iniziano a vedersi i frutti della ripresa, ma sono ancora acerbi». Una frase che testimonia la fragilità del miglioramento dell’attività economica all’interno dell’eurozona, troppo subordinata alla domanda esterna piuttosto che a quella interna, che rimane debole per quasi tutta l’area. Con l’inflazione sotto controllo e con il graduale ritorno alla calma sul mercato obbligazionario, l’urgenza è quella di riaprire i rubinetti del credito. «I flussi esteri di capitale continuano a tornare verso l’eurozona, seppure in modo più lento rispetto alla prima parte dell’anno», scrive UBS in una nota. Lo stesso si può dire della riallocazione dei portafogli. Salvo alcune eccezioni, come quella di Citi, è tornato l’appetito sui bond italiani nonostante le tensioni politiche in corso.
I problemi delle banche dell’area euro è che prestano poco denaro alle imprese. Se da un lato la Bce ha messo in piedi un assetto capace di garantire migliori condizioni di finanziamento per le banche, è altrettanto vero che tutto questo non si è tradotto in un aumento dei prestiti verso le società non finanziarie. Colpa delle tensioni fra il cuore e la periferia dell’eurozona, che costringono gli istituti di credito di Spagna e Italia, per esempio, a ridurre i canali di liquidità verso le imprese, dato il più elevato rischio di controparte.
Un anno dopo il grande spavento, nell’eurozona i prestiti viaggiano ancora a velocità discordanti. Hanno avuto una dinamica positiva, su base annua, le erogazioni delle istituzioni finanziarie monetarie verso le famiglie, meno 0,3% sia nel secondo trimestre dell’anno sia in luglio, comunque meglio rispetto al primo trimestre, in cui si segnò un meno 0,4 per cento. Se migliorano le condizioni per le famiglie, peggiorano quelle per le imprese. Come riporta la Bce, i prestiti verso il settore privato sono calati del 2,8%, su base annua. Una contrazione peggiore di quelle registrate nel primo trimestre dell’anno, meno 1,9%, e nel secondo, meno 1,4 per cento. Colpa, sottolinea la Bce, di tutto il clima di incertezza che ancora caratterizza la zona euro.
Sul fronte dei Money market fund (Mmf) qualcosa è migliorato. La liquidità di questi agenti finanziari, specie quelli statunitensi, non è ancora tornata ai livelli del marzo 2011, prima del contagio della crisi su Italia e Spagna. Secondo i calcoli di Fitch, che ogni mese monitora l’andamento degli Mmf statunitensi, in luglio c’è stata la stabilizzazione più significativa. Questo si traduce in una maggiore capacità implicita nell’erogazione di liquidità all’interno dell’eurozona. Una dinamica riconosciuta anche dalla Bce. «I continui afflussi di capitale da investitori non residenti e la riallocazione di fondi dall’estero verso i paesi dell’area sottoposti a tensioni, hanno sostenuto il calo della frammentazione e permesso una notevole riduzione della liquidità in eccesso detenuta presso la banca centrale», dice l’Eurotower. Resta però il problema più grande.
Senza un nuovo intervento sui mercati, le banche della periferia potrebbero non essere in grado di agganciare la ripresa all’orizzonte. Delle due l’una. O la Bce abbasserà ancora il costo del denaro nei prossimi mesi, magari nel primo trimestre 2014, come ipotizzato da Morgan Stanley, o adotterà una nuova politica di allentamento dei requisiti per i rifinanziamenti bancari, come fatto pochi mesi fa in riferimento al settore delle Asset-backed security (Abs). Ma c’è anche la terza via. Si tratta di un nuovo round, dopo quelli a cavallo fra dicembre 2011 e febbraio 2012, di rifinanziamenti a lungo termine, o Long-term refinancing operation (Ltro). Alla conferenza organizzata da Euromoney/ECBC tenuta a Barcellona, l’opinione dominante è stata una sola. Serve un altro Ltro per sostenere le banche della periferia della zona euro. Senza se e senza ma.
La novità è che Francoforte conferma il vaglio anche di questa soluzione. Come spiega a Linkiesta un funzionario dell’Eurotower «un nuovo Ltro potrebbe essere lanciato, nessuna opzione è esclusa. Tutto dipenderà dai dati che arriveranno nei prossimi mesi». In sostanza, continua il monitoraggio sia della liquidità sia delle dinamiche creditizie. Se entro la fine dell’anno non ci saranno i miglioramenti sperati, è possibile che arrivi un terzo Ltro. Con la speranza che abbia gli effetti desiderati.