Ucraina, la guerra non è finita
A un mese dal 5 settembre, giorno del cessate il fuoco concordato tra il governo di Kiev e i separatisti filo-russi, sembra che gli scontri non siano cessati affatto. In quell’occasione, l’accordo era servito a Vladimir Putin anche per destabilizzare il vertice Nato e per rallentare l’avvio di nuove sanzioni, oltre che per palesare le divisioni dell’occidente tra Nato, Usa, Ue e i singoli Stati europei. Evidentemente la firma del cessate il fuoco non rispecchiava quella che era ancora una situazione estremamente instabile nell’Est del Paese. Dal 5 settembre in Ucraina ci sono stati almeno una sessantina di morti e molti più feriti. Un grosso miglioramento rispetto ai numeri dei mesi precedenti (dall’inizio della crisi i morti sono stati circa 3.500) ma dimostra comunque che la tregua, in molti casi, non è stata rispettata. Gli ultimi casi sono stati il bombardamento su una scuola a Donetsk il 1 ottobre, che ha causato almeno 10 morti, l’uccisione di un membro della Croce Rossa il 2 e un attacco all’aeroporto di Donetsk il 4 che ha causato la morte di 12 miliziani filo-russi.
Il 1 ottobre l’Ue ha confermato le sanzioni sulla Russia, essendo queste direttamente collegate all’andamento della tregua e alla partecipazione di Mosca nel conflitto. «Dall’inizio del cessate il fuoco c’è stato un ritiro significativo delle forze russe in Ucraina. Ma centinaia di soldati, tra i quali le forze speciali, sono ancora nel Paese» e «nell’ultima settimana non abbiamo visto ulteriori riduzioni delle truppe da combattimento russe in Ucraina. Circa 20mila soldati russi sono ancora schierati nei pressi della frontiera russa con l’Ucraina orientale» fanno sapere fonti ufficiali della Nato. Ancora sanzioni, quindi. E contestualmente alle sanzioni resta aperta anche la questione energetica, principale arma di ricatto della Russia verso l’Europa e verso l’Ucraina, ma da cui dipende l’economia della Russia stessa.
Russia, situazione economica difficile
Ne hanno discusso Fabrizio Dragosei, inviato del Corriere della Sera a Mosca, e Massimo Nicolazzi, esperto di questioni energetiche a un incontro tenuto all’Ispi, intitolato Crisi ucraina: come cambia il mondo. Dragosei, al telefono da Mosca, ha raccontato che: «Oggi la Russia non è in una situazione molto piacevole, al di là del larghissimo consenso di Putin (circa l’80%), e la sua economia sta risentendo della situazione. Ci sono state sanzioni che hanno colpito solamente i settori finanziari e solamente alcuni personaggi. Altre però hanno colpito dei settori, come quello tecnologico, molto importanti, e questo potrà avere conseguenze molto gravi per l’economia russa. La Russia è sempre stato solo un Paese di materie prime, un Paese che produce poco o nulla. Proprio oggi (2 ottobre, ndr) siamo passati in macchina di fianco a un quartiere che doveva essere la grande speranza per lo sviluppo tecnologico, avrebbe dovuto essere la Silicon Valley dell’Europa Orientale. Tutto questo non è avvenuto, sono stati spesi fiumi di denaro in campo tecnologico e la Russia deve importare quasi tutto quello che gli serve. Automobili, computer e addirittura la tecnologia per estrarre petrolio e gas. La Russia sicuramente non ha un futuro roseo. Quello che sta succedendo pesa, e Mosca vorrebbe uscirne. D’altra parte l’Ucraina è in crisi già da ben prima di quest’anno. Purtroppo è un Paese che ha vissuto sopra le sue possibilità e che è andato avanti grazie al gas a basso prezzo fornito dalla Russia. Dopo Piazza Maidan, con il nuovo governo filo occidentale, la parte orientale del Paese è stata esclusa e non ha più avuto voce in capitolo sulle decisioni politiche; e abbiamo visto le conseguenze».
E intanto rimane aperta anche la questione energetica. L’inverno è alle porte e l’Ucraina avrà molto presto bisogno di molto gas a disposizione. Venerdì 3 ottobre dirigenti di Gazprom (la principale azienda energetica russa) e rappresentanti del governo ucraino hanno chiuso infruttuosamente un incontro stabilito per accordarsi sulla ripresa di forniture di gas dalla Russia all’Ucraina, interrotta dal 16 giugno. Un nuovo vertice è previsto per questa settimana.
Massimo Nicolazzi, esperto di questioni energetiche, ha chiarito qual è la reale posizione della Russia in quella che lui definisce una energy war. «In Russia la quota di esportazioni di idrocarburi sul totale è dell’80%. Questo inquadra un po’ il problema energetico dal punto di vista della Russia. Da lì lo slogan: niente idrocarburi uguale niente spesa sociale, niente pensioni, quasi niente investimenti pubblici. Di fatto, lo Stato vive su questa entrata. Per carità anche su altro ma se togliamo questo mezzo non avrete mai un anno in cui la bilancia commerciale russa chiude in positivo. Questo per dire che non è azzardato affermare che la loro dipendenza è tale che hanno più bisogno loro di venderlo che noi di comprarlo, nel senso che al loro bisogno di vendere è sotteso un principio di mantenimento dell’ordine sociale ed è sotteso il fondamento del consenso all’ordine politico. Da qui il rischio che stia partendo in termini di politica verso la Russia quella che io definisco una potenziale energy war, dove quello che è in gioco non è tanto se noi ci facciamo la doccia calda di inverno, ma la capacità o meno per la Russia di mantenere i livelli di vita attuali».
Anche per questo la Russia ha iniziato a guardarsi intorno per limitare il più possibile la sua dipendenza dagli acquisti europei. A maggio Mosca e Pechino hanno firmato un accordo da 400 miliardi di dollari in trent’anni per una fornitura di gas proveniente dalla Siberia. I 2.200 km di gasdotto sono ancora da costruire, ma è evidente l’intenzione di Putin di coprirsi le spalle il prima possibile.
Attualmente la questione più urgente rimane quella ucraina, in attesa dell’accordo con la Russia. «L’Ucraina può scaldarsi pescando dal fondo degli stoccaggi fino a gennaio-febbraio, ma poi entra in crisi e il fattore di rischio diventa che l’Ucraina non abbia un alternativa tra lasciare assiderare un pezzo della sua popolazione, o bucare il tubo che porta al fiume azzurro (il gasdotto da cui passano le riserve per l’Europa, ndr) e tenersi il gas per sé anziché farlo venire qui», spiega Nicolazzi, «questo è un punto che merita una qualche meditazione. Se fanno uno stress test sul nostro sistema con gli stoccaggi pieni, anche se quel tubo salta per aria per tre o quattro settimane non ne soffriamo, oltre abbiamo qualche problema. Io eviterei di pensarci, perché se per quattro settimane i russi non riescono a mandare il gas in Europa vuol dire che abbiamo qualche cosa di più preoccupante del gas di cui occuparci. Tornando alle dipendenze, è ovvio che c’è una dipendenza del venditore sopra a quella del consumatore, ma se la Russia taglia il gas all’Ucraina, si sappia che noi non siamo tecnicamente in grado di darglielo».