Quella che doveva essere un’arma a disposizione, rischia di essere un boomerang. Per Federal Reserve e Banca centrale europea (Bce) la forward guidance, o indicazione prospettica, doveva servire a placare gli investitori, a prepararli per il futuro. Alla fine il risultato potrebbe essere il contrario. Colpa dei vari ballon d’essai che, da un lato e dall’altro dell’Atlantico, vengono lanciati ormai con cadenza quotidiana. L’ultimo in ordine temporale lo ha lanciato la Bce, per voce di Bloomberg, e riguarda i tassi negativi sui depositi overnight. Ma a forza di dichiarazioni di questo genere, elusive o sfumate, la confusione degli investitori potrebbe portarli all’esasperazione.
Secondo la definizione della Treccani, un ballon d’essai è un «palloncino che si lanciava in aria, prima dell’ascensione d’un pallone aerostatico, per saggiare la direzione del vento». Tradotto nel gergo giornalistico, si tratta della comunicazione di un fatto ancora del tutto in discussione, giusto per saggiare le reazioni dell’opinione pubblica o, in questo caso, dei mercati finanziari. Ed è proprio questo ciò che stanno facendo sia Fed sia Bce. La banca centrale americana ha iniziato a farlo sistematicamente da maggio, quando il presidente Ben Bernanke ha dettato la linea affermando che le misure straordinarie di liquidità sarebbe state gradualmente ritirare a partire dalla fine dell’anno. Apriti cielo. Con il Quantitative Easing (QE), la Fed acquista ogni mese 85 miliardi di dollari di asset (45 miliardi di Treasury, 40 miliardi di Mortgage-backed security) in modo da sostenere l’economia americana. È chiaro perfino all’operatore finanziario meno prezzolato che questa mole di liquidità sarà ritirata, prima o poi. Il dilemma è capire quando e in che misura. Prima, anche grazie alle dichiarazioni dei vari presidenti dei distretti della Fed, si pensava a settembre. Niente da fare. Poi ottobre. Manco per idea. E via via, l’appuntamento del tapering, dell’assottigliamento del QE, si è spostato sempre più in la. Dicembre sarà la volta buona? Forse, dati i verbali dell’ultima riunione del Federal open market committee (Fomc), il braccio armato della Fed. Ma se così non fosse? Il rischio di portare gli investitori in una direzione opposta a quella sperata è elevato.
Per ora gli operatori sono fatalisti sulla Fed. Sanno che sta arrivando un nuovo presidente, Janet Yellen, che avvierà l’exit strategy solo dopo un adeguato monitoraggio dei dati macroeconomici. L’obiettivo è l’inizio del ritiro solo una volta che il tasso di disoccupazione sarà sceso sotto il 7 per cento. Il tutto per evitare shock e rallentare la ripresa interna. Ma fino a quando potranno esserci comunicazioni vaghe e lacunose? Secondo Jim Rogers, decano di Wall Street, non per molto ancora. «Se non ci fossero indicazioni chiare entro i prossimi due mesi, è facile che diversi operatori decidano di fare da sé, spostando liquidità dagli Usa ad altrove», ha detto Rogers. Del resto, con Dow Jones e Standard & Poor’s 500, i due principali listini di Wall Street, ai massimi storici è facile decidere di chiudere una posizione e spostarsi altrove per cercare di rincorrere maggiori profitti da una mercato in ascesa.
Poi c’è la Bce. Dal punto di vista della forward guidance, è l’incertezza allo stato puro. Basti pensare all’ultimo taglio dei tassi d’interesse, di riferimento e per le Marginal lending facility. Solo una ridottissima percentuale di analisti lo aveva previsto. Allo stesso tempo, negli ultimi giorni si sta osservando un rilevante incremento delle dichiarazioni. Oltre a quella sui depositi negativi, c’è stata quella di Vítor Constâncio, il vicepresidente della Bce che ha detto, pochi giorni fa, che l’Eurotower non esclude l’attivazione di un QE. Lo scetticismo è stato il sentimento più comune fra gli investitori, specie considerando tutti i limiti che ha il mandato dell’istituzione monetaria europea. Sulla stessa linea d’onda è Peter Praet. Il capoeconomista della Bce la settimana scorsa ha apertamente parlato della possibile adozione di «misure non convenzionali». Il fine è quello di stabilizzare l’economia della zona euro, nella quale la periferia sta rischiando di sperimentare una deflazione che potrebbe far più danni della recessione dalla quale si sta lentamente uscendo.
Il timore più grande, a forza di ballon d’essai, è che gli investitori voltino le spalle sia a Bce sia alla Fed. Se i ballon d’essai sono troppi, e troppo divergenti fra di loro, il risultato è una confusione di fondo che gli farà propendere per altre scelte di portafoglio. Uno scenario che può essere mitigato dalla Fed, in virtù del QE già a pieno regime, ma che potrebbe colpire in modo significativo la Bce, che ha meno armi a disposizione. L’incertezza comunicativa potrebbe essere cruciale e minare i fondamentali dell’eurozona. Ancora oggi, il numero uno della Bce Mario Draghi ha spiegato, al convegno Süddeutsche Zeitung Führungstreffen Wirtschaft 2013, che l’economia della zona euro è ancora debole. In altre parole, via libera alla discussione su come sostenerla, anche attraverso misure straordinarie in un regime di politica monetaria che da anomalo è diventato la nuova normalità. Via libera quindi a nuovi ballon d’essai. Almeno fino a quando i mercati finanziari non perderanno la pazienza.