Gli alberghi diurni dimenticati sotto l’asfalto

A Milano parte un progetto di recupero

C’è un’Italia sotterranea che si è persa nel tempo: quella degli Alberghi Diurni, dimenticati sotto l’asfalto delle nostre città. Bagni pubblici, realizzati a partire dagli anni ’10 del secolo scorso per rispondere alla mancanza del bagno in casa e alle esigenze dei primi viaggiatori e pendolari, ma non solo. Luoghi di passaggio, di svago e d’incontro simili agli odierni centri commerciali. Con terme, negozi, biglietterie ferroviarie, costruiti da architetti di fama e decorati con materiali pregiati. Sempre costruiti vicino a stazioni di mezzi pubblici o nelle principali piazze cittadine, giusto qualche metro sotto la superficie.

Luoghi dei quali sono rimaste poche tracce perché inglobati in altri edifici o distrutti per far spazio a garage o linee della metropolitana. Presenti in grandi città come Milano, Roma, Bologna, Napoli, Palermo, ma anche in realtà più piccole come Parma, Pisa, Brescia. «Erano diffusissimi e ne esistevano di vari livelli: alcuni erano perfino decorati con marmi policromi e mosaici in oro», spiega l’architetto Chiara Prosperini, che sulla catena dei dodici Diurni più lussuosi di tutti ha scritto il libro Le città sotterranee di Cleopatro Cobianchi, realizzati a partire dal 1911 dall’imprenditore bolognese su modello di quelli esistenti a Londra. «Anche se bellissimi la loro funzione era prevalentemente igienica e sociale – continua Prosperini – per questo, quando dagli anni Sessanta in poi hanno cominciato a essere utilizzati sempre meno, nessuno ha pensato che valesse la pena preservarne gli arredi o la struttura, che tra l’altro è uno dei pochi esempi di stile liberty in Italia. Sono stati percepiti come passato prossimo, mentre erano già storia».

Una storia di cui esistono ancora tracce: come a Bologna, dove è stata recuperata una delle sale da bagno del primo Diurno Cobianchi, inaugurato nel 1911. Lo spazio, nei sotterranei del Voltone del Podestà, è però di proprietà privata.

A Palermo dei bagni Cobianchi esiste appena la struttura, che si allunga per 80 metri sotto le fondamenta del Teatro Biondo in via Roma.«Il recupero difficile e soprattutto molto costoso – spiega Roberto Giambrone, responsabile dell’ufficio stampa del teatro. «Qualche anno fa abbiamo rischiato di chiudere anche noi – continua- e il “Biondo”, che viene finanziato dagli enti pubblici, non ha i fondi per intervenire, anche se non si è mai abbandonata l’idea». O la speranza che un privato si innamori dello spazio e ne finanzi la ristrutturazione.

La struttura di Pisa, chiusa a causa dell’alluvione del 1966, è stata invece recuperata grazie a due interventi dell’amministrazione comunale nel 2000 e nel 2012. Sono aperti talvolta per mostre e incontri, mentre si pensa a una gara per assegnarli. Nello spazio, le logge di Banchi, sono ancora visibili le stanze docce e vasche, i locali della manicure e il parrucchiere, i rivestimenti e gli arredi originali.

Destino diverso per i bagni Cobianchi di Milano, a due passi dal Duomo in via Silvio Pellico. «Sono stati recuperati gli spazi ma è stata cancellata la memoria storica del luogo», sottolinea Carmela Rozza, assessore ai lavori pubblici del Comune di Milano. Oggetto di una massiccia ristrutturazione tra il 2003 e il 2005, dell’ex Cobianchi è rimasto poco: l’ingresso originario e l’atrio centrale, mentre il resto è stato convertito in moderne salette. Costo dell’operazione: circa 4 milioni di euro. Lo spazio è stato usato come punto informativo della Provincia fino al 2011 e poi chiuso. Adesso, dopo due bandi per l’assegnazione andati deserti, il Comune sarebbe in trattativa con altri soggetti, tra cui l’adiacente Hotel Park Hyatt, ma pensa anche a indire nel mese di marzo un nuovo bando pubblico, con il prezzo ridotto del 10-20 per cento rispetto ai 760mila euro all’anno richiesti in precedenza.

Ma se l’anima del Cobianchi sotto il Duomo è andata persa, la stessa cosa non avverrà per l’altro diurno milanese, quello sotto Piazza Oberdan, di proprietà del Comune e chiuso al pubblico dal 2003. Ne è convinta l’assessore Rozza, che assicura di restituire lo spazio ai cittadini entro fine mandato. L’Albergo Diurno Metropolitano “Venezia”, inaugurato nel 1926 dopo due anni di costruzione, aveva al suo interno bagni pubblici e servizi per la cura del corpo, ma contava anche un’ agenzia di viaggio, un fotografo, una lavanderia, un servizio di dattilografia. La struttura, probabilmente opera del milanese Piero Portaluppi uno dei più importanti architetti degli anni Trenta, dal 2005 ha il vincolo monumentale del ministero dei Beni Culturali.

«È un gioiello che non può andare perduto», continua l’assessore, «per questo stiamo lavorando a un bando per assegnare lo spazio a privati che potranno scontare il costo dei lavori di ristrutturazione dall’affitto, ma siamo in collaborazione anche con il Fai, che si è interessato al Diurno per un possibile restauro». E qualcosa dovrebbe muoversi già entro marzo 2014: il primo passo sarà togliere l’asfalto dai lucernari di vetrocemento, coperti dalla precedente amministrazione.

«Il “Venezia” non sarà pronto prima di Expo 2015», spiega Rozza, ma i milanesi avranno una preview il 22 e 23 marzo, per le giornate di primavera del Fai. Grazie a un accordo con l’amministrazione comunale, lo spazio, ripulito il 9 marzo scorso da 50 volontari, sarà visitabile a tutti dalle 10 alle 17.

«Solo di recente ci si è accorti dell’importanza di queste città nelle città», aggiunge Prosperini, «e spesso troppo tardi. Per questo è importante restituire ai cittadini le poche strutture rimaste in piedi, riutilizzandole in un’ottica contemporanea, e documentare quello che è andato perduto».

Come fa l’artista Daniela Spagna Musso, che dal 2008 mantiene vivo il ricordo dei diurni con “Open the door”, un progetto di public art itinerante che comprende foto e video, in collaborazione con il Comune di Bologna, Gino Gianuizzi e Bernardo Giorgi. Per la mostra, che presto sarà presentato anche a Milano, Musso è partita dal primo Cobianchi, e ha poi continuato le ricerche a Londra e in altre città italiane. «È stato un andare indietro per cercare di guardare avanti», spiega, «per capire come integrare questi luoghi così affascinanti di nuovo nelle realtà cittadine». E i precedenti ci sono eccome. Per chi fosse in cerca di ispirazione, Londra ha già convertito i suoi ex depositi sotterranei in ristoranti di lusso e le gallerie ferroviarie sotto la stazione di Waterloo nella sede di un festival di musica e danza che propone 60 spettacoli in sei settimane. Parigi si propone di fare lo stesso: Nathalie Kosciusko-Morizet, candidata a sindaco dell’Ump (il partito dell’ex presidente Nicolas Sarkozy), ha proposto ai cittadini alcuni progetti di recupero per le stazioni della metropolitana abbandonate che diventerebbero in piscine, ristoranti, discoteche, giardini e teatri. Carenza di spazi certo, ma anche volontà di recuperare luoghi simbolo di una vita alternativa che si è mossa nel ventre delle città. 

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