TEHERAN – Lunghe file di iraniani attendono il loro turno per ritirare i beni alimentari messi a disposizione dal governo per cittadini a basso reddito. È questo il primo provvedimento in politica economica voluto dal presidente moderato eletto lo scorso giugno, Hassan Rohani. I tecnocrati vorrebbero in questo modo conquistare gli strati più disagiati della popolazione iraniana, tradizionali sostenitori dell’ex presidente Mahmud Ahmadinejad, bilanciando l’aumento dei prezzi, schizzati alle stelle lo scorso anno, in seguito alle sanzioni internazionali. Sono circa 4 milioni gli iraniani interessati dal provvedimento: le famiglie che dispongono di un reddito inferiore ai 5 milioni di rial al mese (170 dollari), davvero poco in un Paese dove l’inflazione è a due cifre (il 28% quest’anno), sebbene nel mese di gennaio si registri un calo dell’1% rispetto a dicembre.
Il boom di investimenti esteri
Ma i segnali di ripresa per l’economia iraniana sono incoraggianti. Secondo la Banca mondiale, il 2014 segnerà una crescita del Pil in Iran del 1% dopo un anno di recessione (nel 2013 aveva toccato quota -1,3 percento). Non solo, tra il 2015 e il 2016, secondo il ministero del petrolio, l’Iran incrementerà le esportazioni di gas. Le case iraniane sono già ben riscaldate nel freddo inverno di Teheran per i bassi costi delle bollette. Nonostante ciò, è in programma un ulteriore piano di sviluppo degli impianti per l’estrazione di gas Sud Pars, nel Golfo persico, dove si producono già 300 milioni di metri cubici di metano al giorno (l’8% del fabbisogno di gas mondiale). E così, secondo le autorità iraniane, i profitti per l’esportazione di metano triplicheranno, toccando i 10 miliardi di dollari dai 3,5 attuali, già a partire dal prossimo anno.
Eppure la ripresa sarà trainata soprattutto dagli annunciati investimenti esteri. In prima fila ci sono i francesi. Nonostante il ministero degli Esteri d’Oltralpe avesse osteggiato più di ogni altro l’accordo sul nucleare iraniano, i rappresentanti di ben cento imprese francesi, tra cui la compagnia petrolifera Total, il gruppo di telecomunicazioni Orange e automobilistico Renault, sono sbarcati a Teheran per una tre giorni, in vista di nuovi investimenti nei settori industriale, assicurativo, farmaceutico, alimentare ed edilizio. Si parla già di un livello di affari tra Parigi e Teheran pari a 5 miliardi di dollari. In prima fila, sono proprio le aziende automobilistiche Renault e Peugeot.
Gli investitori stranieri nel settore petrolifero attendono invece il prossimo luglio, quando dovrebbero essere cancellati i vecchi contratti di tipo «buy-back», che non permettevano alle società straniere di possedere quote di capitale nei progetti petroliferi nella Repubblica islamica, sostituendoli con nuovi accordi basati sulla formula «win-win», vantaggiosi sia per il governo sia per le compagnie petrolifere, che avrebbero maggiori margini di guadagno. Ma già in vista della conferenza in cui si discuterà del tema, il prossimo 22 febbraio, i giganti del petrolio sono in fila: dall’olandese Shell alla britannica Bp fino all’Eni. Proprio l’Italia, fino al 2011 primo partner commerciale europeo di Teheran insieme alla Germania, per riattivare gli investimenti in Iran, ha avviato negli ultimi mesi una serie continua di missioni politiche e diplomatiche. «Ci piace l’Eni. Abbiamo ricordi molto buoni e ci piacerebbe rivederli di nuovo qui», ha dichiarato il capo del Comitato per riformare i contratti petroliferi, Seyyed Mehdi Hosseini. L’ad dell’Eni, Paolo Scaroni, aveva previsto che il gruppo avrebbe potuto avviare nuove attività in Iran, dopo la revoca delle sanzioni. L’accordo provvisorio – semestrale – per l’allentamento dell’embargo internazionale è entrato in vigore lo scorso 20 gennaio.
Nel bazar di Teheran c’è aria di ripresa
Nel bazar di Teheran quelle che una volta erano delle bancarelle sono diventate dei negozi di lusso. E gli effetti della diminuzione dei prezzi si fanno sentire sui consumi. «In seguito all’accordo di Ginevra, i prezzi stanno scendendo. Eppure anche con i prezzi alle stelle dello scorso anno, la corsa agli acquisti di beni di lusso era frenetica», ci spiega Vahid, venditore di costosi tappeti nel cuore del bazar.
Tuttavia, i prezzi degli affitti e delle automobili non accennano a calare. I tecnocrati controllano ora gli ingenti investimenti in infrastrutture e per la gestione delle risorse idriche a discapito degli ultra-conservatori. Inoltre, le speculazioni edilizie degli ultimi anni hanno generato non poche conseguenze ambientali. È il caso del prosciugamento del lago di Urmia. Il bacino è sparito dopo la costruzione della diga nel villaggio di Chahchai, nel nord del Paese che ha interrotto uno degli ultimi affluenti del lago. E così la città ha perso in pochi mesi il 95 per cento delle proprie risorse idriche: dove la profondità dell’acqua era di poco superiore ai nove metri, ora si vede una piana deserta. Non solo, le acque del Mar Caspio sono ricolme di rifiuti industriali iraniani e russi, mentre la città di Ahwaz, nel sud ovest del Paese, è considerata la più inquinata al mondo, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità.
La crescita solo accennata a Teheran è ben evidente nel Golfo. Imprese edili sono già all’opera nelle isole di Qish e Qeshm. I due paradisi divennero aree di libero scambio nel 1991. Affollate per le festività del nuovo anno persiano, Norooz (che si celebra nel mese di marzo), spiagge, parchi e riserve naturali appaiono ancora semi-deserte. A Qish, la quarta località turistica più frequentata del Medio oriente, ad attrarre gli investimenti in grandi residence e grattacieli sono le diffuse agevolazioni fiscali. Qui le donne vestono hejab informali, molto spesso vengono in vacanza dagli Emirati e da altri Paesi del Golfo, si attardano tra le vetrine dei grandi e lussuosi centri commerciali. Si sente dovunque la musica tradizionale che mischia l’oud arabo al dialetto locale bandari (che deve il nome al capoluogo Bandar Abbas), mentre all’orizzonte si scorgono centinaia di navi mercantili che solcano il Golfo persico.