L’ex segretario della federazione di Imola del Pci, Giuliano Poletti, al dicastero del Lavoro è stata una delle scelte più sorprendenti del governo Renzi. Chi dal primo premier del centrosinistra di area liberal si aspettava una scelta di rottura su quel dicastero con uomini come Pietro Ichino o Tito Boeri che da anni portano avanti idee meno ortodosse sui provvedimenti da prendere per rilanciare il mercato del lavoro è rimasto deluso. Già d’altra parte il sindaco di Firenze aveva stupito tutti nominando in segreteria come responsabile all’Economia Filippo Taddei che insegna alla Johns Hopkins e che ha lavorato alla preparazione del Jobs act ma che al congresso aveva votato Pippo Civati e che sui temi del lavoro e dell’economia ha idee più a sinistra di Renzi. Ma la scelta di Poletti non è frutto del caso, viene da lontano e risponde comunque ad una precisa strategia che va letta insieme alla scelta di portare al ministero dello Sviluppo economico un’altra emiliana come Federica Guidi, già presidente dei giovani di Confindustria. Poletti viene sì dalla storia del Partito comunista italiano, è stato consigliere provinciale dei Ds, ma è anche uno che rovescia la prospettiva con cui affrontare i problemi del mondo del lavoro: non è un esponente sindacale ma del mondo dell’impresa. Uno che al lavoro ha dedicato la vita intera: classe ‘51, perito agrario e dopo il diploma al lavoro come tecnico agrario prima di intraprendere la carriera di dirigente cooperativo che lo ha portato alla guida della Legacoop nazionale e dell’alleanza delle cooperative italiane.
Verrebbe da chiedersi, parafrasando Di Pietro, che c’azzecca Poletti con Renzi? Un po’ ci azzecca, a giudicare dai movimenti in bassa frequenza che si sono registrati negli ultimi due anni e che hanno portato sempre di più l’ex rottamatore nell’orbita del mondo delle cooperative. All’ultimo congresso il mondo della cooperazione rossa si era schierato compatto con Pierluigi Bersani ma già allora qualche incrinatura si vedeva. Ad esempio è poco noto che proprio Giuliano Poletti fu sondato da Bersani per un seggio blindato nella sua roccaforte, Imola, ma declinò cortesemente l’offerta. «Io ho un lavoro da fare e ho intenzione di continuare a farlo — disse allora Poletti rifiutando l’offerta — e credo che il mio attuale mestiere sia dignitoso almeno quanto quello del parlamentare». Chissà se aveva capito che quello non era il verso giusto?
Poco dopo il sindaco di Firenze sorprese tutti raccontando a La Nazione che le cooperative emiliane erano un modello da seguire a differenza di quelle toscane e poco dopo andò a pranzo con il numero uno di Unipol, Carlo Cimbri. E poi il cerchio si chiuse con il coming out di Poletti su Renzi: «È lui l’uomo giusto». Infine giovedì sera la telefonata inaspettata (fino ad un certo punto) dal sindaco di Firenze. E stavolta Poletti ha dettò sì. Oltre al Lavoro, Poletti avrà anche la delega del Welfare e del Terzo Settore: si muoverà lungo un pensiero economico più tradizionale e forse meno di rottura, ma lo farà dal punto di vista delle imprese, insieme a Federica Guidi. E soprattutto lo farà conoscendo molto bene i nodi da sciogliere, dalla giungla contrattuale, alle agevolazioni per le assunzioni. Se è la volta buona lo diranno i prossimi mesi.