Caratteristica numero 1: sono bellocci. Capello spettinato, barba incolta, abili spadaccini, amanti eccezionali e quello sguardo un po’ ironico, un po’ dannato, un po’ ribelle. Caratteristica numero 2: sono simpatici. Hanno la battuta sempre pronta, la lingua tagliente e non hanno paura di dire quello che pensano. Caratteristica numero 3: sono leali. In un momento in cui la TV di tutto il mondo ci propina personaggi ambigui e borderline che hanno perso la cognizione di cosa sia bene e cosa sia male, qui non c’è nessun dubbio: loro sono i buoni. Okay, sono pronti a infilarsi nei letti delle donne altrui, non tentennano nemmeno un secondo quando devono usare la spada, non disdegnano le risse da bar, ma poco importa, a spingerli c’è sempre la ragione giusta. BBC rispolvera dal cassetto una delle storie più vecchie e amate di sempre, quella dei 3+1 moschettieri nati dalla penna di Dumas padre e propone un simpatico, divertente, non impeccabile ma assolutamente godibile, remix.
Orfana di Sherlock, la TV inglese punta stavolta su un prodotto in grado di attirare le grandi masse: ritmo, velocità, divertimento e la giusta dosa di sesso e combattimenti, che – si sa – sono gli ingredienti giusti per fare impennare gli ascolti. Se non fosse per quell’umorismo tipicamente british, The Musketeers passerebbe tranquillamente per una serie statunitense: stessa voglia di esagerare, talvolta scivolando nel grottesco, e stessa capacità di intrattenere tipica di molte serie americane. È la prima volta che la storia di Athos, Porthos, Aramis e D’Artagnan arriva sotto forma di serie TV: tra cartoni animati e pellicole al cinema, le rivisitazioni sono state più di una ventina, ma nessuno prima di Adrian Hodges (Primeval, Survivors) aveva mai pensato di raccontare le loro vicende a puntate.
Il primo a cogliere il forte valore visivo del feuilleton di Alexandre Dumas era stato un italiano, Mario Caserini, che aveva introdotto i moschettieri all’interno del cinema muto: era il lontano 1909, 65 anni dopo la pubblicazione del romanzo d’appendice. L’ultimo, in ordine temporale, era stato invece il regista inglese Paul W.S. Anderson che nel 2011 aveva portato sul grande schermo I tre moschettieri, aprendo la trama al 3D. Nel mezzo una serie infinita di esperimenti, perché va detto che a Hollywood la storia sembra essere di moda, dato che qualcuno si sogna di riscriverla (soprattutto ultimamente) in media ogni cinque anni. Da I tre moschettieri di George Sidney nel 1949 al D’Artagnan con il volto di Justin Chambers (sì, lui, quel Alex di Grey’s Anatomy) del 2001; dalla dissacrante e scanzonata opera del 1973 di Richard Lester a La maschera di Ferro con Leonardo di Caprio (1998), senza dimenticare le versioni in chiave cartoon, come il film della Disney con Topolino, Paperino e Pippo con tanto di fioretto (2004) o la versione “in rosa” con la regina della Mattel come protagonista, Barbie e le tre moschettiere (2009).
Cosa c’è da dire, di nuovo, su D’Artagnan e sui moschettieri del re? Cosa hanno ancora da regalare gli scenari parigini della metà del Seicento? Forse niente. Eppure le divise e i cappelli piumati dei protagonisti continuano ad avere un fascino irresistibile e i requisiti per funzionare, almeno sulla carta, ci sono tutti: intrighi di corte, intrallazzi amorosi, questioni politiche e complotti religiosi. A cui si aggiunge la presenza di Peter Capaldi (prossimo Dottore nella famosa serie inglese Doctor Who) nelle vesti dell’arci-nemico per eccellenza, il Cardinal Richelieu. The Musketeers non scriverà una nuova pagina di storia seriale, questo no. Ma può benissimo entrare all’interno di quell’elenco di serie che riscoprono (con maestria e voluti eccessi) il cuore della cultura popolare internazionale.