Vandana Shiva, a caccia di “giardinieri della speranza”

Al Festivaletteratura di Mantova

Hanno gli occhi curiosi e incuriositi, i ragazzi che accolgono chi viene da lontano. E viene da lontano davvero, Vandana, lo capisci dal suo passo non troppo spedito, altrimenti lontano alla fine non ci arrivi. Si accomoda e si lascia scrutare.

Un grosso punto rosso sulla sua fronte, appeso tra un sopracciglio e l’altro, acchiappa le tue pupille e ti vien voglia di toccarlo con il polpastrello, ma per fortuna non osi e tieni il dito in saccoccia. Però le chiedi il significato, di quel punto, sperando di non apparire subito importuno e inopportuno.
Ma no, il suo sorriso ti fa accomodare e ti spiega che quello è il suo terzo occhio: quello che guarda oltre e vede ciò che gli altri due non riescono a sbirciare. È una sorta di occhio dell’anima e qui davvero ho paura di chiedere cosa si vede, da lì.

Un bimbetto in prima fila si tocca la fronte, perplesso, per verificare se ce l’abbia anche lui, quell’occhio così visibile, che non aveva mai visto. Vuoi vedere che è quella, l’arma segreta di mamma e papà, quando ti scoprono a farne una delle tue, convinto di non essere visto?!
A proposito di marachelle, prendo la parola e chiedo a tutti i presenti, grandi e piccini, chi almeno una volta ne abbia fatte di tutti i colori, con il risultato di avere una fitta schiera di mani alzate. Ottimo! Il terzo occhio di Vandana capisce la mia intenzione ed ecco la sua bella descrizione del mondo variopinto. Molto meglio farne di tutti i colori, che di un colore solo. Non c’è colore al mondo che sia brutto, ma senza gli altri qua e là finisce per intristirsi nella noia e tanto vale spegnere la luce. È venuta per quello, dal suo Paese lontano: per schiuderci un mondo vario e diverso da qualsiasi parte lo guardi, come è diversa ogni cosa che facciamo e che siamo.
I ragazzini ascoltano partecipi e per lei è come avere intorno tante piantine da innaffiare, sufficientemente leggere e flessibili per pensare a una piccola foresta da far crescere. E poco importa se ogni tanto qualche albero cade e disturba il silenzio.

Racconta di semi, Vandana, sfogliando con piacere il suo libro, e parlarne è per lei un modo intrigante di continuare a seminare. È semplice ed entusiasta, come se stesse correndo a piedi nudi su un prato, ma non ci impiega molto, il suo sguardo, a farsi aggressivo quando il discorso tocca le multinazionali. Le graffia e le maltratta senza tanti complimenti, anche solo per spiegarci che sono loro a maltrattare il mondo, con meno complimenti ancora.

Quando il discorso vira sul brevetto dei semi di nuova generazione – gli Ogm, per usare una sigla ben nota – non tutti i ragazzi capiscono al volo. Già, il pensiero di impossessarsi di ciò che la natura ci dona da sempre, ha un che di scomodo e vagamente imbarazzante, come se ciò che è di tutti non fosse di nessuno, quindi del primo che se ne appropria…
Anche chi non afferra ogni parola si accorge che il discorso è serio e alla fine alle mani alzate di prima viene voglia di fare un buco nel terreno e piantarci qualcosa, perché è questa la missione di Vandana Shiva, ovunque lei vada: arruolare quelli che chiama giardinieri della speranza, ma già se fossero semplicemente persone consapevoli si sarebbe a metà dell’opera.

Ci si guarda l’un l’altro e si nota ogni minima differenza. E ce ne sono in ogni centimetro di noi, in un’esplosione di biodiversità che mette il buonumore. Vandana, avvolta nel suo sari, tanto diversa da apparire uguale a noi.
Già che c’è ce ne parla, del suo sari: sei iarde di tessuto per ogni occasione, da lasciar filtrare l’aria quando fa caldo o da avvolgere bene al primo freddo, da tenere un po’ largo dopo aver mangiato troppo o da stringere se si è più sottili e snelli. Un sari è per sempre, sorride Vandana, con buona pace dei diamanti. E non ho dubbi che qualche ragazzina presente, una volta a casa, chiederà alla mamma se per caso non abbia in cantina cinque metri e mezzo di stoffa per lei. Un drappo di cotone e anche i semi del cotone – ora lo sai – pare siano di qualcuno.

«Se ho un seme e te lo dono – insiste – alla fine abbiamo due semi». «Il mio piccolo seme – continua – viene dalla pianta che fu di mio padre e il suo da quella del nonno. È sempre stato così». «E anche due semi che sono in tutto uguali alla vista – sorprende – possono dare piante diverse, perché poi dipende dall’acqua, dall’aria, dal terreno…»
Il prossimo piatto di riso lo mangerò con più attenzione, cercando di masticare i chicchi con soavità e gratitudine. E un po’ mi dispiace che Vandana sia vegetariana e non possa gustare il riso con la salamella della bella Mantova che ci accoglie. Sì, lo so, sono buone anche le zucchine e i peperoni ma, credimi, non è proprio la stessa cosa e con questo mi conquisto un suo sorriso.

Se ne tornerà lontano, Vandana, con la speranza che qualcosa germogli nei ragazzi presenti e nei loro genitori, ma se gli sguardi hanno un significato, il suo racconta che spesso accade proprio così.

Twitter: @andreavalente

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