Brutti, sporchi e cattivi

Brutti, sporchi e cattivi

Al Marquee Club di Londra il proprietario, signor Harold Pendleton, cerchiò in rosso la data del 12 luglio sul calendario del 1962. Proprio quel giorno e proprio in quel luogo, infatti, si esibì per la prima volta un gruppo di amici rockettari che, per l’occasione e per sempre, si presentarono come i Rolling Stones. Non ne fanno più, di calendari così, e forse nemmeno di gruppi rock… e a noi non resta che accontentarci dei vecchi dischi e delle matite rosse.

Il racconto

IL CASSETTO DEL SIGNOR HAROLD

Il signor Harold aveva un sogno nel cassetto e il suo cassetto era sufficientemente grande da permettere al sogno di crescere fino a diventare realtà.

Il signor Harold, quando la sera si preparava un hamburger per cena, con due foglie di lattuga, una fetta di pomodoro e una spennellata di maionese, sognava di avere un locale vero, al posto del suo cucinino, e magari un gruppo a suonare dal vivo, al posto del televisore nel salotto.

Quando il signor Harold se ne andò da Liverpool e dal Merseyside, per trasferirsi a Londra, lasciò dietro di sé anche il televisore, il salotto e il cucinino, portandosi appresso solo l’hamburger, che sgranocchiò sul treno.

E il cassetto? Ah, già, Harold portò con sé anche il cassetto e il sogno che conteneva, tanto più che i cassetti dei sogni, grandi o piccoli che siano, non hanno peso né ingombro e sono loro a seguire te, a patto che anche tu segua loro.

Scelse Soho, il signor Harold, come suo nuovo quartiere. Forse perché la parola Soho contiene la lettera acca, che ha sempre la sua bella personalità. Scelse un cantuccio sulla Saint Martin’s Lane, a due salti dal Covent Garden, che è un posto sempre ricco di vita, di giorno e di notte, soprattutto di notte. Rassettò un po’ gli ambenti, per dare una parvenza di ordine, ma non troppo, quindi con due pennelloni dipinse là fuori una scritta in bianco e in rosso: The Marquee bar & club, altroché, dove altroché l’ho aggiunto io, ma tutto il resto faceva parte dell’insegna.

Sarà per i fumi dell’alcohol, , sarà per la nebbia di Londra, di cosa accadde nei primi tempi ben poco si sa, a parte gli hamburger, il cui profumo se ne andava per le vie e attirava clientela.

Pare, ma dico pare davvero, che il giovane cameriere Mick ogni tanto afferrasse un grosso cucchiaio o un mestolo e, fingendo di tenere in mano un microfono, strillasse quattro note e un ritornello così, tanto per scaldare l’atmosfera. Pare anche che un altro Mick, l’aiuto cuoco, talvolta piazzasse le pentole e le padelle alla rovescia, con i coperchi di qua e di là, e con due forchette battesse dappertutto senza andar mai fuori ritmo. Pare ancora che i due garzoni Keith ed Elmo, anziché spazzare il pavimento e poi godersi una birra con le due sterline di paga, tenessero le ramazze a mo’ di chitarra e suonassero chissà cosa, uno con gli accordi e l’altro arpeggiando o viceversa. Se ciò non fosse sufficiente, pare addirittura che dietro al bancone il barista Ian facesse spazio, gettando le bottiglie per terra e i bicchieri nel lavandino, e con le dita sul ripiano fingesse di suonare un tasto dopo l’altro. E fingeva talmente bene che sembrava quasi di sentire la musica davvero, ad accompagnare le chitarre, al ritmo della batteria e con la voce del Mick che tutto cominciò. Pare, infine, che l’ultimo degli avventori, tale Dick, tenesse la sua cartella in grembo e con i suoi grossi polpastrelli fingesse di suonarla, come fosse un basso elettrico. Pare, ripeto, pare.

Ma se queste cose successero davvero, più o meno ogni sera, per qualche settimana o mese, ovvio che il signor Harold prima o poi lo avrebbe scoperto e avrebbe fatto una cosa di due:

Avrebbe licenziato tutti in tronco, avventore compreso, facendosi restituire mestoli, pentole, ramazze e banconi, finendo per rimanere da solo a cucinare un hamburger come accadeva nel Merseyside.

Oppure si sarebbe fermato ad ascoltare e la sera seguente avrebbe invitato Mick, Keith, Elmo, Ian, Dick e l’altro Mick sul palco, con il locale gremito di clienti. Avrebbe preparato un microfono di quelli veri, con tanto di asta; una batteria con grancassa e charleston, due chitarre così e cosà, un basso elettrico scintillante e un pianoforte con tutti gli ottantotto tasti in fila.

«Ladies and gentlemen… – avrebbe annunciato con orgoglio – la band più sgangherata d’Inghilterra!»

«La band – avrebbe continuato ad annunciare – più brutta, più sporca e più cattiva…»

«La band…» si sarebbe lasciato prendere la mano e probabilmente alla fine non avrebbe saputo cosa altro dire, tra applausi e fischi del pubblico, finché il Mick non gli avrebbe strappato il microfono di mano e, con voce intensa e intonata:

«Boys and girls – avrebbe concluso – The Rollin’ Stones!»

Più o meno, molto più o meno, andò proprio così e il cassetto del signor Harold si avverò.

…Volevo dire il sogno.

La fotografia

Dai Rolling Stones in poi le labbra e la lingua non sono più stati la stessa cosa. Nel 1971, infatti, all’interno del disco Sticky fingers, apparve per la prima volta il logo rosso rosso, che diventò immediatamente tra le immagini più riconoscibili del secolo. L’idea pare fosse dello stesso Mick Jagger, che essendo più bravo con la voce che con le matite, per la realizzazione chiese aiuto a John Pasce, studente al Royal College of Art, che ripagò con qualche sterlina e un hamburger. E a guardare il logo e Jagger, sembra proprio che quelle labbra carnose siano le sue. Che poi pare una cavolata: una bocca che fa la linguaccia, ma ogni tanto capita davvero che da una cosa apparentemente banale, che chiunque avrebbe potuto pensare, ne esca qualcosa di unico, inimitabile e stupefacente.

Il video

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Era l’estate del 1982, l’indomani gli Stones avrebbero compiuto vent’anni e l’11 luglio di quell’anno allo stadio di Torino era in programma un loro magnifico concerto. Sì, ma… ma quella sera c’era anche la finale dei mondiali di Spagna, i mitici mondiali dell’Ottantadue: Italia Germania, con Paolo Rossi a mirare l’angolino! Come fare? Semplice! L’una e l’altra cosa e alla fine, con la coppa conquistata, eccoti Mick Jagger presentarsi sul palco con la maglia numero 6 di Gaetano Scirea! E il giorno dopo, buon compleanno agli Stones!

La pagina web

Vuoi conoscere le ultime notizie sui Rolling Stones? O anche qualche notizia di quel dì? Cerchi i testi e la musica? Fotografie e video? Le date dei prossimi concerti? O hai semplicemente voglia di chiacchierare con qualche altro fan degli Stones come te? Se hai il numero di telefono o la mail di Mick Jagger o Keith Richards, puoi chiedere direttamente a loro, altrimenti puoi visitare il fan club badando, prima di cliccare, di far partire un bel pezzo molto rock.

Ti consiglio un libro

Domenica Luciani e Riccardo Bertoncelli – Come creare una rock band da sballo – Giunti junior

E io che pensavo che per mettere insieme una rock band e conquistare il mondo fosse sufficiente avere un sottoscala o un garage dove fare un gran chiasso senza che i vicini chiamino la polizia… Pare invece che qualcosa di più ci voglia, come la conoscenza delle note musicali, qualche nozione di armonia e melodia, ritmo quanto basta. Ma ciò che davvero non può mancare, per cominciare divertendosi, sono quattro amici con cui condividere le stecche, le notti in bianco e pure qualche fischio dal pubblico. Se alla fine ce la farai e diventerai una rockstar, tu e la tua band, beh, ricordatevi di me!

I nostri eroi

Il primo sasso rotolante, Rolling stone, non lo troviamo in un disco dei Rolling Stones, né sul palco a suonare con Jagger, Richards e gli altri. Andando indietro di qualche anno, proprio a metà del secolo scorso, ecco che incontriamo invece uno dei padri del blues: McKinley Morganfield, noto al pubblico come Muddy Waters, che a tradurlo in italiano ha il nome che significa acque fangose. Chitarrista e cantante, fu una delle voci più celebri del dopoguerra e contribuì a scrivere la colonna sonora di quegli anni. Uno tra i suoi maggiori successi è proprio la canzone Rolling Stone, che fu un successo di quel tempo e diventò immortale donando il proprio nome della rock band più rolling che c’è. Ma sono davvero tanti gli artisti del rock che si sono lasciati cullare dalle musiche di Muddy Waters: da Jimi Xendrix ai Led Zeppelin, da Eric Clapton a Bob Dylan fino a me, che ogni tanto fischietto Rolling Stone sotto la doccia, facendo bene attenzione che il rumore dell’acqua sia più forte delle mie stonature.

Tra i gruppi rock di cinquant’anni fa, ogni volta che si parla dei Rolling Stones non si può non pensare anche ai Beatles, e ogni volta che si parla dei Beatles il pensiero va anche agli Stones. Ne sapeva qualcosa Gianni Morandi, che in quegli anni cantava a squarciagola e che un giorno ci raccontò la storia di un ragazzo che, come me, amava i Beatles e i Rolling Stones. Non era però una canzone celebrativa delle due band, bensì di protesta contro la guerra del Vietnam, che riempiva le cronache di quegli anni. Quel ragazzo non ne usciva vivo, nel testo, e questo fece diventare la canzone uno dei simboli della pace e del pacifismo, cantata da tutti durante le manifestazioni, ma anche attorno a un falò sulla spiaggia. È la forza della musica, che da sempre, nei teatri dell’opera, sui palcoscenici delle band internazionali o semplicemente strimpellando una chitarra, riesce a raccontare storie e sentimenti anche meglio di molti poeti.

Un sasso rotolante lo ha cantato anche Bob Dylan, ma questa volta è un sasso che rotola davvero, non un ammiccamento ai suoi colleghi Rolling Stones. La canzone la conosci di sicuro: è Like a rolling stone e racconta di una ragazza per bene, che a un certo punto ha mollato tutto e ora lui le chiede come ci si sente, a starsene da sola, senza una casa, come una perfetta sconosciuta, come un sasso che rotola… Sono molto diversi, i Rolling Stones e Bob Dylan, pur facendo lo stesso mestiere, pur frequentando gli stessi ambienti, pur cantando dagli stessi palcoscenici. Sono diversi ed è proprio questo il bello della musica di ogni tempo, che ognuno ha la propria , che è personale e allo stesso tempo di tutti, un po’ come un sasso che rotola da solo e, se non stai attento, finisce per travolgerti.

Rolling Stone, senza la esse finale, è il nome di una celebre rivista specializzata e ci sono appassionati di rock che sin dal primo numero, nel 1967, non ne perdono una copia. Anch’essa deve il proprio nome al pezzo di Muddy Waters e anch’essa, come gli Stones, è una vera istituzione del rock. Ma non solo di musica si parla, nelle pagine della rivista, bensì anche di cinema e di politica, comunque in un modo più rockeggiante del solito. Finire sulla copertina di Rolling Stone è un po’ come vincere la finale dei mondiali e alcune copertine sono diventate iconiche e immortali, in una sorta di cane che si morde la coda: l’artista diventa importante grazie alla rivista, che diventa importante grazie all’artista e così via. Tra le varie edizioni internazionali, dal 2003 esiste anche Rolling Stone Italia e chissà se, tra chitarre elettriche di mille colori c’è pure posto per un mediterraneo mandolino…?

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