Questa volta a Ginevra c’è una novità senza precedenti. I colloqui tra le potenze occidentali del 5+1 (membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite più la Germania) e Iran per discutere del programma nucleare iraniano si sono aperti questa mattina nella cittadina svizzera. La novità non è data tanto dalle dichiarazioni della vigilia rilasciate dal ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, che ha parlato di possibile soluzione «in sette giorni» di una crisi che va avanti dal 2003 (aggiungendo però anche che si tratta di «colloqui molto difficili»). E non è nemmeno data dalle dichiarazioni di risposta degli Stati Uniti, che a Zarif hanno fatto sapere di essere pronti a un «alleggerimento» delle sanzioni (non la loro cancellazione) se l’Iran dimostrasse di voler «fermare il programma nucleare».
La novità è questa. Seppure in via informale, lo scorso fine settimana, nella cornice di un castello francese, si sono incontrati rappresentati di Stati Uniti, Israele e Cina. Jean-Christophe von Pfetten, uomo d’affari francese presente all’incontro, ha sottolineato la novità di un «ruolo cinese proattivo» per la soluzione della crisi. Von Pfetten ha anche rivelato la partecipazione dell’ex ufficiale israeliano Doron Avital, inviato dal ministro della Difesa di Tel Aviv, per colloqui diretti con i negoziatori iraniani. Il Financial Times ha poi aggiunto che ai colloqui ha preso parte anche Huang Baifu, generale cinese in pensione e vice presidente dell’Istituto cinese per gli Studi strategici. Di cosa si sia parlato, nel castello francese, lo ha svelato lo stesso von Pfetten. I colloqui si sono concentrati sul tipo di controlli che l’Iran dovrebbe permettere per rendere inequivocabile agli occhi del governo israeliano, l’intenzione di non proseguire nell’arricchimento dell’uranio.
Vicini a una soluzione? Non proprio. I rappresentanti francesi del Quay d’Orsay si sono mostrati estremamente scettici per una soluzione della crisi. A tuonare per primi contro un alleggerimento delle sanzioni all’Iran sono state le autorità israeliane. In un documento del Gabinetto di sicurezza, Israele dice di non opporsi a un programma nucleare iraniano «pacifico», ma aggiunge anche che «programmi pacifici non richiedono l’arricchimento di uranio o la produzione di plutonio». A calmare gli entusiasmi ci avevano pensato anche gli ultra-conservatori iraniani. Ali Akbar Salehi, ex ministro degli Esteri ha spiegato che la Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei ha l’ultima parola in merito alle nuove iniziative sul programma nucleare. Il quotidiano ultraconservatore Kayhan ha rincarato la dose, scrivendo che: «l’atmosfera di Ginevra non corrisponde alla realtà. L’America non cerca una riconciliazione ma vuole distruggere l’orgoglio e la dignità iraniana».
Il programma nucleare iraniano
La questione del nucleare iraniano sembra infinita e molti negoziatori a Teheran continuano a dichiarare la volontà degli ayatollah di costruire nuovi reattori. La crisi nucleare si è aperta nel 2003, quando il Consiglio nazionale della Resistenza dell’Iran ha denunciato la presenza di siti non segnalati all’Agenzia per l’energia atomica (Aiea) e lo sviluppo di programmi di arricchimento dell’uranio nelle centrali di Natanz, Arak e Saghand. In verità, già lo Shah aveva intenzione di sviluppare un programma che rendesse l’Iran capace di dotarsi della tecnologia adatta per ottenere l’intero ciclo nucleare. E così nel 1968, l’Iran firmò il Trattato di non proliferazione nucleare, ratificato nel 1970. Da allora, furono siglati vari accordi con Germania e Francia per la costruzione di impianti nucleari. Nel 1974 la Siemens iniziò a costruire il sito di Busher I e II, mentre nel 1976 furono avviati impianti per l’arricchimento dell’uranio.
La mappa dei siti nucleari iraniani
Con la Rivoluzione del 1979, i programmi nucleari vennero sospesi. Ma, a metà degli anni Ottanta, Cina e Pakistan accordarono la loro assistenza per fornire tecnologia nucleare all’Iran e formare personale adeguato. Nel 1990, l’Unione Sovietica (Urss) siglò un accordo con Teheran per completare l’impianto di Busher. Da allora numerosi altri siti sono stati attivati, oltre a quelli già citati, nelle province di Yazd e Esfahan.
Dopo le denunce del Consiglio nazionale della Resistenza dell’Iran, nel giugno del 2003, sono arrivate le prime ispezioni dell’Aiea nella centrale di Natanz. È stata riscontrata la presenza di uranio arricchito. La questione non è stata subito demandata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, il che avrebbe comportato sanzioni economiche per l’Iran. Sono però state presentate alle autorità iraniane le critiche ufficiali dell’Aiea, le accuse di perseguire un programma nucleare clandestino da 18 anni, la richiesta di sospensione dell’arricchimento dell’uranio e di aderire al Protocollo aggiuntivo del Trattato di non Proliferazione (che richiede ispezioni esaustive e la diffusione delle informazioni inerenti i programmi nucleari dei Paesi che vi aderiscono).
Già nell’ottobre del 2003, i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Gran Bretagna si sono recati a Teheran per tentare di risolvere il contenzioso. Le autorità iraniane si dissero impegnate in progetti per l’uso civile delle tecnologie nucleari, pronte a sospendere l’arricchimento dell’uranio e a collaborare con l’Aiea. I paesi europei intervenuti promettevano, in cambio della cessazione dei programmi nucleari, ingenti aiuti tecnologici all’Iran nel settore del nucleare civile. Nel 2004 l’Aiea ha effettuato vari sopralluoghi in impianti nucleari iraniani ma la questione dell’arricchimento dell’uranio e altri programmi volti all’ottenimento del ciclo nucleare completo sono ancora aperte.
Numerose sono state le minacce iraniane di ridurre la cooperazione con l’Aiea e di riprendere l’arricchimento dell’uranio. Nel novembre del 2004, Hassan Rohani, allora responsabile del programma nucleare iraniano e capo dei negoziatori, ha affermato la disponibilità iraniana a sospendere provvisoriamente la conversione e l’arricchimento dell’uranio, nonché la produzione di componenti per centrifughe. L’accordo appariva, però, molto fragile e con poche garanzie. La sospensione temporanea, in attesa di un accordo definitivo, rivelava una diffusa ambiguità della posizione iraniana e gli ampi margini ancora disponibili per la trattativa.
L’insistenza della posizione iraniana ha chiarito per anni l’uso sostanzialmente propagandistico che la leadership rivoluzionaria voleva conferire al tema nucleare. Tuttavia, la necessità di proseguire nelle attività di arricchimento veniva affermata dall’intero spettro politico, gli unici distinguo tra riformisti e conservatori hanno riguardato lo sforzo necessario per l’alleggerimento delle sanzioni internazionali.
Le sanzioni all’Iran colpiscono direttamente la popolazione. Prevedono restrizioni anche per i leader iraniani: dal divieto di espatrio per gli scienziati nucleari di Teheran ai limiti al commercio di beni che possono essere utilizzati per fini militari. Nel 2010, il Consiglio di sicurezza ha anche adottato alcune sanzioni contro i pasdaran, sospettati di avere un ruolo chiave nel programma nucleare. Inoltre, l’Unione europea ha bloccato l’import e l’export di armi, di tecnologia che può essere usata a fini militari o nucleari e di telecomunicazioni. Ha poi bandito ogni forma di finanziamento al settore petrolifero, del gas e ha messo sotto stretta osservazione le transazioni finanziarie da e verso l’Iran.
Nel 2013 l’Aiea ha denunciato l’incremento della capacità di arricchire l’uranio dopo l’installazione di centinaia di nuove centrifughe nella centrale di Natanz. E così, i cinque componenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite insieme alla Germania hanno chiesto alle autorità iraniane di sospendere al 20% l’arricchimento dell’uranio e di spedire le riserve all’estero. Tuttavia, prima dell’elezione di Hassan Rohani a presidente della Repubblica iraniana, Washington ha inserito altre 20 aziende (incluse industrie energetiche e navali) e personalità politiche (incluso l’ex vice-ministro alla difesa Reza Mozaffarina) nella lista nera delle sanzioni all’Iran.
Nel precedente vertice sul nucleare, svoltosi il 5 e 6 aprile 2013 in Kazakistan, i Paesi del 5+1 hanno presentato a Teheran una nuova offerta che comprende un alleggerimento delle sanzioni in vigore contro il Paese, in particolare nel settore bancario e petrolchimico. Restano valide le condizioni già poste a Baghdad nel 2012: «sospensione» dell’arricchimento dell’uranio al 20%, chiusura del sito nucleare di Fordo. Mentre le autorità iraniane hanno più volte insistito sul fatto che l’uranio arricchito al 20 per cento serve ad alimentare il reattore di ricerca di Teheran, che produce radio-isotopi ad uso medico.
La svolta di Rohani?
Che Hassan Rohani voglia raggiungere un accordo lo dimostrano anche le parole conciliatorie della leadership riformista. Lo stesso ex presidente Khatami ha chiesto ai suoi sostenitori di pazientare. Ma i segnali di una possibile distensione internazionale e in politica interna sono contrastanti. Da una parte, il consiglio comunale di Teheran ha chiesto la rimozione dei manifesti anti-americani. Mentre sono state cancellate varie conferenze «anti-israeliane» a Teheran Tuttavia, il 4 novembre scorso si è svolta una marcia in varie città iraniane con il grido di «Morte all’America», in occasione della commemorazione dei 34 anni dalla presa degli ostaggi all’interno della rappresentanza diplomatica di Washington a Teheran.
D’altra parte, è di 16 il numero di ribelli impiccati la scorsa settimana nella regione sud orientale dell’Iran, il Sistan e Baluchistan. Secondo la stampa filo-governativa, si è trattato di una ritorsione avvenuta in seguito alla morte di 14 guardie doganali e al ferimento di altre forze di sicurezza. Anche l’avvocato generale del capoluogo Zahedan, centro noto per il traffico di oppio proveniente dall’Afghanistan, ha assicurato che l’esecuzione ha coinvolto ribelli «legati a gruppi ostili al regime».
Come se non bastasse, nonostante le aperture promesse, figure riformiste continuano a essere detenute. La figlia del politico Hossein Mussavi ha denunciato di essere stata picchiata da una poliziotta al termine della sua visita al padre, agli arresti domiciliari dal 2011. La testimonianza di Nargess Mussavi è apparsa sul sito del movimento di opposizione Kaleme. D’altra parte, dopo quasi quattro anni in prigione, il leader del movimento studentesco iraniano, Majid Tavakoli, ha ricevuto il permesso temporaneo di lasciare il carcere per quattro giorni. Tavakoli era finito in prigione nel dicembre 2009, nelle proteste contro la rielezione dell’allora presidente Mahmoud Ahmadinejad. Laureando in costruzione navale, era stato arrestato durante la giornata nazionale dello studente dopo un discorso alla Facoltà di Tecnologia dell’Università Amirkabir di Teheran. Tavakoli è stato condannato a otto anni e mezzo di reclusione che sconta nel carcere di Karaj, nel nord dell’Iran, con l’accusa di aver attentato alla sicurezza nazionale e insultato la Guida suprema, Ali Khamenei.
Una soluzione del contenzioso per il programma nucleare iraniano appare ancora lontana ma coinvolge sempre di più la comunità internazionale e definirebbe un ritrovato equilibrio in Medio oriente. Un possibile accordo nasconde tuttavia le divisioni interne alla leadership conservatrice di Teheran sugli effetti di lungo periodo della contrapposizione (o del riavvicinamento) con Washington e delle sanzioni internazionali sull’economia iraniana.
(Nella foto di copertina Catherine Ashton, Alto rappresentanti per gli Affari esteri della Ue incontra il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif)