Da sempre i leghisti sono l’immaginazione al potere. L’America ha Terry Gilliam, e noi abbiamo Salvini, Zaia e Maroni. Dunque adesso hanno “sposato” un plebiscito su Internet, “volete voi il Veneto indipendente?”, e l’altro giorno ci hanno comunicato i sorprendenti risultati: 2 milioni 102 mila 969 veneti voglio assolutamente la secessione dall’Italia. Niente meno. Ed è sin troppo facile ironizzare su questi numeri, che sanno di mega sparata, di super balla, roba da Totò e i gonzi di Fontana di Trevi. Ma tant’è. Secondo la Lega, e secondo l’organizzatore, il signor Gianluca Busato – che spiega d’essere un imprenditore nel campo del software (la sua azienda conta ben un dipendente) – a questo referendum avrebbe partecipato, pensate un po’, quasi un cittadino veneto su due in una regione in cui vivono meno di cinque milioni di persone, compresi i neonati, i minorenni, gli interdetti, i carcerati… E troppo spesso ci capita di pensare che la Lega sia la più straordinaria forma di delirio creativo italiano.
La Spagna conosce Almodovar, noi abbiamo avuto Bossi. Pensate al permesso di soggiorno a punti, alle impronte digitali prese ai bambini rom, ai neri che vanno contati sulla neve perché si vedono meglio, alla banca del Dna, alle ronde, alla carota del federalismo, all’invenzione della Padania che è una specie di Ellade longobarda. Adesso c’è anche il super plebiscito secessionista da oltre due milioni di voti, un’invenzione che supera la pur fantasiosa tradizione dei nostri più grandi magliari, meglio delle oscure parlamentarie di Beppe Grillo per le quali votarono “appena” 28.518 persone in tutta Italia. Ed è un’esplosione quotidiana di trovate, una girandola di pensieri degna di Antonioni, Pirandello e Calvino. E’ fatta così la Lega: intelligenza creativa italiana al servizio delle ossessioni. Non sopportano tutto quello che sta fuori dal centro storico di Vicenza e mette in pericolo ricchezza e identità.
Dunque inventano. E davvero ci sarebbe soltanto da sorridere anche stavolta, se non fosse che in realtà “secessione” e “federalismo”, come “Roma ladrona”, non sono più gli slogan del trionfante vento del nord, che cominciò a spirare all’inizio degli anni Novanta, ma fanno ormai parte del più vieto patrimonio politico nazionale, rimandano a un’idea di sconfitta, di stravecchio, di imbroglio politico. Gli organizzatori del cosiddetto plebiscito adesso esultano: “Inizieremo immediatamente a tessere le relazioni diplomatiche per assicurare l’immediato riconoscimento della Repubblica Veneta da parte della comunità internazionale”. E noi sorridiamo perché queste manifestazioni imbonitorie ci ricordano le urla di Wanna Marchi e le bombe di Maurizio Mosca. Così come i due milioni di voti ci sembrano i miracolosi barattoli dello sciogli pancia o le certezze del calciomercato desunte dalle oscillazioni d’un pendolino. Eppure dietro la commedia leghista c’è sempre la tracimazione di tutti i luoghi comuni del suburbio. Altro che federalismo, altro che Hamilton, Jefferson, Cattaneo e Gioberti…
I vent’anni di potere leghista in Italia hanno portato alla moltiplicazione della spesa pubblica, all’esplosione incontrollata di quella sanitaria, agli scandali della corruzione in Lombardia, al germogliare di autonomie locali meno efficienti dello stato centrale, a riforme scombiccherate: le regioni sono sempre più autonome, ma il sistema istituzionale non è adeguato a rappresentarle. E infatti la migliore secessione d’Italia c’è già stata, ed è quella tra la Lega e i suoi elettori. Il plebiscito è dunque un disperato fumogeno, l’ultima trovata da venditori di tappeti. Le elezioni europee sono alle porte, lo sbarramento è al 4 per cento, e i sondaggi dicono che la Lega non ce la fa.