Napoli è fatta come una torta a strati: ogni strato è una storia, un quartiere, una realtà diversa dall’altra, un microcosmo nel macrocosmo; una goccia nell’oceano, se preferite. E i Quartieri Spagnoli sono uno degli strati più particolari, più antichi – più animati – di Napoli.
Ne parlano tutti quando c’è un fatto di camorra in prima pagina; difficilmente, se ne parla il resto dell’anno, per i suoi colori, per la sua gente, per la sua napoletanità. I Quartieri sono l’ultimo, forse penultimo, baluardo della vecchia Napoli, quella che vive nei palazzi antichi, degli spagnoli, contro la borghesia “alla moda”. Ci stanno i camorristi, per carità. Ma ci stanno pure quelli che tirano a campare ogni giorno, tra stenti e sacrifici, tra dichiarata onestà e sincera preoccupazione. Per queste strade, puoi imparare ogni giorno una storia nuova come quella de L’orso marsicano ucciso come un boss ai Quartieri Spagnoli, il nuovo libro di Antonio Menna, il mistero dell’orso marsicano ucciso come un boss ai quartieri spagnoli, edito da Guanda.
Le premesse di questo giallo hanno dell’assurdo: una mattina di giugno, tra le quattro e mezza e le cinque, Tony Perduto (un richiamo neppure tanto lontano al Tony Pagoda di Paolo Sorrentino) è in giro per i vicarielli dei Quartieri perché, come al solito, non riesce a pigliare sonno. Arrivato al vico Speranzella (lo stesso che ha dato i natali a Tony Pisapia, altro personaggio della letteratura sorrentiniana), per terra trova un orso: pancia all’aria, braccia e gambe divaricate. A quattro di bastoni, come si dice a Napoli.
L’orso è morto e in meno di due minuti i Quartieri si illuminano a giorno e si popolano di curiosi e di urla. Tony Perduto, che è anche un giornalista freelance, scatta qualche foto e si prepara a sentire il suo giornale (il giornale della città ma con tiratura nazionale: il Mattino?) per un pezzo.
Quando la telefonata arriva, arrivano pure i guai perché serve una storia per la prima pagina: “qualcosa” tiene a precisare il caporedattore di Perduto “che non ha nessun altro”. Una notizia, ecco. Ma la notizia, si chiede Tony, non è il ritrovamento dell’orso? A quanto pare, no. E così cominciano le indagini: Tony, tramite Marinella, amica carissima quasi fidanzata che lavora al Policlinico, viene a sapere che l’orso è morto ammazzato, con tre colpi di pistola; e su questa pista, si mette alla ricerca dei bossoli. Li trova (due su tre) e li riporta a casa. È pronto, finalmente: può scrivere il pezzo. Prima però deve fare i conti con il sito di fiorai che gestisce per conto di terzi, poche centinaia d’euro al mese, e il ragazzino a cui dà ripetizioni, altre poche centinaia d’euro – perché un freelance, coi pochi spicci che gli danno per gli articoli che scrive occasionalmente, non riesce a campare. A vivere, per dirla “democristianamente”.
Al giallo si unisce così l’attualità: che non è solo quella dei Quartieri Spagnoli, ma anche quella dei giornalisti precari, di quelli condannati al limbo dei collaboratori esterni, pochi centesimi a parola, nessuna garanzia
Al giallo si unisce così l’attualità: che non è solo quella dei Quartieri Spagnoli, ma anche quella dei giornalisti precari, di quelli condannati al limbo dei collaboratori esterni, pochi centesimi a parola, nessuna garanzia, “ti chiamiamo quando hanno bisogno”. Tony Perduto è uno dei tanti, uno di quelli che ogni mese, pure con la mamma che gli rema contro, ci prova. E questa storia dell’orso gli permette di tornare in prima, di entrare in contatto con la procura, di diventare fonte (perché dei proiettili la polizia non se n’era accorta) e non solo narratore passivo.
Indagini, paradossi, dialoghi che sanno di napoletano e – lo ripeto – di napoletanità: sono questi i punti forti del romanzo edito da Guanda. I problemi iniziano verso la fine: quando a una narrazione più leggera e quasi disinteressata, Menna prova a aggiungere fatti verosimili, rintracciabili nella storia, ma che faticano a stare in piedi. Come la ragazzina nipote del boss dei Quartieri, o il traffico di animali tra un circo e lo zoo di Napoli, sempre più cadente e abbandonato (cosa vera, tra l’altro).
l paradosso iniziale, così funzionale a un racconto divertente e tragicomico, lascia spazio a un realismo noir, che scricchiola sotto il peso delle belle promesse iniziali.
Il paradosso iniziale, così funzionale a un racconto divertente e tragicomico, lascia spazio a un realismo noir, che scricchiola sotto il peso delle belle promesse iniziali. Nel complesso, comunque, Menna riesce nell’obiettivo di intrattenere e di coinvolgere il lettore (253 pagine lette nel giro di poche ore, con affanno e interesse) e di suggerire, tra le righe, qualcosa di ancora più interessante: la camorra e la visione che si ha, sia tra la gente sia tra gli inquirenti, di essa.
È, o rischia di diventare, una scusa. Se nomini la camorra, la sua anormalità, tutti assurdamente si acquietano e l’accettano. Perché così vanno le cose. Non solo gli abitanti dei Quartieri, ma pure – e forse soprattutto – polizia e politici, procuratori e giornalisti. Il caso dell’orso, chiuso ufficialmente nel giro di poche ore e tacciato di sensazionalismo da vendetta trasversale, è in realtà molto più complicato e non vedrà mai, non per mano della Giustizia, una fine. Starà a Tony, giornalista precario, farsi carico della verità.