L’avanzata sul territorio libico dei jihadisti di Ansar al Sharia e delle altre milizie legate allo Stato islamico mette a rischio le attività economiche e gli approvvigionamenti energetici. Una costante che abbiamo imparato a conoscere in questi anni di caos seguiti alla fine del regime di Muammar Gheddafi. Le diverse milizie e le formazioni legate allo Stato islamico che operano il Libia hanno preso di mire le infrastrutture energetiche causando interruzioni e una diminuzione della produzione. Quando gli uomini in collegamento con l’Isis hanno preso la città di Sirte hanno bloccato i collegamenti con le installazioni petrolifere della Cirenaica, la regione orientale dove si trova quasi il 70 per cento delle riserve totali di idrocarburi. All’inizio di febbraio, i miliziani di un gruppo jihadista affiliato al Califfato hanno attaccato il campo petrolifero della Total a Mabruk, a sud di Sirte. Gli uomini del Califfato hanno attaccato anche due pozzi petroliferi, a El Bahi, nei pressi del terminal di Ras Lanuf dove la Noc gestisce la più grande raffineria del Paese.
La compagnia petrolifera statale National Oil Company (Noc) il 14 febbraio, dopo un attacco all’oleodotto di al Saria, aveva annunciato di essere intenzionata ad interrompere l’attività estrattiva di gas e petrolio e l’esportazione verso l’Italia e l’Europa. Noc ha subito una serie di attentati ed occupazioni degli impianti che hanno portato alla chiusura dei due più importanti terminal petroliferi, quelli di Ras Lanuf (dove si trova la più grande raffineria della Libia) ed El Sider. Quest’ultimo era stato già bloccato nel dicembre del 2014 a causa degli scontri tra milizia rivali che si affrontavano in Cirenaica. Dopo questo bombardamento, la produzione di greggio è scesa a 180mila barili al giorno, dai 300mila barili di gennaio e dai 900mila dello scorso ottobre. Numeri lontanissimi da quelli della Libia di Gheddafi che ra arrivata a pompare 1,6 milioni di barili al giorno.
La questione energetica è fondamentale per l’Italia. Secondo i dati dell’ambasciata italiana, l’Italia è ancora la prima destinazione delle esportazioni libiche di gaspetrolio. Seconde le statistiche dell’Unione petrolifera, da gennaio a novembre 2014 l’Italia ha importato mediamente 3,3 milioni di tonnellate di petrolio libico, pari al 6,7 per cento del totale. Per quanto riguarda il gas naturale, nel 2014 le importazioni italiane dalla Libia sono state di 6,4 miliardi di metri cubi, pari all’12 per cento del totale. Tra la major energetiche che operano nell’ex Jamahiriya islamica quella con la maggior presenza è l’Eni (ci sono tra le altre le americane Marathon e Conoco Phillips, la francese Total, la russa Gazprom, la spagnola Repsol). La multinazionale fondata da Enrico Mattei è presente nel Paese nordafricano dal 1959. Con le società Eni Oil e Eni Gas ed altre del gruppo come Saipem è attiva nell’esportazione e nella commercializzazione di gas.
L’attività di esplorazione e sviluppo del Cane a sei zampe è concentrata in sei aree di cui quattro onshore (cioè sulla terraferma) e due offshore sia in Tripolitania, la parte occidentale del Paese, che nella regione orientale della Sirte. Al confine con l’Algeria si trova il grande giacimento di petrolio Elephant che ha una capacità di 100mila barili al giorno ed è gestito da una joint venture con la Noc. La multinazionale italiana opera anche nel giacimento di Mellitah, dove la produzione è stata più volte bloccata dalla milizia combattente della città di Zintan. Il gas estratto dall’Eni proviene principalmente da due giacimenti. Quello offshore di Bahr Essalam a 110 chilometri dalla costa e quello di Wafa, situato nel deserto vicino al confine con l’Algeria. Sulla costa è stata costruita la Stazione di Compressione di Mellitah e nel 2006 è stato ultimato il gasdotto Greenstream. Con i suoi 520 chilometri è la conduttura sottomarina più lunga del Mediterraneo che fa arrivare il gas al Terminale di Ricevimento di Gela. Dopo il danneggiamento dell’impianto di liquefazione di Marsa el Brega, in Cirenaica, Greestream resta l’unico canale di fornitura in funzione, anche se a intermittenza, rendendo l’Italia il solo destinatario del gas libico.
Il 18 febbraio Eni ha presentato i dati preliminari dell’esercizio 2014. L’amministratore delegato Claudio Descalzi ha assicurato che la situazione in Libia è in costante monitoraggio, seppur «molto volatile». Attualmente la produzione di petrolio nel Paese è vicina a 300 mila barili al giorno, rispetto a una media dello scorso anno di circa 240 mila barili al giorno e di 275 mila nell’ultimo trimestre. Descalzi ha detto che «al momento non abbiamo danni agli impianti». La maggior parte dei giacimenti e delle infrastrutture controllate da Eni si trovano nella parte occidentale, quella meno interessata dagli scontri delle ultime due settimane, e negli impianti di estrazione al largo delle coste. Il giacimento petrolifero di Abu Attifiel, nella turbolenta Cirenaica, è ormai chiuso dal 2013. Oggi, però, Eni ha ritirato tutto il personale italiano dalla Libia per motivi di sicurezza e lo stesso hanno fatto le altre aziende che continuano a operare nello stato africano, affidandosi a dipendenti locali e addetti alla sicurezza stranieri.