L’anno appena cominciato non porterà novità. Il prezzo del petrolio continuerà ad essere basso. Gli analisti e i centri studi delle principali banche internazionali confermano il trend al ribasso della seconda metà del 2014 che ha visto crollare il valore del barile del 40% in appena sei mesi. Un rialzo potrebbe cominciare dal prossimo giugno ma la soglia dei 70-75 dollari sembra invalicabile.
«Le indicazioni sul recupero nel secondo semestre mi sembrano condivisibili, anche se credo che il rimbalzo potrebbe essere molto più forte, sia per una contrazione dell’offerta – penso a riduzioni dell’offerta in alcuni paesi più instabili – sia per un”accelerazione della domanda, a cominciare da quella cinese», spiega a Linkiesta Matteo Verda, ricercatore associato dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale)., La banca d’investimenti britannica Hsbc propende invece per l’ottimismo prevedendo il barile intorno ai 95 dollari. Di tutt’altro avviso l’americana Morgan Stanley che ha tracciato uno scenario estremo consigliando ai propri clienti di prepararsi al barile a 43 dollari. Secondo l’Eia (Energy information administration), l’agenzia che coordina e monitora la politica energetica dei paesi sviluppati, siamo entrati definitivamente nella nuova era del petrolio a basso costo.
Quest’anno, il prezzo medio è previsto a 68 dollari al barile. Già nel report mensile di novembre si legge che nel primo semestre del 2015 le cose non cambieranno e si potrebbero toccare nuovi minimi. L’agenzia del Dipartimento dell’energia Usa spiega che «c’è stata una certa speculazione e che l’alto costo di produzione del petrolio non convenzionale potrebbe generare un nuovo equilibrio di prezzo del Brent nella gamma 80-90 dollari mentre i saldi di domanda e offerta suggeriscono che la discesa dei prezzi deve ancora fare il suo corso». L’agenzia americana è di solito poco propensa a diffondere previsioni sul livello dei prezzi, ma i dati deludenti della crescita globale e il boom degli idrocarburi non convenzionali in Nord America spingono gli analisti di Washington a sbilanciarsi e a prevedere un 2015 di prezzi bassi.
La produzione mondiale, peraltro, rimane stabile con un aumento da parte dei Paese che non aderiscono al cartello dell’Opec mentre l’Eia ha rivisto ancora al ribasso il fabbisogno mondiale di petrolio che nel 2015 crescerà di 900.000 barili al giorno a quota 93,3 milioni di barili al giorno. Cioè 230 mila barili al giorno in meno rispetto alle previsioni di dicembre. Prezzi in calo e crescita globale sotto le attese sono un mix letale per le economie di alcuni paesi produttori. Un’analisi dell’economista Luca Mezzomo dell’ufficio studi e ricerche di Intesa Sanpaolo spiega che «il più basso prezzo del petrolio produrrà un aumento della crescita nei paesi importatori di 0,3-0,4% nel 2015, con possibili ma incerti effetti secondari che potrebbero protrarsi fino al 2016» ma sull’altro piatto della bilancia «c’è un maggior rischio di instabilità finanziaria nei paesi più dipendenti dall’export di petrolio, che si aggiunge a tanti altri fattori di rischio».
Con un articolo molto approfondito di Davide Vannucci, Linkiesta ha già spiegato il Venezuela viaggi pericolosamente verso il crack. La Russia si è infilata in una spirale negativa. Il crollo del prezzo dell’oro nero sta affondando l’economia di Mosca con le sanzioni internazionali che peggiorano ulteriormente la situazione. Le stime di domanda per il petrolio russo nel 2015 sono state, infatti, tagliate di 195.000 barili al giorno a 3,4 milioni di barili al giorno. La Banca centrale russa ha previsto una riduzione del Pil 2015 del 4,5%. La maggior parte dei paesi esportatori di idrocarburi ha accantonato riserve di valuta straniera pe fronteggiare eventuali problemi di bilancio ma mentre i l’Arabia Saudita potrebbe resistere per anni, il Venezuela e la Russia hanno orizzonti molto più limitati. Mosca e Caracas potrebbe essere costrette a tagliare la spesa pubblica facendo esplodere problemi di consenso politico. La banca di investimento danese Saxo Bankha ha inserito il default russo nella lista dei dieci “cigni neri” – o anche, eventi sorpresa – del 2015.
Le grandi aziende e il governo russo inadempienti sul debito estero: questo potrebbe essere lo scenario funesto capace di manomettere l’economia mondiale. Per Verda lo scenario peggiore si può riassumere così. «Prezzi bassi, ai livelli attuali o meno, per tutto l’anno. In primo luogo, rischierebbero di destabilizzare qualche produttore e l’instabilità politica non è certo una buona notizia per l’Occidente. Inoltre, prezzi costantemente bassi ridurrebbero gli investimenti in nuova capacità produttiva, creando le condizioni per una scarsità di offerta nei prossimi anni e dunque per un rimbalzo molto forte dei prezzi, con gli inevitabili effetti depressivi sull’economia mondiale. Se i prezzi restano così bassi, potremmo ripagare con gli interessi lo sconto sulla benzina di quest’anno». Il trend al ribasso può invertirsi solo se si materializzano due nuove condizioni. Una crescita della domanda, magari sostenuta proprio dal prolungato ribasso dei prezzi, oppure una diminuzione dell’offerta di petrolio sul marcato mondiale. Ipotesi al momento difficile, visto che Ali Al Naimi, potentissimo ministro del petrolio saudita ha già detto chiaramente che la produzione di petrolio non verrà tagliata neppure con il barile a 20 dollari.