William S. Burroughs è stato un leggendario scrittore americano, uno dei più importanti rappresentanti della beat generation. Oggi, 5 febbraio 2014, ricorrono i 100 anni dalla nascita e per ricordarlo vale la pena ascoltare ancora una volta quello che aveva da raccontare.
Era il 23 luglio del 1982 e Burroughs teneva alla Naropa University, scuola con cui l’amico e collega Allen Ginsberg collaborava, un workshop con lezione dedicato a un altro amico e collega: Jack Kerouac. Nel parlare di Kerouac e del suo lavoro, però, Burroughs parla anche di altro: di scrittori e scrittura, di letteratura e del mestiere di scrivere.
Quel giorno, la lezione di Burroughs è stata registrata e sia l’audio sia il testo sono archiviati sull’Internet Archive, disponibili liberamente sotto licenza Creative Commons. Abbiamo tradotto i passaggi più interessanti.
Gli scrittori cercano guai
Gli scrittori sono per natura cattive persone. Niente problemi niente storia niente film niente dipinto. Quindi, se non troviamo i guai ce li andiamo a cercare. Oh, non direttamente, capiamoci, ma attraverso il contagio della nostra ambigua esistenza.
Cosa stanno facendo gli scrittori?
Non so se Kerouac sia sia mai chiesto che tipo di scrittura stia portando avanti. È una domanda pericolosa per uno scrittore. Voglio dire, cosa stiamo facendo noi tutti. Facendo veramente. Davvero, cosa? Be’, la risposta è probabilmente troppo terrificante per essere tollerata.
[…]
Cosa fa in realtà uno scrittore? Innanzitutto, in linea di massima, ogni artista – e includo tutti i creativi – cerca di mettere al corrente lo spettatore, il lettore, lo studente di quello che sa e non sa di sapere.
[…]
La gente che viveva sulla costa nel Medioevo sapeva che la terra era tonda – gli altri credevano che fosse piatta. E Galileo è finito nella merda fino al collo dicendo che era rotonda. Lo è comunque. Cezanne mostra alla gente come è fatto un pesce visto da una certa angolazione con una certa luce. Allora non lo capivano, ma adesso anche i bambini capiscono il pesce di Cezanne. Una volta trovata la breccia, si ha un generale incremento del sapere.
La perversione definitiva della scrittura: creare un personaggio
I romanzieri sono impegnati nella perversione definitiva della creazione della vita e la messa in scena di personaggi viventi. Scrivere è abbastanza letteralmente battere un colpo. È un’operazione psichica. È molto utile saper recitare – e ci sono regole di evocazione ben definite – se non usi la giusta evocazione il tuo personaggio non comparirà.
[…]
Credo che sia molto utile recitare la scena che si sta scrivendo – dov’è la porta dalla quale il personaggio è entrato e qual’è quella dalla quale è uscito. Ho provato a scrivere una scena e poi a leggerla a voce alta e dirmi «c’è qualcosa che non va qui, non funziona». Allora l’ho fisicamente messa in scena. Be’, non mi ha sorpreso scoprire che il personaggio entrava da una porta inesistente e vedeva cose che non avrebbe potuto vedere. In altre parole, chiedevo al mio personaggio di fare qualcosa di impossibile.
[…]
Un’altra cosa fondamentale è sicuramente l’immagine – come è fatto il tuo personaggio? Costruisco un identikit, una foto, c’è una foto su una rivista o un giornale che è uguale al personaggio che cerco. Ho usato anche foto in posa.
Bisogna scrivere tante cose brutte per scriverne di belle
Gli scrittori sono esposti a troppi rischie ci sono molte trappole – c’è il blocco dello scrittore quando lo scrittore non riesce a scrivere per niente e c’è un’abilità che può diventare meccanica e del tutto sterile.
[…]
Sinclair Lewis ha detto che se hai scritto qualcosa che credi sia grandiosa e non vedi l’ora di mostrarla a qualcuno, è meglio buttarla via perché è orrenda. Ora, questo è vero molto spesso. Ho provato a scrivere qualcosa che pensavo fosse bellissima e l’ho riletta il giorno dopo e ho ho detto per carità di dio devo distruggerla in tanti piccoli pezzi e buttarla nel cestino di qualcun altro. È terribile. Ed è uno dei deterrenti della scrittura – la quantità di brutte cose che dovete sfornare prima di produrre qualcosa di buono.