Caute promozioni dai giornali anglosassoni, entusiasmo da parte del francese Les Echos, stroncatura senza appello della tedesca Frankfurter Allgemeine. Si possono riassumere in questo modo i commenti dei principali quotidiani economici-finanziari alle misure di Quantitative Easing annunciate giovedì 22 gennaio da Mario Draghi al termine del board della banca centrale europea.
Per il Financial Times, attraverso la firma di Mohamed El-Erian, «questo è un intervento senza precedenti per la Bce. La banca sta ancora segnalando il suo impegno deciso per il benessere dell’Europa. Eppure ci sono tre ragioni per le quali il risultato sarà composito e raggiungerà gli obiettivi finanziari intermedi ma non quelli macroeconomici più importanti. La prima, sebbene alcuni dettagli dell’annuncio hanno sorpreso i mercati – soprattuto le dimensioni dell’intervento della banca centrale -, è che è stato in gran parte in linea con le aspettatitve. La scossa all’inflazione sarà leggera. La seconda è che le misure non sono abbastanza “open-ended” (senza limiti) come nell’impegno del “whatever it takes” (“a qualsiasi costo”) del 2012. Questo potrebbe indebolire la sua efficacia, specialmente dal momento che la misura arriva in un contesto di complicati compromessi politici. La terza è che la Bce sta ora perseguendo obiettivi macroeconomici più robusti, con strumenti inevitabilmente imperfetti». (…) «Questo non è per dire che l’annuncio della Bce non avrà conseguenze. L’iniezione di liquidità supporterà il valore delle azioni e altri capitali di rischio. Significherà che molti governi dell’Eurozona, anche nella periferia più vulnerabile, potranno prendere a prestito a tassi di interesse più vicini a quelli goduti dalla Germania, anche se ci saranno delle eccezioni. Esi eserciterà un’ulteriore pressione al ribasso sull’euro, che è già vicino ai minimi da 11 anni. Ma non è probabile che questo sarà sufficiente per portare a una svolta nella crescita economica, o per alterare decisamente le aspettative di inflazione. E presuppone il rischio di un danno collaterale e di consequenze non volute».
Decisamente più positivo l’editoriale di Bloomberg, secondo cui “Draghi ha fatto (quasi) tutto bene”. «L’audacia non viene facilmente alla Bce. Il suo presidente, Mario Draghi, ha finalmente annunciato un programma a lungo atteso di quantitative easing. I numeri sono stati maggiori delle attese, il che è un bene, ma i dettagli sono stati avvolti dalla complessità, il che è un peccato». Tra le misure da criticare l’agenzia economica-finanziaria si concentra sulla quota della condivisione dei rischi, giudicata troppo bassa. «Draghi ha detto che l’80% degli acquisti di asset non sarà soggetto alla condivisione dei rischi. In altre parole, saranno detenuti nei bilanci delle bance centrali nazionali – il debito sovrano della Germania alla Bundesbank, il debito del governo grevo nella banca centrale greca, e così via -. Presumibilmente, in caso di default, i governi nazionali, piuttosto che il sistema euro nella sua interezza, sarebbero in trappola. Di fronte a questo, questo accordo – sul quale si dice che abbia insistito la Germania – è semplicemente in contrasto con l’idea di un’unica valuta europea gestita da un’unica banca centrale. Sembra in effetti prefigurare una disgregazione dell’area euro. Piantare il seme di quest’idea nelle menti degli investitori è straordinariamente irresponsabile».
«Al momento – conclude però Bloomberg -, le contraddizioni e la confusione non hanno troppa importanza. Le dimensioni sorprendenti del programma sono la cosa principale». «Dopo un lungo e imperdonabile ritardo, la Bce finalmente l’ha fatto. Che vergogna che, perfino ora, sarà un Qe con caratteristiche europee».
Per l’Economist è “meglio tardi che mai”, ma molti aspetti fanno pensare che gli effetti del Qe voluto da Draghi saranno inferiori a quelli avuti negli Stati Uniti e nel Regno Unito. La principale differenza tra Usa e Ue, come fatto notare nei giorni scorsi da altri commentatori, è che le aziende europee si finanziano molto di più attraverso le banche e molto meno con corporate bond rispetto a quelle americane. Il risultato è che «beneficeranno meno dagli aumenti dei mercati dei capitali europei».
«Tutto questo rende l’incursione della Bce nel Qe meno simile ai programmi lanciati dalla Fed e dalla Bank of England al picco della crisi, e più simile a quelli della Bank of Japan, che ha dovuto combattere la più insidiosa minaccia della deflazione. Mentre il Giappone compra ostentatamente bond, l’effetto principale sembra venire dal tasso di cambio. La preoccupazione è che come il Giappone nei primi anni Duemila, anche la Bce possa avere introdotto tale politca troppo tardi».
La Reuters si concentra invece sui commenti al Qe dai finanzieri ed economisti presenti al World Economic Forum di Davos, che mandano tutti un messaggio simile: “il quantitative easing non servirà da solo a risolvere i problemi dell’Europa”. Servono, ha detto l’ex presidente della Bundesbank Axel Weber, ora presidente della banca svizzera Ubs, riforme con «pesanti cambiamenti alle regole del mercato del lavoro e alle pensioni».
Fuori dal mondo anglosassone, spicca la posizione dura del principale quotidiano finanziario tedesco, la Frankfurter Allgemeine, per la quale non convincono “né la diagnosi né la cura” di Draghi. La decisione ha «distrutto i principi dell’unione monetaria. Questa è la cosa peggiore. Pertanto, la Banca centrale europea ha distrutto la fiducia nell’euro». Il quotidiano sottolinea come il problema della deflazione sia sopravvalutato e che l’abbassamento del prezzo del petrolio «non è un problema ma una benedizione» e che senza l’effetto del calo del greggio i prezzi salirebbero dello 0,7 per cento in Europa.
Il francese Les Echos ospita commenti di natura diversa. Ma parla di “colpo da maestro di Draghi”, sottolinea i miglioramenti del presidente Bce sul fronte della comunicazione e conclude: il 22 gennaio sarà una data fondamentale nella storia della Bce, così come 26 luglio 2012, quando Mario Draghi ha detto il suo celebre “tutto il necessario” per il salvataggio della zona euro. L’articolo finisce con la citazione dell’asset manager di Jp Morgan Vincent Juvyns: «In poche settimane si è creato un ambiente (…) della zona euro molto più favorevole. C’è un allentamento della disciplina fiscale nella Commissione europea. C’è una politica monetaria ancora più aggressiva, che permetterà un ulteriore calo dell’euro e tassi ancora più bassi. E in un contesto di prezzi bassi del petrolio, abbiamo una combinazione di fattori che ci rendono più positivi sulla crescita nella zona euro nel 2015».