La transizione scuola-lavoro rappresenta un tunnel lungo e buio per molti giovani in tutto il mondo. Tuttavia, il problema non è uguale dappertutto; in Germania, ad esempio, i giovani hanno quasi la stessa probabilità di lavorare degli adulti, mentre nei Paesi mediterranei questa probabilità risulta essere di oltre tre volte inferiore: tale svantaggio dipende in gran parte dal divario di esperienza lavorativa dei più giovani rispetto agli adulti.
Queste discrepanze sono, in buona parte, dovute al sistema di istruzione e formazione e alle politiche attive presenti nei diversi Paesi.
I Paesi scandinavi (Finlandia, Svezia, Norvegia), per esempio, hanno un sistema di istruzione sequenziale, la cui missione è una formazione di carattere generale, mentre l’esperienza lavorativa va fatta dopo la scuola. Grazie alle politiche attive per l’impiego, impartite entro quattro mesi dall’inizio della disoccupazione, lo Stato aiuta i giovani a costruire le proprie competenze al termine del percorso scolastico.
Viceversa, nei Paesi dell’Europa continentale (Germania, Austria, Svizzera, Danimarca, Olanda, Francia) il sistema d’istruzione è duale, ovvero assume come propria missione non solo l’istruzione generale, ma anche quella professionale in azienda, da svolgere durante il percorso di studi e non dopo, come accade invece nei sistemi di istruzione sequenziali. Ciò implica che, appena conseguito il diploma, i giovani sono già pronti ad affrontare il mercato del lavoro, con una esperienza già alle spalle. Non a caso, questi Paesi hanno da sempre un basso tasso di disoccupazione e un bassissimo svantaggio relativo.
Il regime anglosassone (Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito, Usa, Australia, Irlanda) ha un sistema di istruzione (sequenziale) di alta qualità. La flessibilità del mercato del lavoro prevede contratti rescindibili con un basso costo per le imprese; questo spinge le imprese ad assumere più a cuor leggero e consente perciò la formazione di competenze lavorative attraverso un processo “per tentativi”. In questi Paesi, il tasso di disoccupazione giovanile è relativamente basso mentre lo svantaggio relativo dei giovani è alto, ma pesa meno, poiché corrisponde a valori bassi della disoccupazione media, tranne durante le crisi.
I Paesi mediterranei (Portogallo, Spagna, Grecia, Italia) hanno un sistema di istruzione rigido e sequenziale. Il mercato del lavoro è stato reso più flessibile dalle riforme al margine, creando forte dualità. Spesso, il modo più efficace per trovare lavoro è la rete informale di parenti e amici, poiché le infrastrutture del mercato del lavoro sono poco sviluppate (agenzie pubbliche e private per l’impiego; scuole e università) o in declino (concorsi pubblici). Da sempre, il tasso di disoccupazione giovanile è altissimo e anche lo svantaggio relativo.
Infine, i nuovi Stati membri dell’Unione Europea (Polonia, Slovacchia, Ungheria, Estonia, Repubblica Ceca): si caratterizzano per un mercato del lavoro sempre più flessibile e per crescenti livelli di spesa in politiche attive e passive. Il tasso di disoccupazione giovanile è ancora elevato.
Quale di questi gruppi di Paesi ha affrontato meglio la crisi? Per rispondere a questa domanda, confrontiamo lo “svantaggio” assoluto (tasso di disoccupazione) e “relativo” (rapporto fra disoccupazione giovanile e degli adulti) dei giovani nei diversi regimi prima e dopo la crisi.
Figura 1. Disoccupazione giovanile per regime di transizione scuola lavoro
Fonte: nostra elaborazione su dati OCSE.
I Paesi dell’Europa centrale, quelli anglosassoni e scandinavi hanno visto tassi di disoccupazione giovanile relativamente bassi nel 2000. Con la crisi la disoccupazione è aumentata mentre nei Paesi mediterranei e quelli dei nuovi stati membri, la disoccupazione giovanile sembra essere, almeno inizialmente (2008) diminuita leggermente. Il motivo è che le riforme al margine negli anni precedenti avevano fatto crescere di molto l’occupazione temporanea. Il 2012 è un anno critico per tutti, ma con differenze importanti. Ad avere la peggio sono i Paesi più flessibili, sia quelli di antica tradizione liberale, come i Paesi anglosassoni, che quelli dell’Europa meridionale e dell’est europeo che avevano adottato le riforme cosiddette al margine, riducendo costi di assunzione e licenziamento solo per i nuovi assunti.
In termini di “svantaggio relativo” i giovani dell’Europa centrale e dei Paesi anglosassoni sembrano passarsela meglio rispetto agli altri gruppi di Paesi. È da notare anche un miglioramento del rapporto nel 2012 rispetto al 2008, causato dall’aumento relativamente maggiore della disoccupazione degli adulti, ma si mantiene al di sopra del livello di partenza del 2000.
Figura 2. Svantaggio relativo per regime di transizione scuola lavoro
Fonte: nostra elaborazione su dati OCSE.
La riduzione dello svantaggio relativo dei giovani è all’apparenza sorprendente per chi è abituato a considerare il carattere ciclico della disoccupazione giovanile. In genere, infatti, le imprese adottano il principio last-in-first-out, licenziando prima gli ultimi arrivati, cioè i più giovani.
Nel lungo periodo, per ridurre la disoccupazione giovanile nei Paesi mediterranei, dovrebbero essere effettuate riforme profonde dei sistemi di istruzione per allinearli a quello duale. Negli ultimi tempi, qualcosa si sta muovendo in questa direzione. La Francia ha adottato il sistema duale di istruzione. In Italia, nel 2011, è stata attuata la riforma dell’apprendistato.
Nel breve periodo, invece, il programma chiamato Youth Guarantee dovrebbe consentire ai Paesi che presentano tassi di disoccupazione giovanili maggiori del 25% di ottenere fondi per politiche attive dell’impiego; apprendistato, training, e stage retribuiti in azienda per gli under-25. Se attuato bene, questo programma potrebbe aiutare a ridurre lo svantaggio dei giovani più nell’immediato, ma le condizioni da rispettare sono tante.