L’estate arriva spesso che l’estate è già arrivata da un po’, perché gli astronomi sono tipi precisi e puntuali, mentre i meteorologi vivono più alla giornata: se piove prendono l’ombrello e se c’è il sole preferiscono l’ombrellone. Ma il 21 di giugno sono tutti d’accordo ed è estate per gli uni, per gli altri e anche per noi. È il giorno più lungo dell’anno, quando al Polo Nord il sole non tramonta per nulla e anche sulla spiaggia, dopo il tramonto, la notte è piccola così.
IL MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA
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È un sogno che capita a ognuno di noi almeno una notte nella vita, di trovarsi naufraghi su un’isola deserta. Robinson quel sogno lo aveva realizzato, come capita all’astronauta che da bambino voleva toccare la luna o al calciatore che sognava di giocare al Maracanà.
Non si chiamava Robinson davvero, Robinson, che sarebbe stata troppo una coincidenza o probabilmente ci sarebbe stato sotto qualcosa, ma dal giorno del naufragio sì. Meglio di Attilio, Tommaso o Filippo, uno dei quali doveva essere il suo vero nome, di quando abitava in città.
Era sulla spiaggia in mezzo a qualche oceano: il sole alto in un cielo terso, la sabbia bianca e calda, una palma sotto cui trovare riparo e il nulla assoluto all’orizzonte. Un po’ come succede nei film. Robinson rimase del tempo sdraiato a lasciarsi asciugare e il rumore delle onde ne cullava i pensieri, al punto che quasi si addormentava.
Di scatto si alzò in piedi. Non era il caso di perder tempo: non capita tutti i giorni di trovarsi soli su un’isola deserta: se poi ti trovano e ti vengono a salvare finisce tutto sul più bello. Tempo per dormire ne avrebbe avuto più in là.
Fu così che Robinson cominciò la sua avventurosa vita di naufrago solitario. Risalì il ruscello, per individuare la fonte di acqua dolce. In quei paraggi costruì una capanna a due metri da terra, intrecciando dei legni con i rami di un albero. Si nutriva con frutta, erbe varie e pesce: gli unici cibi alla sua portata, che avrebbero fatto la gioia di qualsiasi dietista nel mondo civilizzato.
Ogni tanto tornava sulla spiaggia a cercare dei brandelli della nave affondata, restituiti dagli abissi del mare. Soprattutto dopo qualche tempesta il bottino era ricco, con stoffe o vele strappate, pezzi di cima, remi, persino un cappello a cilindro che faceva molto Ottocento. Nessun forziere pieno di monete d’oro, peccato, ma è anche vero che sull’isola non c’era una banca dove depositare il malloppo.
Un mattino, di buonora, dopo una notte temporalesca, le onde adagiarono sotto la palma una piccola scatola in legno. Robinson la raccolse incuriosito, la spolverò dalla sabbia, quindi si sedette e, con una certa emozione, la socchiuse. Dentro c’era una matita, qualche foglio di carta, che fu subito appeso ad asciugare, una bottiglia di vetro e un tappo di sughero.
Avrebbe potuto cominciare a scrivere un diario, ma ormai la cognizione del tempo era una cosa astratta e non aveva idea se fosse venerdì o domenica, marzo o maggio, l’altroieri o il millesettecentodiciannove.
Avrebbe potuto scrivere una raccolta di favole o racconti, ma poi vallo a trovare un editore, naufrago pure lui, o una libreria. E comunque il rischio di inciampare nel congiuntivo lo fece desistere alla prima sillaba.
Sfilò però uno dei fogli e, in grande, scrisse due parole con la matita nera: SONO QUI.
Arrotolò con cura il manoscritto, lo infilò nella bottiglia, che tappò con il pezzo di sughero. Quindi scalò lo scoglio più alto e da lassù, a una decina di metri dall’acqua, lanciò il suo messaggio al mondo, così, per vedere l’effetto che fa.
La bottiglia galleggiò verso il largo, fino al punto che Robinson la perse di vista. Chissà…
Onda su onda, seguendo le correnti, un giorno la bottiglia terminò il proprio viaggio sulla spiaggia di un’altra isola, anch’essa in mezzo a qualche oceano, ma senza Robinson a raccoglierla. Era da poco terminata una tempesta e, con lei, avevano toccato terra conchiglie di ogni tipo, la giacca inzuppata di un marinaio, un arpione e vari altri gingilli più o meno insoliti.
Quel mattino sulla spiaggia passò anche Amelia, naufraga da chissà quando, che ogni tanto si divertiva a giocare con le proprie impronte nella sabbia fresca.
Subito fu attratta dal luccichio del vetro. Raccolse la bottiglia non senza una certa emozione, la stappò, ne estrasse il foglio grazie alle sue dita affusolate, lo srotolò e lesse il messaggio.
Forse avrebbe preferito qualche pagina di un diario, per sentirsi un po’ meno sola, oppure una favola o un racconto, per sognare di essere altrove, ma tutto sommato anche quelle due semplici parole la fecero sentire ancora parte di un mondo abitato.
Corse nella capanna, tra i banani, e con un pezzetto di carbone aggiunse al messaggio anche le sue due parole: ANCH’IO!
Quindi arrotolò il foglio con attenzione, lo infilò nuovamente nella bottiglia, che tappò. Poi si arrampicò su una palma, su fino alle noci di cocco e da lì lanciò il messaggio nel mare con tutta la forza che aveva. E già che c’era raccolse anche qualche noce, di cui andava ghiotta.
Fu un’estate a dir poco indimenticabile, quella del Sessantanove, cantata anche da Brian Adams a tempo di rock. La notte tra il 20 e il 21 luglio eccoti Neil Armstrong a muovere il primo emozionante passo sulla Luna, con tutti quaggiù, con il naso all’insù. E come se non bastasse, meno di un mese dopo, a cavallo di ferragosto, il concerto più Rock, più pazzo, più peace and love, più hippie che si potesse immaginare. Dalle parti della cittadina di Woodstock, nello stato di New York, mezzo milione di giovani si radunarono intorno al palco per tre giorni come non ce ne furono più. E tutto intorno le note di Joan Baez, Santana, Janis Joplin, i Greatful Dead, gli Who, Joe Cocker, Jimi Hendrix e molti, molti altri. Chi c’era era un po’ come se fosse stato sulla Luna con Armstrong; chi non c’era avrebbe voluto esserci e si accontentò di tutti i dischi del mondo; chi non avrebbe voluto esserci peggio per lui.
Quale sarà, quest’anno, la canzone dell’estate? Ne sono passate tantissime, per le nostre radio ad accompagnare le serate sulla spiaggia, dalla tintarella di luna al sole, cuore e amore; da abbronzatissima a sapore di sale… Ma una canzone estivissima sin dal titolo — Summertime — e famosa più di ogni altra cosa, tutto è, tranne che il disco per l’estate. È una delle colonne sonore del Novecento, con la sua atmosfera molto jazz e, in questo video, la voce di Ella Fitzgerald, che ad avere una voce così va a finire che intorno si ferma pure il traffico. Soprattutto in estate.
Scoprire l’Europa dal finestrino di un treno è tra le avventure più intriganti, perché non solo il mondo sfreccia veloce là fuori, ma anche dentro il vagone transita gente di ogni paese ed è come viaggiare due volte, pagando un biglietto soltanto. Da molti anni è anche possibile organizzare dei lunghi itinerari, attraverso vari paesi, sempre con la ferrovia come filo conduttore. È il mitico Interrail [ http://it.interrail.eu] e se anche tu pensi di provarne l’ebbrezza, ricordati di mandarmi almeno una cartolina!
Kevin Brooks – L’estate del coniglio nero – Piemme
Che estate sarebbe senza un intricato caso da risolvere? Il giallo dell’estate è giallo come il sole e giallo come i thriller… Come quando un gruppo di amici decide di ritrovarsi per l’ultima volta al luna park, poi via, ognuno per la strada dove la vita li condurrà. Se uno di loro scompare c’è senz’altro di che scriverne sui giornali, ma se a scomparire sono in due – e non è detto che i casi siano collegati – ne viene fuori un romanzo in piena regola.
La signora LaDonna Adrian Gaines aveva un nome tra i più estivi, anche se a chiamarla così non sembrerebbe. Famosa divenne, infatti, come Donna Summer, regina della discomusic degli anni Settanta. E summer significa proprio estate, lo sa chiunque conosca almeno tre parole in inglese. Le altre due possono essere love e sky, oppure turnpike e subway, persino handkerchief e lipstick, ma summer non può mancare, soprattutto d’estate. A scoprirla e portarla al successo fu un musicista italiano, Giorgio Moroder, celebre per aver composto le musiche originali di tantissimi film, e poco importa se la musica da discoteca e le colonne sonore hollywoodiane abbiano ben poco in comune, a parte le sette note e il pentagramma. Oltre che per la voce bella e potente, Donna Summer si fece notare anche per la durata dei suoi pezzi, spesso oltre i dieci minuti, che in un disco singolo nemmeno ci stavano, ma per gli LP e per le notti in discoteca erano perfetti.
Tra i lavori più estivi che ci siano c’è indubbiamente quello del bagnino. O della bagnina. Non c’è ormai spiaggia attrezzata dove non ci sia anche qualcuno pronto a venirti a salvare, casomai un’onda ti pigliasse di sprovvista o un pescecipolla ti volesse far finire nel soffritto. Eroi di quel genere non potevano che finire protagonisti di qualche film o telefilm, come la mitica serie di Baywatch, successo televisivo degli anni Novanta. Siamo sulle spiagge della California, con i surfisti a far evoluzioni e Hollywood a pochi passi. Tra i muscolosissimi bagnini, poi, c’èra lei: la biondissima e formosissima Pamela Anderson, nella parte di C.J. Parker, ovviamente bagnina, che veniva voglia di svenire o annegare ogni due per tre, a esser sicuri che poi sarebbe stata lei a soccorrerti. Lo avessi fatto io, il finto annegato, già so che a prendermi per il costume sarebbe stato un pelosissimo Terranova e anche la respirazione bocca a bocca non sarebbe stata la stessa cosa…
Ogni estate, al momento di partire, si presenta lo stesso, terribile dilemma: cosa mettere in valigia? E come sarebbe, valigia? Parliamo pure al plurale e aggiungiamoci zaini, borse e tutto il resto. Sì, ma il problema rimane e fino all’ultimo non si sa mai cosa portarsi appresso. L’ideale sarebbe essere sufficientemente facoltosi da partirsene con un ricambio appena e comprare ogni cosa ovunque si vada, man mano che se ne sente il bisogno. Sarebbe anche un bel modo per fare il cambio del guardaroba, con la sola controindicazione delle isole deserte, dove non ci sono negozi. Ma in quanto deserte, su quelle isole non servono nemmeno troppi vestiti e si può tranquillamente andare a spasso nudi come branzini. Allora sarà bene ricordarsi la crema solare. Molta crema solare. E gli occhiali scuri. E un cappellino. Le scarpette da scoglio, le parole crociate, la macchina fotografica, una matita per due appunti, la spazzola, il deodorante, un pallone, ma soprattutto… mi raccomando… non dimenticare la testa! Se ce l’hai, ovviamente, altrimenti anche il cappellino sarebbe inutile.
C’è un paese nella bassa padana in cui l’estate è un miraggio e non arriva mai e pure la primavera e l’autunno se ne stanno alla larga. È sempre inverno, da quelle parti, in tutte le case, per strada e nei campi fino al confine con il vicino paese di Monteleone, dove le cose si aggiustano e il calendario torna quello di prima. La località in questione si chiama proprio Inverno, sta in provincia di Pavia, in pianura, tra le risaie. Non è chiaro, però, se il riscaldamento resta acceso anche in agosto, se la scuola continua anche in luglio, se si va a sciare anche a metà giugno e se il caminetto resta acceso tutto il tempo. Gli abitanti di Inverno pare vadano fieri del loro paese così stagionale e chissà se, più che invernesi, si fanno chiamare invernali, come i cappotti e le sciarpe. Il bello è che per loro, quando se ne vanno da qualsiasi altra parte, appena escono dal confine comunale non è più Inverno, nemmeno in pieno inverno.