Perché i milanesi hanno paura delle moschee

Perché i milanesi hanno paura delle moschee

«I residenti sono spaventati, provate a chiedere un po’ in giro e mi darete ragione». Con voce squillante e tono deciso un abitante del quartiere Lampugnano, periferia ovest di Milano, prova a farci comprendere lo stato d’animo di tante persone che, come lui, non hanno accolto di buon grado la decisione del Comune di approvare il bando per la costruzione di tre luoghi di culto in città. Lo scorso 29 dicembre Palazzo Marino ha approvato l’avviso pubblico per “l’assegnazione in uso di immobili comunali per finalità religiose”. Nello specifico sono state individuate due aree e un immobile per la realizzazione dei progetti in questione: via Marignano di circa 3400 mq (zona Rogoredo); immobile di via Esterle, di circa 1492 mq (zona via Padova); via Sant’Elia, di circa 5000 mq (PalaSharp, ex palazzetto dello sport), in zona Lampugnano. A meno di grandi colpi di scena in quest’ultima zona dovrebbe sorgere una moschea.

I recenti fatti di Parigi — l’uccisione di dodici persone durante l’attacco al settimanale satirico francese Charlie Hebdo, da parte di due fondamentalisti islamici, lo scorso 7 gennaio — hanno poi di colpo riacceso i riflettori sulla questione delle moschee a Milano, a pochi giorni di distanza dalla pubblicazione del bando.

Proprio il quartiere di Lampugnano è stato teatro di manifestazioni e proteste, come quella organizzata lo scorso dieci gennaio dalla Lega Nord e dal suo segretario Matteo Salvini, che con l’europarlamentare Mario Borghezio e altri militanti del partito, ha distribuito volantini con le vignette di Charlie Hebdo. L’intento era quello di contestare l’amministrazione comunale nel suo tentativo di dialogo con la comunità musulmana, e il senso del messaggio del Carroccio stava tutto nelle parole del suo leader: «Con chi ammazza non c’è possibilità di dialogo. L’Islam è pericoloso».

La tensostruttura di Lampugnano che dovrebbe lasciare il posto ad una Moschea

Tutto ciò ci ha spinto ad entrare nel cuore del quartiere di Lampugnano, per catturare le impressioni, gli umori di chi il quartiere lo vive tutti i giorni, come abitante o come lavoratore, per fotografare una realtà che si appresta a un possibile cambio di identità. Accanto al PalaSharp, la tensostruttura che dovrebbe lasciare il posto alla moschea, dove già i musulmani milanesi si riuniscono per la preghiera del venerdì, c’è l’istituto “Suore Della Riparazione”, al quale decidiamo di rivolgerci per scoprire la loro posizione. Ad aprirci arriva un’anziana suora minuta che a stento si riesce a decifrare quando parla, tanto è flebile la sua voce. Dall’espressione contrariata del suo volto però capiamo subito che la nostra richiesta non sarà esaudita. Si consulta con altre sorelle poco distanti, e ci par di capire che una di queste è la madre superiora, ma al suo ritorno ci congeda dicendoci che nessuno al momento è disponibile a rispondere alle nostre domande, e che in caso è necessario un appuntamento per parlare proprio con la madre superiora. Amen.

Più in là un gruppo di lavoratori di zona ci tiene a precisare che «ormai ce li hanno portati dentro. Chi? I musulmani, non c’è più niente da fare, sono qui da tempo, il fatto che si costruisca la moschea non cambierà molto le cose». Chi qui ci abita però avverte una minaccia vera, in molti preferiscono non parlare perché «tanto qui nessuno ci ascolta». Una signora di mezza età di ritorno dal mercato con le buste della spesa in mano non sa bene spiegarci perché ma spera di «no. È meglio se non la costruiscono la moschea, c’è già troppo casino». La sensazione è quella che in molti hanno voglia di dire la loro a riguardo, qualcuno è disposto a farsi registrare — a patto che non venga ripreso in volto (vedi video di seguito) — ma nell’impeto delle parole che vengono fuori come un fiume in piena, si rischia di rompere gli argini, straripare e scadere magari senza volerlo nei luoghi comuni e nel pregiudizio di chi li etichetta come “maruchin de figa”.

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Va detto che questo clima può esser stato alimentato anche da alcuni accadimenti mediatici degli ultimi giorni: molti degli abitanti fanno esplicito riferimento all’ultima puntata della trasmissioneQuinta colonna, condotta da Paolo Del Debbio su Rete quattro, in cui pare che un ragazzo musulmano intervistato a Lampugnano abbia utilizzato l’espressione “dodici cani morti” riferendosi alle vittime della strage di Charlie Hebdo.

Chi invece si sta attivando sul fronte delle proteste sottolinea che «sono state raccolte oltre mille firme tra residenti e commercianti per contestare la decisione del Comune, gli abitanti hanno paura specialmente dopo quello che è successo a Parigi. L’amministrazione ha dato la città in mano a loro e si è dimenticato dei milanesi. Di questo è responsabile il sindaco Pisapia, scrivetelo». Più di tutto suscita preoccupazione la possibilità secondo cui la futura moschea di Lampugnano possa trasformarsi in centro politico più che religioso.

A tal proposito il consigliere comunale Matteo Forte chiede alla giunta comunale che dal bando «vengano escluse certe realtà. Libertà di culto sì ma scegliendo gli interlocutori. Nell’albo delle associazioni del comune sono presenti delle realtà che inquietano. Il problema è Lampugnano perché si tratta di realtà riconducibili al Caim, il quale è da sempre sostenitore della realizzazione del la moschea in quell’area, oltre a essere l’istituto che coordina la preghiera del venerdì. Oltretutto secondo quanto sostengono loro, i fondi per sostenere i costi dell’abbattimento del PalaSharp (seicentomila euro, ndr) verrebbero dal Qatar. Si tratta di un Paese isolato nel mondo arabo, perché è ancora l’unico che sostiene e riconosce i Fratelli musulmani. Dobbiamo considerare poi che una delle fatidiche black list è stata stilata dagli Emirati Arabi, Paese che riceverà il testimone dell’Expo dopo di noi. Sono tutte cose che bisogna tenere in considerazione, c’è una guerra interna al mondo arabo che non possiamo ignorare».

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