Tutto in una notte. All’alba del 6 aprile la Nigeria ha superato il Sudafrica ed è diventata la prima economia dell’Africa grazie ad un Pil più che raddoppiato e schizzato a 453 miliardi di dollari nel 2012. Il grande balzo è merito del «rebasing», cioè l’aggiornamento dei dati utilizzati per calcolare il Prodotto interno lordo L’ultima revisione era ferma addirittura al 1990 quando nel calcolo della ricchezza nigeriana non venivano conteggiati settori come servizi, telecomunicazione, Internet, real estate. Per non parlare dell’industria cinematografica locale. “Nollywood”, è diventata in pochi anni un punto di riferimento per l’entertainment del Continente nero con un giro di affari che vale oltre 3,7 miliardi di euro. Così quando il National Bureau of statistcs del governo di Abuja ha diffuso le nuove stime sul Pil con riferimento al 2010, automaticamente il Pil nigeriano è cresciuto del 60%, arrivando a 453 miliardi di dollari. Per il 2013 le nuove stime indicano un Pil ancora in crescita a 510 miliardi.
Questo repentino boom non cancella gli enormi problemi del gigante del Continente nero. Secondo Transparency International la Nigeria è al 144esimo posto su 177nella classifica della percezione sulla corruzione locale.
L’instabilità politica e i ribelli islamisti di Boko Haram minano la sicurezza della popolazione. Il sistema infrastrutturale non è abbastanza sviluppato. La crescita dell’economia non ha eliminato forti sperequazioni. Nel 2010, il 61% dei 170 milioni di nigeriani viveva con meno di un dollaro al giorno. Con l’aggiornamento delle statistiche il Pil pro capite è arrivato a 2688 dollari (dal 1555 del 2012 calcolati senza il rebasing), ancora lontano dagli oltre 7500 dell’appena superato Sudafrica.
Nonostante tutte queste problematiche, la Nigeria ha delle immense potenzialità economiche. È il Paese più popoloso dell’Africa. Il Pil è aumentato in media del 7% negli ultimi dieci anni. Passato il tempo dei Bric (Brasile, Russia, India e Cina), la Nigeria appartiene al gruppo dei Mint. Con Messico, Indonesia e Turchia forma un gruppo di economie in rapida espansione. Proprio John O’Neil, l’economista che coniò per Goldman Sachs il termine «Bric», sostiene che la Nigeria (attualmente il più povero dei Mint), sarà anche quello che nei prossimi anni crescerà più rapidamente se saprà realizzare un grande piano infrastrutturale e condurre una battaglia spietata alla corruzione endemica.
Il gigante africano è capace di attrarre enormi flussi di denaro. La Nigeria è il maggior destinatario degli investimenti privati di compagnie americane nell’Africa Sub-sahariana. Anche l’Unione europea ha approvato nel 2009 un piano pluriennale di aiuti a favore della Nigeria. Un gran numero di imprese straniere già operano nel Paese.
A Kano seconda città e hub commerciale del Paese controllata dai ribelli di Boko Haram, stanno sbarcando colossi del commercio al dettaglio come l’americana Wall Mart e le sudafricane Shoprite e Massmart Holdings. Il mercato nigeriano è troppo promettente per essere ignorato, nonostante i problemi di sicurezza e la diffusa instabilità politica. «La ricompensa per il rischio che si corre è la stessa presenza qui», ha detto alla Reuters Mark Turner, Holdings’ Africa Director di Massmart. La Nigeria ha, infatti, un’alta percentuale di individui in età lavorativa rispetto al totale e la crescita economica potrebbe creare una classe media con una buona capacità di consumo.
È vero che il governo sta cercando di attrarre investimenti esteri in altri settori ma sono le immense riserve di petrolio e gas a tenere in piede l’economia locale. Gli idrocarburi assicurano alla casse di Abuja un costante flusso di valute straniere. Nel 2013 la produzione di petrolio si è attestata a 1,9 milioni di barili al giorno. Nel Paese operano i più grandi colossi dell’energia. Tra questi c’è l’Eni. Il Cane a sei zampe punta tantissimo sulla Nigeria (ed è il principale operatore petrolifero Africa).
Ma operare nel gigante dell’Africa Sub-sahariana non è facile. «Eni perde 60mila barili di produzione al giorno per atti criminali» e per questo «stiamo seriamente pensando di abbandonare» il Paese, ha avvertito Paolo Scaroni nel corso di un’audizione in Senato il 3 aprile scorso. «Dovremmo produrre 170mila barili al giorno e ne abbiamo prodotti 110mila», ha detto l’amministratore delegato .«Ci sono criminali che perforano le nostre tubazioni, prelevano il greggio lo raffinano prendendo la parte leggera, vendono la benzina e buttano in mare tutto il resto. Noi siamo costretti a chiudere le tubature».
Scaroni ha avvertito che «si tratta di un tema criminale in un Paese in cui tutti sono armati tranne noi che non possiamo avere neanche le guardie armate». Il bunkering, la pratica di rubare petrolio dalle pipeline di trasporto, ha creato grossi problemi ad altra major del petrolio che operano in Nigeria. La scarsa sicurezza delle operazioni petrolifere aveva spinto anche la francese Total a considerare l’idea di lasciare il Paese.
Fotografie di Afp/Stringer; Pius Utomi Ekpei/ Stringer (Getty Images);