Il tempo per Matteo Renzi è adesso: vada al governo

Le ragioni per il cambio a Palazzo Chigi

Si può vivere o si può sopravvivere, e Matteo Renzi è uno che vive. È nato mordendo la carne un po’ frolla della sinistra italiana, si è buttato in politica con idee e modi incandescenti: ha strappato coi denti la poltrona di sindaco di Firenze contro la volontà del suo partito, poi ha azzannato quella di segretario del Pd contro la volontà di chi quel partito a Roma lo ha sempre posseduto. E dunque Renzi esiste perché sempre infrange il muro del potere costituito con un elemento forte di novità, con irruenza mocciosa, e anche con molta umoralità personale.

Adesso gli è naturale strappare a morsi anche la presidenza del Consiglio: è l’unico modo che ha per vivere, cioè per essere sé stesso. Ed è vero, gli sarebbe più comodo e forse conveniente aspettare, galleggiare placidamente accanto al corpo inerte di Enrico Letta, pazientare, attendere, macerarsi un po’, ottenere la riforma elettorale, poi le elezioni. Ma Renzi non è Casini, né Letta e nemmeno Berlusconi. Coloro i quali hanno sempre vissuto alla giornata ignorano la temperanza e la lungimiranza, virtù dei ricchi, virtù dei bennati.

Se si fermasse a metà della sua scalata, anche solo per riprendere fiato e riordinare le idee, avvolto da un attimo di pigrizia, dal tepore soddisfatto di un mezzo successo – “sono segretario del Pd, e sarò candidato premier” – Renzi tradirebbe sé stesso, il suo carattere e quella che forse lui sente, nel tono d’un superomismo giovanile, come una missione storica di cui un benevolo destino lo ha investito. E dunque adesso non può che sfidare ancora il potere costituito, ancora una volta: il governo di Letta, il presidente della Repubblica, e persino ciò che rimane nel Pd dei suoi vecchi e agguerriti avversari. L’alternativa sarebbero le sabbie mobili delle piccole e sonnolente intese, e nelle sabbie mobili chi si agita come Renzi affoga.

Solo chi resta fermo, come Letta, rimane a galla e respira. E insomma Renzi è come una slavina, si aggrega e prende velocità per forza d’inerzia. Ha la forza e la determinazione d’un fenomeno naturale. E’ il suo fascino, piace per questo, e per questo vince. Ed è dunque condannato a non fermarsi mai. La sua vita è finora riassumibile in un continuo saltare nei cerchi di fuoco, in una sfida temeraria che gli accende il sangue e lo sguardo. Adesso non può che investire con la sua massa travolgente il governo presieduto dalla sua nemesi torpida, Enrico Letta. A stento sfiorato dal pensiero che il Pd possa dividersi, sordo alle maledizioni di Massimo D’Alema, a meno di quarant’anni questo leader ragazzino ha già deciso da molto tempo d’arrampicarsi o morire.

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