Chi ha paura dei Google Glass?

Chi ha paura dei Google Glass?

Ieri, per un giorno, Google ha permesso ad un numero limitato di cittadini statunitensi l’acquisto di un paio di Glass, gli “occhiali intelligenti” che Mountain View annunciò all’inizio del 2012 e che ad oggi non sono stati ancora lanciati ufficialmente sul mercato. La compagnia non ha reso noto il numero totale di esemplari venduti online al prezzo di 1500 dollari (1085 euro) più tasse, ma le scorte sono andate esaurite nel giro di pochi minuti.  

Il successo dell’iniziativa, del resto, era facilmente pronosticabile. I Glass sono, almeno sulla carta, tra i device più innovativi del panorama tecnologico odierno: normale ci sia chi non vede l’ora di inforcarne un paio. Finora, solo un ristretto numero di tester era stato in grado di provare nella quotidianità lo strumento sviluppato nei laboratori di Google X; tra questi anche il nostro Quit the Doner, apparso decisamente poco convinto dell’utilità degli occhiali di Big G dopo la “prova su strada” effettuata a Bologna all’inizio di quest’anno. 

Come funzionano, e a cosa servono davvero, i Google Glass? Le possibilità d’utilizzo al momento non sono poi molte: permettono di scattare fotografie e girare video, di consultare le mail o effettuare una ricerca in internet, di restare aggiornati sugli ultimi contenuti pubblicati da Reddit o dal New York Times, di seguire un itinerario su un navigatore GPS. Nulla che non si possa già fare con uno smartphone o un tablet. Cambia, ovviamente, l’interfaccia: il sistema si attiva semplicemente alzando la testa e si guida attraverso istruzioni vocali – a partire dal comando iniziale “Ok Glass”, divenuto ormai parodico – mentre testi e immagini vengono proiettati direttamente sulla lente destra dell’occhiale.

I Glass sono una tecnologia che si indossa, e proprio questo dovrebbe essere il loro punto di forza: hanno la forma e la costituzione di occhiali “normali”, sono disponili con montature alla moda e lenti graduate, senza calcolare che non c’è bisogno di usare le mani per governarli. La loro presenza dovrebbe essere dunque costante ma discreta, quasi invisibile. Invece, fino ad oggi, i Glass hanno dimostrato di attirare molta attenzione, a volte perfino troppa. Chi li ha provati in pubblico, come il nostro Quit, ha percepito gli sguardi stralunati e sospettosi delle persone circostanti, stupite nel vedere qualcuno parlare da solo (un po’ come l’effetto auricolare bluetooth, ma senza la scusa dell’auricolare) e toccare concitatamente la montatura (dove sono situati i bottoni di controllo e scorrimento).

A qualcuno è andata anche peggio. Settimana scorsa, mentre effettuava un servizio per il giornale, a San Francisco un reporter di Business Insider è stato attaccato da una persona che gli ha sottratto e distrutto gli occhiali, prima di fuggire. Un episodio simile era successo a Febbraio, sempre nella città californiana. Sarah Slocum, giornalista esperta di nuove tecnologie, era stata «assalita fisicamente e verbalmente» e «derubata» perché indossava gli occhiali di Google in uno dei bar “alternativi” della città, il Molotov. Secondo alcuni testimoni, la sola presenza dei Glass nel locale avrebbe causato nervosismo e agitazione tra i presenti. La presenza di una “sorveglianza” tecnologica, come ha riportato SFWeekly, avrebbe indispettito gli altri avventori. 

A San Francisco, la forza economica della tecnologia è vista da molti come uno spauracchio, una delle cause principali della gentrificazione che da anni colpisce la città, facendo crescere i prezzi e trasformando interi quartieri. Qui, dove hanno sede Reddit, Twitter, Pinterest e Instagram e dove diparte il più importante centro di sviluppo tecnologico al mondo – la Silicon Valley -, startup e compagnie affermate hanno creato un diffuso malcontento diffuso soprattutto tra gli strati più poveri ed alternativi della popolazione. Fino a qui, il rifiuto di una nuova tecnologia – a maggior ragione, di una così futuristica – può creare disagio. Ma c’è dell’altro.

La paura, a Frisco come altrove, è che la nostra privacy possa essere compromessa. Di fronte ad un occhiale in grado di guardare, filmare, identificare (la face recognition di applicazioni come NameTag è già realtà), cercare nomi e informazioni in internet, la domanda è: esisteranno ancora “estranei”, in un mondo dove occhi biologici e occhi elettronici si sovrapporranno, creando una stratificazione digitale della realtà? Oppure diventeremo tutti “file” schedati all’interno di un grande archivio virtuale? In un certo senso, già lo siamo. Il rischio è che i Glass rendano questo archivio ancora più pubblico, ancora più ampio, ancora più raggiungibile, ancora più penetrante.

Intanto, però, il popolo degli oppositori dei Glass è in forte aumento, come i due casi di San Francisco suggeriscono. Gli occhiali, che le frange di resistenza hanno eletto a simbolo del “male”, incuriosiscono e fanno paura. Forse un giorno ci abitueremo ad indossare ed utilizzare occhiali in grado di ascoltarci e di parlarci, un po’ come nei decenni passati ci siamo abituati ad infilare cuffie nelle orecchie, fissare lo sguardo in uno schermo di vetro, parlare in una scatoletta di plastica. Speriamo solo di avere sviluppato, nel frattempo, i giusti anticorpi. C’è in gioco la nostra privacy, o quel poco che ne resta. 

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