I curdi minano la stabilità, Ankara si muove contro Is

I curdi minano la stabilità, Ankara si muove contro Is

Lunedì 20 ottobre il numero dei morti nelle dimostrazioni contro la politica del governo turco sulla battaglia di Kobane è salito a 36. L’ultimo caso è avvenuto durante una protesta pro-curdi a Bingol, nella Turchia orientale, e domenica c’è stata un’altra vittima in un paese nella provincia di Smirne (la terza città turca, affacciata sul Mediterraneo). Le manifestazioni a supporto dell’etnia curda (i curdi rappresentano circa il 18% della popolazione) sono iniziate nella prima settimana di ottobre, e si sono diffuse in tutta la Turchia, principalmente nelle grandi città e nella regione meridionale e orientale. Gli scontri si sono svolti sia tra oppositori e polizia, sia tra curdi e formazioni islamiste radicali che supportano l’Isis.

I manifestanti accusavano il governo di Recep Erdogan di non fare niente per aiutare i cittadini di Kobane, situata a qualche centinaio di metri dal confine turco, e più in generale di non aiutare i curdi siriani nel loro tentativo di arrestare l’avanzata dell’Isis. Veicoli, palazzi, negozi e uffici sono sati distrutti nel corso delle proteste. Erdogan si è sempre rifiutato di supportare il Pyd (il partito dei curdi siriani) e il Ypg (il suo braccio armato), perché entrambi alleati con il Pkk, il partito turco dei lavoratori curdi considerato gruppo terroristico dalla Turchia, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Non solo. In queste settimane si è costantemente rifiutato di far passare i curdi turchi dal confine, una politica che molti hanno interpretato come un tentativo per indebolire il più possibile due nemici senza sporcarsi le mani: i curdi alleati con il Pkk e i miliziani dell’Isis, che da quando è diventato una mina vagante fa paura a tutti i Paesi della zona. Inoltre, Erdogan ha sempre dichiarato apertamente che l’obiettivo principale della Turchia è la rimozione del regime di Bashar Assad in Siria, e ha posto questa condizione per un coinvolgimento più attivo dell’esercito contro l’Isis.

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Un video della Bbc mostra le proteste violente dei curdi scoppiate l’8 ottobre in diverse città turche

Dopo un mese di disordini in tutto il Paese, e in seguito anche a una notevole pressione internazionale, Ankara ha annunciato lunedì 20 che permetterà ai curdi iracheni (non a quelli turchi) di passare dal territorio turco per entrare in Siria a difendere Kobane. La città, dopo che era stata data per persa dalla maggior parte degli osservatori e analisti internazionali, resiste ancora, principalmente grazie ai bombardamenti americani che si sono notevolmente intensificati negli ultimi dieci giorni. Inoltre, gli Usa hanno paracadutato nella notte tra domenica e lunedì armi, munizioni e medicinali per gli assediati, che ne avevano urgente bisogno.

La Turchia si è anche mossa sul fronte umanitario, aprendo i suoi ospedali ai combattenti curdi e assistendo i circa 180 mila rifugiati che sono entrati nel Paese da quando l’Isis ha intensificato la sua offensiva sulla provincia di Kobane, circa a metà settembre. Questi sforzi fanno parte di una contesa tra il governo e i partiti politici curdi per avere il supporto dell’opinione pubblica: mentre il presidente Erdogan spera di poter vantare tra i suoi lasciti e i suoi successi un accordo di pace riuscito con il Pkk, questo processo è stato messo in dubbio dopo che le proteste dei turchi curdi, i quali vogliono che Ankara faccia di più per salvare Kobane, sono degenerate in scontri violenti.

La Turchia si sta muovendo con bruschi cambi di direzione nelle sue scelte di politica estera. Il governo forte di Erdogan e i recenti risultati delle elezioni (52% dei voti) che l’hanno portato alla presidenza della Repubblica il 28 agosto di quest’anno, gli permettono di muoversi con una certa libertà.

Dopo una conversazione telefonica avvenuta tra lo stesso Erdogan e il presidente americano Barack Obama nel pomeriggio di martedì 21 ottobre, il capo della diplomazia turca ha annunciato la sua nuova linea, fa sapere l’Ansa. «Non abbiamo mai voluto che Kobane cada, e la Turchia conduce diverse iniziative per impedirlo», ha dichiarato il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu. Ma i miliziani curdi assediati dallo Stato islamico hanno fatto sapere di volere da Ankara anche un intervento per aprire “corridoi di sicurezza” all’interno della Siria per collegare Kobane con le altre due zone a maggioranza curda nel nord del Paese: Afrin, a ovest di Aleppo, e Hasaka. «Abbiamo decine di migliaia di uomini e armi pesanti a Hasaka e Afrin, vogliamo solo farle arrivare qui» ha detto, in un’intervista pubblicata dal quotidiano panarabo al Hayat, Ocalan Isso, comandante militare delle forze curde di Kobane.

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